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Un paesaggio costituito da montagne e boschi con altissimi alberi, attraversati da un vento forte che solleva polvere, così si apre il secondo lungometraggio di Claudia Huaiquimilla intitolato “I miei fratelli sognano ad occhi aperti”. Stacco e cambio di scena: due giovani detenuti, i fratelli Ángel e Franco sono accovacciati vicino ad un muro altissimo, dietro al quale si intravedono le cime delle montagne.

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I moduli dell’istituto penale minorile sono da dieci ragazzi l’uno, è sera e nel momento della chiusura e isolamento di ogni modulo, al rientro dai bagni nel modulo di Ángel e Franco si scatena una lite per il furto di un cellulare. Subito scatta l’allarme e parte la carica degli agenti di polizia penitenziaria, con tanto di gas lacrimogeni per sedare la lite.

Il giorno dopo, nella classe mista (nell’istituto penale minorile c’è anche un modulo di ragazze), si fa un lavoro sulla reinterpretazione di una propria fotografia. Ángel ha sogni tormentati, forse per i sensi di colpa, e continua a sognare di uscire dal carcere e di trovarsi in un bosco con alberi altissimi attraversati da un vento forte. Nelle visite con i familiari, vengono a trovarli solo i nonni, mentre la madre non chiede più di loro, e Franco si fa un profondo taglio a causa della sofferenza provocata da questa notizia.

Il sogno di Ángel è ricorrente, mentre Franco rielabora la sua foto come fosse in mezzo alle fiamme, un tutt’uno con il fuoco. Il tempo passa, tornano i nonni sempre senza la madre, che non ha risposto alle lettere di Franco il quale, dalla disperazione tenta il suicidio. I due fratelli vengono momentaneamente divisi e Ángel va a trovare Franco in infermeria.

I due fratelli hanno consolidato un gruppo di amici molto unito nella struttura carceraria, come fosse una famiglia, con i quali trascorrono le giornate, condividendo i loro sogni di libertà. Gli equilibri saltano e tutto cambia quando viene inserito un nuovo ragazzo particolarmente ribelle che offre una possibilità di fuga: l’unica porta che consente di realizzare quei loro sogni.

Desta molta perplessità la risposta del difensore, sicuramente d’ufficio, a un anno dall’inserimento nell’istituto penale minorile in carcerazione preventiva, ossia in attesa dell’udienza, che sostiene di non poter fare nulla prima della fissazione del processo e della condanna, come se il ruolo dell’avvocato fosse passivo e relegato alla fase dell’esecuzione della pena. Sicuramente un ulteriore tassello della denuncia del disfunzionamento del sistema di giustizia penale minorile in Cile.

Tra i temi solitamente trattati dalla giovane regista cilena di origine mapuche e fondatrice di “Meikincine Lucía Meik”, troviamo le sue radici indigene, la sua adolescenza, i suoi pregiudizi e la sua identità. Il suo primo cortometraggio “San Juan” (2013), premiato a Clermont Ferrand, ha compiuto un lungo viaggio internazionale. Nel 2016 ha scritto e diretto il suo primo lungometraggio sulla lotta del popolo Mapuche “Mala Junta” (Bad influence”), vincitore di 40 premi (Tolosa, Havana, Guadalajara) e nominato a due Platinum Awards. Il suo secondo lungometraggio “Mis hermanos sueñan despiertos”, ispirato alla crisi dell’istituto penale minorile in Cile, ha vinto premi al SANFICLab e al FICGuadalajara Co-Production Meeting, ed è stato presentato al 74° Festival del Film Locarno nella sezione “Cineasti del presente”. Scritta da Claudia Huaiquimilla e Pablo Greene, l’opera ed è stata dedicata ai 1.313 detenuti che sono morti negli istituti penali minorili in Cile nell’ultimo decennio.

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Si tratta di un tema che è stato affrontato da registri di altri Paesi e continenti, basti ricordare “Juìzo” di Augusta Maria Ramos (2008, Brasile), “Non ci sto dentro” di Antonio Bocola (2009, Italia), “Picco” di Philip Koch (2010, Germania), “L’amore buio” di Antonio Capuano (2010, Italia).

In un’intervista durante il 74° Festival del Film Locarno, la regista ha dichiarato:
“Uno degli strumenti più potenti del cinema è garantire un accesso privilegiato ai sentimenti di qualcuno molto diverso dallo spettatore, poter generare empatia e abbattere i pregiudizi…Spero che il pubblico noterà come una nuova famiglia, umorismo e amore possano emergere nei luoghi meno attesi…la pellicola è andata in produzione quando il Cile si è svegliato con il suo movimento di protesta sociale “Estallido”. È stata una ripresa dura ma siamo molto felici. La prima può essere una piccola luce di speranza per la scena culturale cilena, un segno che stiamo lentamente tornando alla normalità, che il cinema cileno è più vivo che mai…Questo è un film imponente sotto molti aspetti, e anche necessario…Quando ti muovi nella quotidianità di un gruppo di giovani dietro le sbarre, pregiudicati dalla società, emerge la loro bellezza nascosta. Una nuova famiglia può nascere nei luoghi più inaspettati.”

Quali sono state le principali sfide nel girare in condizioni così urgenti e precarie?
“La pre-produzione è iniziata tre giorni dopo l'inizio della rivolta (18 ottobre 2019), rendendo l'intero processo unico e difficile. Il soggetto del film faceva parte delle proteste, quindi eravamo tanto più motivati. Le riprese sono state intense, il budget basso, le strade bloccate, gli studenti hanno preso il controllo della nostra posizione (alla fine abbiamo unito le forze) e il Paese era nel bel mezzo del risveglio. Credo che questo abbia lasciato il segno nella storia.”

E dopo la rivolta, la pandemia. In che modo questo ha influito sul film?
“Alcune scene che non siamo stati in grado di girare a causa della rivolta sono state riprogrammate per la settimana successiva all'inizio della pandemia. Siamo finalmente riusciti a filmarli diversi mesi dopo, con solo dieci persone e molta cautela.”

A distanza di due anni, come pensi sia cambiato il Cile?
La disuguaglianza persiste, ma c'è una nuova consapevolezza. C'è più interesse nel vedere le nostre storie, un appetito per voci nuove e diverse, narrazioni e prospettive che rappresentano questo "altro Cile" che è stato messo a tacere per così tanto tempo.”

In questa pellicola c’è molta consapevolezza e anche la sperimentazione di tecniche innovative per un Paese come il Cile, che sta attraversando una fase di cambiamento. La regista ci accompagna in questo viaggio, guidato dai sentimenti in un contesto inusuale come quello del carcere minorile.

Recensione pubblicata dal sito del Tribunale per i Minorenni di Milano
che ospita le recensioni di Joseph Moyersoen


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