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Nei momenti di maggior tensione e conflitto con un figlio adolescente, può capitare di sentirsi rivolgere offese e definizioni pesanti, le quali sono più velenose di un insulto e possono ferire profondamente anche un adulto equilibrato e cosciente della sua responsabilità educativa.

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Sono ferite che devono essere “assorbite” e rielaborate, affinché non compromettano il rapporto con i figli, che deve sempre essere mantenuto aperto, in modo da riuscire a superare anche i momenti peggiori e da non venir meno al proprio ruolo genitoriale. 

Un ragazzo, in un momento di furia, può arrivare a pronunciare frasi come "Tu sei il peggior padre che mi potesse capitare!", e questo può ferire profondamente.

La reazione istintiva, spiegano gli psicologi che si occupano di famiglie e di adolescenti, potrebbe essere quella di difendersi, reagire o chiudere la discussione. Tuttavia, come genitori, è fondamentale riuscire a guardare oltre le parole, per comprendere e affrontare le emozioni che nascondono.

Anche uno scontro di questo livello può essere prezioso da un punto di vista della relazione educativa, se ben gestito da un punto di vista emotivo.

Innanzitutto, sottolineano gli esperti, è essenziale capire che questi sfoghi spesso hanno origine da dolore e frustrazione e non costituiscono essere valutazione sincera sulla personalità o sulla qualità della genitorialità di padri e madri.

I ragazzi, in particolare se adolescenti (ma anche molti giovani adulti), stanno ancora imparando a gestire le loro emozioni e a esprimere in modo corretto i loro bisogni. Potrebbero ricorrere a espressioni estreme per manifestare i loro sentimenti perché non hanno le competenze o il vocabolario per farlo in modo più costruttivo.

Riconoscere il dolore e la positività nell'espressione

Quando si sente un’espressione come quella sopra indicata, occorre riconoscere che un figlio sta soffrendo. Potrebbe sentirsi incompreso, inascoltato o sopraffatto dalle sue emozioni. Il primo passo è mantenere la calma. Aiutandosi magari con un respiro profondo e con il dialogo interiore per ricordare che non ci si trova di fronte a un attacco personale, affrontando così la situazione con mente lucida e empatia.

Il fatto che un ragazzo riesca a esprimere le sue emozioni, anche in un modo così “forte”, è di per sé un segno positivo. Indica che vede il genitore come qualcuno che può accogliere e gestire i suoi sentimenti più potenti, il che è una testimonianza della sua fiducia nella relazione.

Per l’adulto, è un'opportunità per guardare a quello che potrebbe non funzionare in quanto sta facendo come genitore, e adattarsi di conseguenza.

Una comunicazione di qualità è decisiva

È fondamentale mantenere aperte le linee di comunicazione, anche quando ci si trova di fronte a parole offensive e sgradevoli. Rispondere con empatia può disinnescare la situazione e aprire la strada alla comprensione reciproca. Evitando dunque di porsi sul piano dello scontro e ponendo domande per capire cosa sta capitando.

Questo dimostra a un figlio che si è disposti ad ascoltare e validare i suoi sentimenti, anche se non gli si “perdona” la sua espressione offensiva.

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A volte, i ragazzi adolescenti potrebbero aver bisogno di più tempo per essere pronti a parlare. Far sentire loro che si sarà sempre disponibili quando saranno sono pronti a farlo, può essere efficace. È infatti un approccio che rispetta il loro bisogno di maturare la condizione giusta per il dialogo mentre, allo stesso tempo, conferma la disponibilità al supporto.

Un genitore non deve limitarsi a gestire il comportamento di un figlio, deve anche insegnargli come gestire le sue emozioni.

Anche da adulti non si è mai ancora appreso abbastanza che si traggono maggiori benefici da una conversazione calma e costruttiva piuttosto che con uno scontro infruttuoso. Un genitore dovrebbe imparare a dare prova del tipo di comportamento che vorrebbe vedere nei momenti di conflitto, mostrando al figlio come gestire anche le emozioni più intense.

Restare calmi e composti non significa reprimere i propri sentimenti offesi, ma esprimerli in modo appropriato. Dicendo ad esempio che si è feriti dal sentirsi dire di essere il genitore peggiore, ma di voler capire perché il figlio lo affermi e perché sia tanto sottosopra.

Se si sente di non riuscire a mantenere la calma, si può anche dichiarare che c’è una parte di sé che vorrebbe scatenarsi, ma di essere coscienti che questo non aiuterebbe nessuno. E di voler prendersi un momento di pausa per calmarsi.

Dare un nome alle emozioni, aiuta. Guidare un figlio a identificare le sue emozioni può ridurre l'intensità di quei sentimenti e renderli più gestibili.

Dopo aver riconosciuto e nominato le sue emozioni, occorre aiutarlo a ricercare soluzioni, incoraggiandolo a esprimere i suoi bisogni o a dire cosa sarebbe potuto essere fatto diversamente.

Questo può diventare un processo collaborativo in cui genitori e figli lavorano insieme per trovare modi migliori per gestire simili situazioni di conflitto in futuro. Per questa via si incoraggia i giovani a pensare in modo critico e attivo nella risoluzione dei problemi, promuovendo in loro un senso di responsabilità e autoefficacia.

Una volta che le emozioni si sono calmate, si può riflettete insieme sull'”incidente”, discutendo di cosa abbia scatenato lo sfogo ed esplorando modi per gestire meglio situazioni del genere. Questa riflessione aiuta a imparare dall'esperienza e rafforza la relazione. È un approccio che rafforza la regolazione emotiva e approfondisce il legame, mostrando la volontà di crescere insieme.

Rispondere a commenti anche molto offensivi con empatia, pazienza e con l’obiettivo di educare alla gestione delle emozioni, trasforma un momento difficile in un'opportunità di crescita. Mantenendo la calma, convalidando i sentimenti di un figlio e insegnandogli la regolazione emotiva, lo si aiuta a sviluppare le capacità per gestire anche le emozioni dolorose in modo efficace.

Ne risulterà migliorata non solo la relazione presente, ma si costruiranno strumenti relazionali che poi si useranno per tutta la vita.


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