Dopo la morte del marito nella guerra civile in Siria, Amouna Sharekh Housh ha riunito i suoi otto figli e si è diretta verso la salvezza nel vicino paese del Libano. Al confine con il Libano, i militanti dello Stato Islamico hanno chiesto a Housh di consegnare loro i suoi figli.
La donna ha rifiutato, anche quando un soldato dell'Isis ha messo una pistola contro la testa di suo figlio di 9 anni, Manar. Dopo aver attraversato quel punto di controllo infernale, la famiglia ancora integra si è trasferita in un campo profughi libanese. La loro casa era una tenda. Il cibo scarseggiava e l'igiene era assente.
Un anno dopo, l'intera famiglia stava lottando per il suo futuro. I bambini, un tempo calmi, erano adesso nervosi ed emotivamente instabili. Le condizioni emotive di Manar, in particolare, avevano preso una brutta piega.
Soffriva di disturbi da stress post-traumatico, una condizione che include pensieri e sogni tormentosi su eventi angoscianti, il sentirsi distaccati dagli altri, lo stare in uno stato costante di allerta per potenziali pericoli e il reagire violentemente anche a piccole frustrazioni. Housh ha parlato dei problemi della sua famiglia con gli operatori di un centro terapeutico di Beirut dell'onlus newyorkese Art of Hope, e ha dato loro il permesso di raccontare la sua storia sul sito web dell'organizzazione.
La famiglia di Housh rappresenta una goccia in un mare di lacrime e sofferenza che escono dalla Siria.
Da quando è scoppiata la guerra civile all'inizio del 2011, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ritiene che oltre 5 milioni di siriani siano fuggiti dal paese; altri 6,6 milioni di persone sfollate dalle loro case vivono ancora in Siria. L'UNHCR ha registrato circa 1 milione di rifugiati siriani in Libano, più della metà dei quali ha 17 anni o meno, anche se il governo libanese fissa il numero totale di rifugiati siriani a oltre 1,5 milioni.
La famiglia di Housh evidenzia anche un altro triste fatto derivante dalla guerra: tutti i ragazzi soffrono, ma alcuni più di altri.
La maggior parte delle persone che attraversano conflitti violenti e altri traumi estremi sperimentano disordini emotivi, ma non sviluppano DPTS. Una minoranza, come Manar, invece,subisce gravi ferite psicologiche che non guariscono senza un aiuto esterno. Anche in questo caso, tuttavia, non ci sono garanzie per il recupero.
Una nuova indagine condotta con giovani rifugiati siriani in Libano offre un’indicazione sul perché alcuni bambini reagiscono emotivamente mentre altri cedono interiormente di fronte agli orrori della guerra.
I bambini in fuga dalle zone di guerra sono particolarmente propensi a sviluppare DPTS se, prima che i conflitti militari distruggessero i loro mondi, erano in gioco due fattori, spiegano la psichiatra libanese Elie Karam e i suoi colleghi. In primo luogo, i giovani inclini alla DPTS sono cresciuti con una particolare sensibilità e coscienza degli aspetti positivi e negativi delle loro famiglie, scuole e quartieri. In secondo luogo, quei bambini "sensibili al contesto” hanno incontrato poche o nessuna avversità precocemente, quali gravi malattie fisiche o genitori costantemente in conflitto tra loro.
"I bambini molto sensibili che sono stati al riparo da avversità finiscono per essere meno preparati a far fronte alle esperienze belliche" sostiene Karam, presidente di un'organizzazione non profit per la salute mentale con sede a Beirut.
Lo studio di Karam, che verrà pubblicato dal British Journal of Psychiatry , è indirizzato a esaminare come la sensibilità ambientale, una caratteristica che varia da persona a persona, influisca sul benessere e sulla salute mentale.
Questa linea di ricerca si basa su osservazioni di lunga data di due tipi di ragazzi. I cosiddetti bambini ipersensibili, che traggono grande beneficio dall'ambiente circostante, e reagiscono in modo particolarmente negativo se trascurati o trattati duramente. I bambini più resilienti, che si comportano molto bene sia in ambienti buoni che in quelli cattivi e non traggono "vantaggio" in modo significativo da contesti privilegiati.
Una nuova ricerca condotta dalla psicologa Corina Greven del Radboud University Medical Center di Nijmegen, Paesi Bassi, conclude che la sensibilità ambientale di una persona dipende da una tendenza genetica a pensare in modo approfondito alle esperienze personali e sociali, a sviluppare un maggiore senso di empatia e a rapidamente sentirsi stimolati da varie sensazioni ed emozioni. Gli scienziati affermano che questa caratteristica è classificata come sensibilità di elaborazione sensoriale.
Protetti dallo shock
Non esistono, come nei paesi europei, valutazioni a campione sul grado di sensibilità ambientale della popolazione in paesi devastati dalla guerra come la Siria. Ma l'afflusso senza precedenti nel Libano di giovani rifugiati ha ispirato la dottoressa Karam e i suoi colleghi a determinare se la sensibilità ambientale, le avversità nell'infanzia e le esperienze di guerra - da sole o insieme - aumentino le probabilità che questi bambini sviluppino il DPTS. Il team di Karam è il primo a studiare la sensibilità ambientale come potenziale contributore a questo grave disturbo d'ansia.
