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Iscriversi all’università, essere riusciti a superare i test di ingresso, non significa che uno studente sia pronto per quello che lo attende. Occorre aver maturato alcune basilari competenze di adultità. I genitori possono aiutarli in questo, sostenendo e incoraggiando i loro ragazzi ad aumentare il loro grado di autonomia e responsabilità personale mentre sono ancora alle superiori.

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Il professor McConville,  psicologo clinico e autore di Adolescence: Psychotherapy and the Emergent Self, racconta di ricevere ogni estate telefonate da parte di genitori ansiosi, preoccupati che il loro ragazzo neodiplomato non sia pronto per l’università.

In alcuni casi, questi timori rispecchiano il normale conflitto che segnala, per molti di loro, la separazione imminente. Ma, in altri casi, descrivono un ragazzo che non è pronto per l'indipendenza richiesta dall'impegno universitario. Faccio un esame della situazione, afferma il professore, e do loro qualche raccomandazione e una mia valutaziopne - per lo più è positiva (il ragazzo è pronto per il college) ma occasionalmente non lo è (il ragazzo non ha maturato la necessaria indipendenza e responsabilità).

Alla fine, dentro di me resta sempre una domanda in sospeso: "Perché non hanno chiamato un anno fa?"

Il momento ideale per pensarci non è solo appena prima dell’università, ma piuttosto l'estate che precede l'ultimo anno delle superiori o ancora prima nel corso della scuola superiore – fase che offre ampio spazio per affrontare i problemi di preparazione all’università. Tuttavia, indipendentemente da quando si decida di farlo, ci sono alcuni passi da fare.

 
Pronto oppure no?

I genitori non possono essere sicuri al cento per cento che il loro ragazzo sia pronto per la vita universitaria, ma trent’anni come psicologo mi hanno insegnato cosa verificare. Gli studenti di scuola superiore destinati all'università sono prossimi all'età adulta. La transizione verso lo status di adulto secondo le ricerche effettuate dallo psicologo Jeffrey Jensen Arnett, richiede in genere da 8 a 10 anni.

L'indicatore chiave che un individuo è pronto per affrontare questa transizione è l'emergere di un nuovo livello di responsabilità personale.

Nella prima adolescenza, associamo la responsabilità al doveroso adempimento degli obblighi e dei doveri: svolgere le faccende domestiche, completare i compiti a casa, lavarsi i denti prima di andare a letto, ecc. Un ragazzo responsabile, in questa fase, è un ragazzo conforme, in quanto è in definitiva il genitore che ha la responsabilità del minore.

Nel corso dell'adolescenza, ci aspettiamo maggiore iniziativa e investimento personale per quanto riguarda i doveri e gli obblighi, ma la maggior parte dei genitori non abdica del tutto alla supervisione. In altre parole, il genitore e l'adolescente condividono le responsabilità dell'adolescente.

Il segnale più affidabile che la transizione verso l'età adulta emergente è iniziata, consiste nell'evidenza che il ragazzo abbia iniziato ad assumere la titolarità esclusiva di queste responsabilità - indipendentemente dal coinvolgimento dei genitori - attraverso l'iniziativa personale e la costanza.

Questa emergente titolarità si manifesta in particolare in tre aree: salute medica e comportamentale, compiti scolastici e di amministrazione delle proprie cose.

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Salute fisica e del comportamento

Molti giovani hanno qualcosa da gestire a livello fisico, spesso a seguito di una diagnosi medica (per esempio, diabete, carenze di elementi, disturbo da deficit di attenzione, disturbi alimentari, e così via) o una sfida comportamentale da sostenere per migliorare la loro salute (problemi legati alla dieta, al sonno o all'uso di sostanze). I bambini e gli adolescenti gestiscono questi problemi con supervisione e assistenza da parte degli adulti.

Il passaggio all'età adulta richiede la titolarità personale di questi problemi e la capacitò di apprendere come gestirli in modo efficace. Ho lavorato con centinaia di studenti che hanno fallito all’università su questo terreno: l'incapacità di controllare i cicli sonno-veglia,la procrastinazione, l’abuso di sostanze o necessità sanitarie, legate a specifiche questioni fisiche, che non sono state rispettate.

