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Per gentile concessione dell'autrice e dell'editore, pubblichiamo l'introduzione di "RaccontAbili" di Zoe Rondini (Erickson Live)

Zoe e Matteo raccontano la genesi di “RaccontAbili”

Come è nata l'idea?                                                                                                              

Zoe
L'idea di scrivere un libro che riportasse le molteplici esperienze e i diversi punti di vista di altre persone è scaturita in maniera spontanea dopo la pubblicazione del mio romanzo autobiografico Nata Viva. Ripenso a quando in molti, soprattutto in famiglia, a fin di bene, mi spingevano ad accantonare il mio racconto di vita, nella lunghissima fase di scrittura e riscrittura durata sedici anni.

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Ricordo che durante il periodo dell’adolescenza focalizzavo la mia attenzione sui tanti episodi e stati d'animo che non facevano altro, secondo i miei familiari, che accentuare solitudine, isolamento, disagio e depressione. Chi tentava di interrompere questo mio flusso di memoria non riusciva a comprendere il perché mi ostinassi tanto a raccontare la mia vita. In particolare a mia nonna, che ha sempre cercato di proteggermi, vorrei dire: "Sono felice di aver raggiunto il mio grande sogno di pubblicare Nata Viva. Oggi ti comprendo meglio, ripenso a quando mi volevi convincere a scrivere altro, per proteggermi. Mi hai sempre in qualche modo preservata. Tuttavia, solo adesso sono libera di poter scrivere un racconto che non parli delle mie personali esperienze di vita.

(…)

Nell’avviare questa impresa ho potuto contare sul supporto di Matteo Frasca, pedagogista, amico e consulente letterario, che mi ha aiutata a formulare le prime interviste e ha curato l’aspetto editoriale del libro. 

(..)

L'aiuto di "The Help"

Zoe
Durante la visione del film “The Help”, mi sono riconosciuta nella protagonista della pellicola. Lei è una giornalista, nel suo "piccolo" ama scrivere e perciò tenta di essere assunta in una grande testata giornalistica, a New York.  Sono gli anni Sessanta, Eugenia Phelan è una ragazza del Mississippi, vive in un piccolo paese degli Stati Uniti. Fa parte di una società borghese dove è consuetudine, nelle famiglie, avere la cameriera e la bambinaia di colore. Eugenia ha in mente un'idea difficile da realizzare, ma che si rivelerà la chiave di un inaspettato successo e dell'happy end di tutte le vicende sentimentali, lavorative, personali (legate alla scrittura) narrate nel film. Il progetto è ambizioso: intervistare un gruppo di domestiche per riuscire a raccontare la storia del razzismo, diffuso in tutto il territorio americano, dal loro punto di vista. All'inizio nessuna intende aderire per la paura di esporsi e di subire ritorsioni, sia da parte dei propri datori di lavoro che dall'intera comunità "bianca" del paese. Fino a quando una di loro non comincia a raccontarsi facendo da apripista alle altre.

Mi sono riconosciuta nella protagonista e nella sua passione per la scrittura. Anche io, come lei, ho raggiunto tanti traguardi, ma questo film mi ha dato lo spunto per realizzare un libro che parta dalle storie degli altri, per descrivere la realtà che mi circonda. Non voglio essere la protagonista, bensì la portavoce di chi intende mostrate la realtà che viviamo ogni giorno, nelle sue infinite contraddizioni e barriere, che sembrano irremovibili. Tutto è accompagnato all'idea di trovare possibili varchi e probabili, o improbabili, rimedi.

Il libro ha una tiratura pazzesca, Eugenia trova lavoro nella più importante redazione giornalistica di New York, dove si trasferirà, vivendo per sempre felice e contenta.

Ecco, io non pretendo tutto questo e non mi illudo di vivere felice e contenta come si addice alle principesse delle fiabe. Tuttavia, la sfida di impegnarmi per essere garanzia del racconto degli altri e delle altre, come è accaduto ad Eugenia, me la prendo tutta.

O almeno spero.

A proposito della forma intervista… I. Calvino e J. Cortázar

Matteo
Italo Calvino è uno scrittore multimediale in senso anacronistico, perché la sua narrazione apre infinite strade nella fantasia del lettore, spaziando come su internet da una finestra all'altra. Analizzando il romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore, ci accorgiamo subito delle molteplici sfaccettature. Si incrociano fin dalle prime pagine due racconti paralleli e la cosa interessante è la nostra chiamata in causa, come lettori, nella storia. Ci prende un po' in giro e immagina il nostro sgomento nel constatare che mancano delle pagine: lo scrittore si mette nei panni del lettore e si immagina che noi andremo in libreria, scavalcando i vari scaffali, per dire con rabbia: "Mi avete venduto un libro in cui sono assenti delle pagine”.