Un totale di 549 giovani rifugiati siriani, di età compresa tra 7 e 17 anni, hanno partecipato allo studio con il consenso dei genitori. I volontari erano studenti in 31 scuole della zona di Beirut frequentate anche da studenti libanesi. I medici hanno addestrato 48 insegnanti di scuola a somministrare questionari agli studenti siriani.
Queste indagini hanno valutato 20 sintomi di DPTS, 25 tipi di esposizioni traumatiche alla guerra (dall'essere incapace di uscire di casa a causa di sparatorie e bombardamenti, a essere stati testimoni di torture o uccisioni) e 29 avversità nell'infanzia (compresi frequenti scontri tra i genitori, abusi fisici e mancanza di cibo o altre necessità di base).
Infine, un questionario di 12 item misurava la sensibilità ambientale. Su una scala da zero a 6, gli studenti hanno valutato fino a che punto, per esempio, trovavano spiacevole avere molte cose da fare in una volta, se amavano odori piacevoli, se si sentivano a disagio udendo forti rumori e non gradivano i cambiamenti nelle loro vite. I punteggi più alti indicavano una maggiore sensibilità ambientale.
Non in modo sorprendente, considerando ciò che avevano sopportato, molti studenti hanno mostrato alcuni segni di DPTS. Ma quelli che hanno ottenuto un punteggio basso nella sensibilità ambientale e hanno riportato poche difficoltà nell'infanzia sembravano più resilienti, presentando pochi sintomi di DPTS. I più colpiti sono stati i bambini molto sensibili che hanno riportato poche avversità nell'infanzia.
In mezzo c'erano quelli che avevano affrontato molte disavventure nell'infanzia, definite come quattro o più di tali disagi. Questi rifugiati di guerra hanno manifestato un moderato numero di sintomi di DPTS, indipendentemente dal fatto che avessero ottenuto punteggi alti, bassi o medi mezzo sulla sensibilità ambientale.
Questa constatazione sottolinea come anche i giovani di temperamento tenace possano crollare di fronte a troppe disgrazie. "Un bambino che ha un punteggio basso nella sensibilità ambientale può non essere influenzato molto dall'esposizione alla guerra a meno che non sia già stato molto traumatizzato nel suo ambiente familiare" spiega la dottoressa Karam.
In sintesi, il temperamento e il contesto possono mescolarsi in diversi modi per influenzare le reazioni dei bambini alla guerra.
I giovani altamente sensibili che crescono con livelli gestibili di problemi familiari apprendono abilità di coping che possono poi applicare a esperienze di guerra, ipotizzano i ricercatori. Essere protetti dalle prime difficoltà lascia gli stessi bambini psicologicamente indifesi quando la guerra li colpisce.
Sembra probabile che i giovani rifugiati siriani altamente sensibili abbiano ottenuto una qualche forma di protezione contro il DPTS dall'aver affrontato problemi precedenti in patria e altrove, afferma lo psicologo infantile Jay Belsky dell'Università della California.
"È quasi come se quelli con una prima parte della vita supportiva non fossero stati temprati contro le avversità. Quindi, se sono sensibili all'ambiente e poi vengono esposti alla guerra, risultano veramente vulnerabili ", suggerisce Belsky.
Lo psicologo Michael Pluess della Queen Mary University di Londra, coautore del lavoro di Karam che ha anche collaborato alla ricerca con Belsky, è d'accordo. I bambini molto sensibili possono trarre beneficio dal dover sostenere sfide che tuttavia non divengano soverchianti.
La prospettive della ricerca
Tracciare le reazioni di bambini sensibili e resilienti prima, durante e dopo un conflitoo armato è impossibile. Situata al di là del caos violento della Siria, il team di ricerca della dottoressa Karam non può condurre un'indagine del genere. Ma i ricercatori hanno iniziato uno studio a lungo termine per districare come la sensibilità ambientale e le prime avversità promuovano o scoraggino i problemi mentali nei bambini rifugiati siriani.
Molti siriani fuggiti dal loro paese vivono in tendopoli nella pianura della Beqaa in Libano, vicino al confine siriano. Dal 2018, il gruppo di Karam ha reclutato più di 1.000 bambini e adolescenti che vivono in quei campi in uno studio che durerà almeno quattro anni. I ricercatori valuteranno regolarmente la situazione familiare di ciascun minore, le avversità attuali e passate e il supporto emotivo fornito da familiari e amici. Anche la sensibilità ambientale dei partecipanti verrà monitorata nel tempo.
Campioni di saliva e di capelli da volontari consentiranno agli investigatori di monitorare i livelli di ormone dello stress e confrontare i corredi genetici dei bambini.
Karam ha in programma di esaminare se le prime avversità riportate in prima persona annuncino la comparsa di particolari capacità di coping in bambini rifugiati altamente sensibili. Vuole anche vedere se i bambini estremamente sensibili hanno acquisito una resistenza particolare allo stress,in seguito a esperienze positive, come trascorrere i loro primi anni con genitori solidali.