La possibilità di recidiva di coloro che hanno commesso reati, si misura anche dal modo in cui cambia il loro modo di parlare durante il periodo di carcerazione.
Lo dimostra una recente ricerca realizzata dall’Università dell’Ohio, nella quale migliaia di detenuti sono stati seguiti per circa 7 anni, attraverso un percorso di analisi psicologica di gruppo.
Periodicamente, nel corso delle varie sedute di analisi, una delle attività proposte loro è stata quella di scrivere periodicamente brevi messaggi ai compagni di cella: alcuni dovevano essere di incoraggiamento, altri di ammonimento.
Nel corso della seconda fase dello studio, le comunicazioni (200 mila in totale) sono state inserite in un database e analizzate da un apposito software.
I risultati dell’analisi hanno evidenziato che coloro che nel corso del tempo avevano arricchito il loro vocabolario, utilizzando un lessico più variegato e ampio rispetto a quando erano stati arrestati, avevano meno probabilità, una volta rimessi in libertà, di tornare a commettere reati.
Gli autori dello studio affermano che i mezzi linguistici utilizzati da una persona, riflettono “schemi mentali” che sono alla base della sua psicologia, quegli stessi che poi determinano anche comportamenti devianti e la commissione di reati.
In definitiva, concludono i ricercatori, per avere un reinserimento sociale positivo e una completa riabilitazione di un detenuto, occorre modificare tali schemi in modo radicale, e il linguaggio utilizzato è uno dei principali segnali di questo cambiamento.
{xtypo_rounded1}I dettagli dello studio{/xtypo_rounded1}
Alla base della ricerca c’erano i presupposti della teoria clinica della Comunità Terapeutica (TC), la quale sostiene che l'interazione tra pari definisce la struttura di base per quell'apprendimento sociale che può modificare gli schemi cognitivi alla base dell’abuso di sostanze.
È stato analizzato il contenuto di un grande corpus di scritti scambiati tra oltre 2000 autori di reato che avevano concluso il loro percorso penale, ponendo attennzione alle reti semantiche delle parole, per cui le parole che apparivano nello stesso breve documento risultavano collegate tra loro e costituivano delle combinazioni di parole.
Il venir meno di una combinazione o il prodursi di una nuova combinazione, misura un aspetto del cambiamento nel tempo degli schemi di combinazione delle parole.
Queste misurazioni sono state utilizzate per predire il rischio di recidiva, tenendo presente anche i dati riferiti all’etnia dei detenuti, all’età, al quadro della situazione giudiziaria e al numero totale di ammonimenti o di messaggi di sostegno inviati ai pari.
{xtypo_rounded1}I risultati{/xtypo_rounded1}
È stato rilevato che il rischio di reincarcerazione variava in modo significativo in rapporto ai cambiamenti nelle combinazioni di parole utilizzate nel corso del trattamento.
Le persone che meno hanno cambiato i loro modelli di espressione - perso e acquisito qualche combinazione di parola - avevano il più alto rischio reincarcerazione dopo essere stati rimessi in libertà.
{xtypo_rounded1}Conclusioni{/xtypo_rounded1}
I risultati suggeriscono che il successo di un periodo di reclusione, o più in generale dopo un periodo di comunità terapeutica, in termini di scongiurare la recidiva e una nuova reclusione, dipende da come le persone che ci finiscono cambiano i loro schemi di interazione attraverso il processo e le attività promosse dal trattamento.
Semplicemente interagire con gli altri non porta al successo del trattamento, ma se il cambiamento in tali interazioni può spiegare gli esiti del trattamento, allora questo implica che stanno avvenendo modificazioni più radicali negli schemi mentali di una persona, e quindi nel suo comportamento.