Eccoci, di fronte a un racconto non convenzionale, che apre una "finestra" sulla personalità e la storia del lettore, parallelamente al racconto del “viaggiatore”. Calvino descrive sia la storia del viaggiatore, sia i luoghi frequentati da quest'ultimo (bar, stazione), sia gli oggetti (la valigia, i vestiti). Il suo spostarsi da una finestra all'altra, cambiando l'attenzione del lettore, non inficia la chiarezza e la fluidità, evitando a ogni passo confusione ed ermetismo.

Un esempio agli antipodi della multimedialità di Calvino, si può trovare nel racconto intitolato Casa occupata contenuto nel libro Bestiario di Julio Cortázar. L'autore si preoccupa dello stile letterario, rinunciando a fornire dettagli. Si preoccupa di chiudere qualsiasi spazio dove sia possibile, per il lettore, intuire luoghi, personaggi, oggetti che non compaiono sulla scena e che, al massimo, sono evocati dai protagonisti.

Dunque, " il non venire a sapere" e il chiudere l'attenzione in spazi sempre più claustrofobici, fa in modo che il lettore cammini nella direzione che viene raccontata, con il risultato di provocare inquietudine e allo stesso tempo desiderio di arrivare alla fine, sapendo che tutto un mondo alle spalle non verrà mai svelato.

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Si nota che nella terza pagina, in appena un paragrafo, l'autore descrive la casa in relazione alla distribuzione degli spazi che sono vissuti o non vissuti dai personaggi, senza inoltrarsi nell'accumulo di particolari. E a differenza della precedente storia di cui abbiamo parlato

– narrata sotto forma di romanzo – in Cortázar siamo alle prese con un racconto breve, che non abusa della pazienza del lettore. Possiamo definirlo un esercizio di stile impeccabile, curato in ogni aspetto.

Calvino e Cortázar hanno a cuore il rigore letterario, oltre che una profonda ispirazione, pur essendo agli antipodi. Quindi cosa hanno a che fare questi due mondi letterari con la nostra ricerca e con le interviste? Dove è l’analogia? Non vogliamo che restino solo domande e

- per quanto limitate siano - crediamo sia giusto provare a dare delle risposte.

Trattandosi di un testo che raccoglierà diversi colloqui, ci siamo identificati nei due protagonisti: Calvino è l'intervistatore, Cortázar l’intervistato.

Zoe è Calvino: attraverso le sue domande e nelle sue aspettative, vuole aprire più finestre possibili sul tema della disabilità, cercando di dribblare luoghi comuni, risposte chiuse, frasi fatte. Zoe vuole essere come Calvino, multimediale nell'approccio. Ma non ha fatto i conti con l'intervistato, ossia Cortázar: nonostante i vari livelli, non può fare a meno di non potere esaurire tutte le finestre aperte dalle aspettative di chi fa le domande. Quello che ne vien fuori dall'incontro è stupefacente.

In fondo si incontrano Calvino e Cortázar, qualcosa di buono, di denso, di letterario, esce fuori in modo preponderante. Cortázar, quando risponde anche solo con una frase, porta dentro quel mondo che non svela, che non può o non vuole svelare, per tante ragioni: riservatezza, la non abitudine al racconto di sé, la rimozione delle oppressioni e i limiti della propria condizione o del proprio ruolo professionale (tanto per i cosiddetti "disabili", quanto per i cosiddetti "normodotati"). Il non detto spesso apre ulteriori finestre all'intervistatore, che sa a questo punto che devono essere lasciate aperte e che spesso è giusto così.

Ma Cortázar non offre solo risposte brevi. Molti intervistati si sono presi uno spazio ampio per rispondere, raccontando molto sia di sé, sia rispetto alla complessità delle domande che hanno spaziato dal diritto alla scuola alla routine quotidiana, dal giornalismo alla letteratura. I vari “Cortázar" hanno a loro volta aperto delle finestre inaspettate, proprio come Calvino. E ora che ci pensiamo il Calvino - intervistatore, all'inizio del percorso, chiuso nelle sue aspettative - forse forse somigliava a Cortázar.

Ecco l'imprevisto, quello che può accadere quando si incontrano gli immaginari delle persone, che si mettono a disposizione. Possono specchiarsi a vicenda, in uno scambio di ruoli, inconsapevole ma allo stesso tempo fruttuoso. Chi fa le domande era quello che doveva dare le risposte, e chi si illudeva di fare domande e basta era quella che dentro di sé immaginava risposte precostituite. L'incontro ha sorpreso e cambiato le regole del gioco.

