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La luce del pomeriggio è caduta non appena ci siamo spinti fino alla parte anteriore di un gruppo di palazzi su un viale alberato di Atene, in un quartiere residenziale del centro. Dopo essere saliti al quinto e ultimo piano dell'edificio, abbiamo bussato delicatamente e la porta subito si è dischiusa, rivelando i sei volti raggianti di una famiglia di rifugiati musulmani che ci ha accolto nella sua casa.

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L’incontro è stato raccontato da un esponente dell’UNHCR (The UN Refugee Agency).

C’erano tre bambine con le fossette attorno al sorriso e un ragazzo lentigginoso con i capelli dal colore quasi arancione, una donna interamente coperta da uno chador nero e, alle sue spalle, l’uomo di casa, che se ne stava un po’ in disparte.

La madre ci ha invitati a entrare, conducendoci a vedere il loro figlio neonato che dormiva nella camera matrimoniale. Ci ha poi mostrato, dall'altra parte della stanza, dove dormono gli altri quattro ragazzi. C'erano due letti a castello, rifatti in maniera impeccabile, due grandi finestre dalle quali si riversava all’interno della stanza la luce del tramonto, un tappeto rosso brillante, e alcuni giocattoli disposti in modo ordinato.


noi, come tutti gli altri rifugiati, abbiamo lasciato
la nostra casa a causa dei bombardamenti


L'appartamento è modesto, ma spazioso e tenuto perfettamente. Mi sono congratulata con la madre e con il padre per il loro bellissimo neonato. Questo ha dato il via alla nostra conversazione, li ho incoraggiati a raccontarmi la loro storia.

La famiglia è stata costretta ad abbandonare la propria casa in Siria sei mesi fa. I bombardamenti, la violenza e la guerra civile avevano fatto della loro città natale un luogo impossibile per crescere dei bambini piccoli.

Il marito ci ha raccontato la loro situazione. "La Siria è oggi un luogo impossibile Noi, come tutti gli altri rifugiati, abbiamo lasciato la nostra casa a causa dei bombardamenti, gli aerei governativi sopra la nostra testa, le truppe per le strade".

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"All’inizio, c'era solo l'esercito libero - ragazzi giovani che protestavano, poi sono diventati rivoluzionari che combattevano contro il governo. Tutto quello che chiedevano era un po’ di libertà per costruire una vita migliore. Ora, ci sono tanti soldati, tante fazioni in cambattimento tra loro, nella nostra area di residenza. I soldati kurdi sono entrati, hanno preso tutto e arrestato molte persone. C'è la mafia. C'è l’ISIS. Ci sono l'Iran e la Russia. Se non se vanno, non finirà mai. Tutti questi gruppi in lotta tra loro stanno uccidendo la gente. O sei con loro, o sei contro di loro".

Dopo un viaggio lungo e faticoso che li ha condotti attraverso la Turchia, sono arrivati in Grecia, e sono stati accolti nel campo profughi di Idomeni, vicino al confine settentrionale.

Il campo era uno dei più grandi del paese fino a quando non è stato ufficialmente chiuso a causa delle sue condizioni invivibili. Lì, la famiglia ha resistito vivendo in una tenda che era costantemente allagata, l'acqua arrivava fino alle ginocchia.


ora non abbiamo più paura, 
abbiamo una casa con una porta che si può chiudere


"Le maggiori difficoltà che abbiamo incontrato nel nostro viaggio, sono state proprio le tende in cui abbiamo vissuto per quattro mesi in Idomeni" racconta il padre. "In quel campo mia moglie ha sopportato gli ultimi tre mesi di gravidanza. Durante tutto l'inverno stava quasi morendo di dolore. I bambini erano costantemente malati a causa della pioggia e del freddo".

Nonostante la situazione, lui cerca di vedere il positivo di quello che hanno passato. "L'acqua fino a qui?" ha detto, sfiorando con la mano al ginocchio. "Non era poi così terribile, finalmente eravamo al sicuro!"

Ha indicato i suoi figli. "Loro erano al sicuro, questa era la cosa più importante".

"Poco  a poco la situazione è migliorata" continua. "Ora ci siamo rilassati, non abbiamo più paura. Abbiamo una casa con una porta che si può chiudere..."

Mentre continuavo a osservare la natura ospitale dell’ambiente e dell’arredamento, ha indicato la porta d'ingresso.

