L’adolescenza del giovane immigrato è caratterizzata, perlomeno dal momento della sua partenza, da un’enfatizzazione dell’aspetto identitario rispetto a quello relazionale. La sfida evolutiva sembra rivolta solo verso se stesso e non verso la coppia genitoriale, come invece solitamente accade in adolescenza.
Il tentativo maturativo del giovane immigrato appare caratterizzato dalla fuga, dall’assenza del confronto con i propri riferimenti genitoriali e dal tentativo di acquisire un’identità adulta e potente in piena autonomia e solitudine.
Questo si distingue da quanto avviene nell’adolescenza, per esempio, dei ragazzi italiani solitamente ingaggiati in relazioni di confronto o di conflitto con i propri genitori. Per i ragazzi che vivono all’interno del nucleo familiare il processo di soggettivazione normalmente si realizza, in una cornice relazionale familiare, nel confronto costante con i genitori o con le loro rappresentazioni interne.
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“L’estrema solitudine” di cui narra anche uno dei maggiori autori sul tema, Tahar Ben Jelloun diviene ancora più difficile da sopportare quando la delusione e la fatica a raggiungere i propri obiettivi migratori si sostituisce al sogno all’illusione del successo immediato. Inoltre va sottolineato come per questi adolescenti il viaggio migratorio sia percepito come un racconto con un unico finale possibile, quello glorioso. Non è accettabile per loro ritornare in patria senza aver raggiunto i propri obiettivi e senza aver realizzato il proprio sogno.
La vergogna per il fallimento e per avere così tradito la fiducia dei propri familiari e connazionali, che in molte situazioni si espongono personalmente anche economicamente per consentire il viaggio, non sarebbe sostenibile. In queste condizioni è preferibile rischiare il carcere dedicandosi ad attività illecite piuttosto che tornare a casa a mani vuote. Spesso questo vissuto è alla base dei fallimenti dei progetti di rimpatrio assistito attivati a sostegno di questi adolescenti.
Possiamo confrontare il viaggio del giovane immigrato con alcune rappresentazioni del mito edipico. L’esilio volontario di Edipo dopo aver ascoltato l’oracolo di Delfi era per lui dettato dal tentativo di sfuggire ad un destino che lo condannava ad essere implicato all’interno di vicende familiari incestuose e violente. Il tema dell’esilio volontario sembra molto presente anche nel viaggio migratorio dell’adolescente che si trova costretto ad abbandonare i vincoli familiari e sociali ormai connotati da corruzione e violenza per ricercare altrove la sua fortuna e il suo futuro. Proseguendo, l’impossibilità di sfuggire al proprio destino, tematica centrale del mito edipico evidente nella realizzazione inconsapevole dell’oracolo, ritorna anche nelle tematiche relative al travagliato esilio dell’adolescente immigrato che si trova presto indifeso di fronte al rischio di riattualizzare nella sua condotta deviante e nell’ambiente deviante e di marginalizzazione che si trova a frequentare la corruzione familiare da cui aveva cercato scampo.
Solitamente è a questo punto, quando i giovani immigrati si trovano in carcere delusi, sfiduciati e imbrigliati nel loro destino che avviene l’incontro con gli operatori dei servizi della giustizia che hanno il mandato di sostenerli e accompagnarli, ma che prima di poter proporre qualunque intervento si trovano a dover affrontare il compito di fornire loro una nuova idea di futuro.
Estratto dal saggio di Carlo Trionfi Adolescenti e identità, in Ubiminor Rivista