Capita poi che l'intervistatore non si trovi d'accordo con il punto di vista dell'intervistato o abbia una visione molto diversa su tante argomentazioni. Sarebbe stato però alquanto riduttivo, ingiusto, noioso riportare idee che ben si sposano o confermino le convinzioni dell'autrice. Da qui la scelta dell'intervistatore di essere spesso contraddetto, lasciando spazio a opinioni talvolta opposte. In ciò risiede l'essenza della forma-intervista, che tenta di raccogliere varietà e molteplicità. Altrimenti che senso avrebbero i punti interrogativi, la curiosità, la stessa domanda che, per sua natura, dovrebbe essere sincera e disinteressata?

Poco prima si è detto che le interviste ruotano tutte intorno al tema della "disabilità". La questione è più complessa e l'informazione non è completamente veritiera. Quindi non bisogna fidarsi neanche delle "Introduzioni" che dovrebbero orientare il lettore sulle possibili letture e livelli di quel che andrà a leggere.

Zoe non ha mai voluto pensare a domande riguardanti la disabilità, quanto al rapporto delle persone con i limiti che incontrano nella vita quotidiana sia guardando a se stessi, sia accorgendosi di quel che accade agli altri, al nostro essere parte di una comunità e di una società. Le domande partono da quel che è più familiare alla vita delle persone, ai gesti quotidiani. Solo in un secondo momento, una volta entrati in confidenza, una volta instaurata la fiducia con l'interlocutore, si spazia tra i temi più disparati.

Zoe non ha mai sentito il bisogno di parlare dei massimi sistemi, con il rischio di raccogliere e di accumulare il già sentito, il già detto, le frasi di convenienza o di circostanza, i moralismi. Di tutto questo, suo malgrado, è stata infarcita fin da piccolissima. E fin da bambina l'ha sempre rifiutato, combattendolo. A Zoe interessa sapere come stanno le persone e cosa hanno da dire.

Come già anticipato, alla fine di quasi tutte le interviste Zoe domanda se chi ha raccontato la propria storia, ha qualche “soluzione”, "proposta" o un semplice "consiglio" su come abbattere i muri. Oppure se abbia contenuti nuovi per riempire i vuoti con cui si manifestano le disfunzioni sociali, etiche, culturali distribuite negli spazi, nei tempi, nelle strutture e nei ruoli che regolano e che rappresentano la nostra comunità.

Eppur… non basta!

Zoe
Dunque, “Potrebbe bastare tutto questo”, diranno i lettori. Probabilmente è già tanto, è già troppo… o forse no. Oppure sì, ma in fondo non importa. Quel che invece credo sia importante è la rinuncia, in tutta la prima parte del volume, ad esprimere direttamente il mio punto di vista su tutte le questioni dibattute dagli intervistati. Quindi, come comportarsi? Nell’arco degli anni ho cercato sempre di scrivere e di comunicare all’esterno il mio pensiero attraverso il portale Piccologenio.it, che rappresenta il mio archivio multimediale, presente in rete dal lontano maggio 2006. Da questo diario pubblico ho selezionato gli articoli che ho reputato più appropriati nel trattare alcuni argomenti proposti nelle interviste, i quali sono stati inseriti nella seconda parte del testo, così che il lettore possa ascoltare anche la mia voce, spesso in accordo, talvolta in disaccordo, con quella del resto della comunità dei RaccontAbili.  Come capita, non di rado, ad ogni narratrice o narratore, si è severi verso i propri scritti passati, pertanto, nella mia scelta, ho privilegiato gli articoli più recenti. Grazie alla pluralità dei punti di vista che via via incontravo, mi sono ulteriormente appassionata di certe questioni. Ho cercato di approfondire gli argomenti che le stesse interviste mi indicavano, maturando così una certa visione critica, che spesso accoglieva e altre volte si discostava dal parere degli intervistati. Ho quindi pensato che bisognasse creare uno spazio in cui poter dialogare con la coralità di racconti, suggestioni e provocazioni contenute nella prima parte, a cui ho scelto di non sottrarmi. Mi sono cimentata col mio lato pubblico, spesso più vicino alla dimensione giornalistica o comunque sempre al confine tra narrativa e giornalismo. Dunque, nella seconda parte del saggio la RaccontAbile sono io, prendendomi tutti i rischi del caso.

 Al lettore, ovviamente, l’ardua (magari non troppo), sentenza.


La scheda sulla pagina dell'editore, dove si può acquistare il libro

Zoe Rondini
Zoe Rondini è il nome d’arte dell’autrice. Il romanzo autobiografico “Nata Viva” è la sua opera prima. Nel saggio edito RaccontAbili ha voluto dare spazio ai vissuti e alle narrazioni sulle disabilità. Il blog Piccologenio.it è uno degli strumenti che utilizza per partecipare alla diffusione della conoscenza del mondo della disabilità e alla promozione dei diritti dei disabili.

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