La famiglia è stata trasferita in questo appartamento in quanto faceva parte di un progetto di rilocazione finanziato dall’UE; un'iniziativa promossa dal Consiglio Giustizia e Affari Interni, con l'obiettivo di trasferire circa 160.000 richiedenti asilo dai campi profughi in una condizione abitativa normale.

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È stato un passo fondamentale verso l'integrazione dei 21,3 milioni di rifugiati sotto il mandato di sicurezza dell'UNHCR. In media, un rifugiato trascorre fino a 18 anni in un campo profughi.

Questo significa che le micro-società dei campi, ad oggi rappresentano il punto finale del viaggio di un rifugiato. Essere fuori dai campi, con una porta d'ingresso e una serratura su di essa, vuol dire essere tra i più fortunati.

"Abbiamo visto chi ci era vicino, nel nostro paese, morire davanti ai nostri occhi. Ho perso mio fratello, ho perso i miei due cugini" racconta il padre.

"Due giorni fa, ho parlato con i sopravvissuti della mia famiglia. Mi hanno detto che ora, se sei abbastanza fortunato da trovare un pezzo di pane, ti senti come se avessi vinto la Coppa del Mondo".

L’uomo ha spiegato che suo padre e sua sorella, i quali sono tuttora in Siria, mentre andavano a cercare un po' d'acqua a 100 metri dalla loro casa, si sono trovati in mezzo agli spari.

"Sono stati fortunati: si sono nascosti in un serbatoio dell'acqua vuoto. ‘Siamo ancora vivi, ci è andata bene' mi hanno detto".


là adesso non c'è niente per cui tornare.
Senza elettricità, senza acqua, senza la scuola.
In Siria le scuole venivano bombardate


"Avete speranza di poter tornare un giorno in Siria?" ho chiesto.

"Là adesso non c'è niente per cui tornare. Senza elettricità, senza acqua, senza la scuola. In Siria le scuole venivano bombardate e dovevano chiudere per un mese, poi riaprivano per due o tre giorni e, dopo, tutto ricominciava da capo".

Più tardi, ci hanno mostrato una fotografia di quello che oggi resta della scuola elementare dei suoi figli: una maceria alta due metri di un muro di mattoni, un mare di polvere e pezzi di detriti non più grandi di una sedia.

"I miei figli meritano di andare a scuola. Tutto quello che abbiamo fatto, l'abbiamo fatto per loro" dice l’uomo, indicando gli occhi spalancati dei bambini.

"Vorrei solo vivere in un paese che guardi a noi come a esseri umani".

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Il padre poi ci spiega cosa intende. "Quando eravamo in Idomeni, ci consideravano solo dei numeri. Tutte le organizzazioni venivano da noi con le telecamere, ci facevano fotografie e interviste, ma non ci veniva data nessuna medicina per i bambini malati. Per tutti quei giorni mia moglie ha pianto per i dolori della gravidanza.. . Nessun farmaco per il dolore - nemmeno una compressa".

Ma tutto è di colpo cambiato quando si sono incontrati con un uomo greco, che poi si è scoperto essere un volontario dell'UNHCR, il quale ha consigliato loro di andare ad Atene.

"Una volta arrivati, ha portato mia moglie dal medico e i miei bambini sono potuti andare a scuola. Siamo qui grazie a quel ragazzo. Quando siamo venuti ad Atene, abbiamo visto come viveva il popolo greco. Sono pacifici, interessati, empatici. Loro ci hanno guardato da subito come delle persone, più di quanto il governo non abbia mai fatto".


vorrei solo vivere in un paese
che guardi a noi come a esseri umani


 Gli ho chiesto se riusciva a immaginare una situazione in cui il suo ruolo fosse invertito.

"Nel 2006 i profughi libanesi in fuga dagli Hezbollah sono venuti da noi in Siria. Ogni casa siriana ha aperto loro le sue porte. Li abbiamo accolti" ha spiegato. "Tanti cittadini siriani hanno due case; tutti ne hanno data una ai rifugiati, senza l'aiuto di alcuna organizzazione umanitaria. Eravamo tutti volontari. Li abbiamo aiutati finché il problema in Libano non si è risolto e loro sono potuti tornare...".

Conclude così. "Mi auguro che i ruoli non vengano mai invertiti. Che questo non accada mai al vostro paese o ai vostri cittadini. Non lo augurerei al mio peggior nemico".


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