Ho incontrato di recente uno studente di 17 anni i cui genitori stavano ancora programmando per lui gli orari di rientro alla sera e fornendo il “servizio” di sveglia mattutina. 

"Non riesce a gestire la sua necessità di sonno" si lamentavano.  Non è detto che non riesca, ho risposto loro. È più probabile che non voglia, perché non è affatto costretto a farlo. Un cambio di abitudini e regole familiari, diverse mattine di ansia genitoriale e alcune note scolastiche disciplinari dopo, il loro ragazzo ha iniziato a gestire il suo ciclo sonno-veglia davvero bene.


Impegni scolastici

Nel corso del primo anno, vogliamo vedere gli studenti assumere la responsabilità e la piena titolarità delle loro carriere scolastiche. Ciò non si manifesta necessariamente a livello di voti, ma in spirito di iniziativa scolastico: pianificare e gestire il programma, apprendere quando e come cercare aiuto, e così via. Nello specifico, vogliamo vedere gli studenti universitari costruire dentro di loro la coscienza del rapporto tra le loro attuali prestazioni accademiche e i loro piani di vita futuri.

Devono sapere come prestare attenzione in aula, prendere appunti, fare i compiti e produrli per tempo, studiare per gli esami, e così via. Avrebbero dovuto saper fare fin dall’inizio tutto questo, naturalmente, ma alcuni ragazzi riescono a superare le superiori senza arrivare a padroneggiare la normale routine delle necessità scolastiche.

Se uno studente ha ancora bisogno di responsabilità esterna per il lavoro scolastico, potrebbe arrivare a dire ai genitori di non essere ancora pronto per l'indipendenza universitaria.

Molti genitori si concentrano troppo intensamente sui soli voti, piuttosto che sul processo attraverso il quale questi sono stati ottenuti. Se un genitore alla fine della quinta superiore si sente ancora come il poliziotto dei compiti a casa, è tempo che vada in pensione. Uno studente di quelli che arrivano appena alla sufficienza, ma in grado di gestire la propria vita scolastica in autonomia, ha una migliore possibilità di successo all’università rispetto a uno studente che prende voti buoni o anche ottimi, ma che dipende ancora dalla supervisione dei genitori.

Mi viene in mente un ex paziente il cui QI da genio e le cui acrobazie intellettuali stimolavano e stuzzicavano i suoi insegnanti delle scuole superiori, anche se lui li frustrava con una totale mancanza di disciplina scolastica. Gli adulti che si occupavano di lui lo avevano indirizzato a un percorso di istruzione impegnativo e esigente nella scuola superiore, finendo poi per piazzarlo in un'università di alto livello. Il bagliore esercitato del suo prodigioso intelletto oscurava la mancanza in lui di un componente cruciale - la titolarità del suo percorso e dei suoi risultati scolastici – e, purtroppo, come era prevedibile, ha fallito e abbandonato il college dopo due semestri.

Questo ragazzo e io abbiamo lavorato insieme in terapia per un anno. Seguendo le mie direttive, ha frequentato dei corsi in un’università statale che gli richiedeva di buttar giù da solo il programma di studi, di tenere un calendario degli impegni e gestire la continuità delle scadenze. I suoi genitori hanno collaborato non intromettendosi in questo percorso. Il settembre successivo, quel ragazzo è tornato con successo all'università, questa volta tenendo il timone della sua vita accademica.

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Compiti amministrativi

Il terzo segnale dell'essere pronti a una condotta responsabile, riguarda compiti banali di vita quotidiana: tenere un calendario degli impegni, rispettare le scadenze, compilare moduli. I genitori sorvegliano queste attività durante l'infanzia e l'adolescenza, ma gli studenti universitari devono saperle gestire da soli.

Questi compiti minori costituiscono in realtà un importante indicatore di sviluppo in quanto saperli padroneggiare significa esser pronti a iniziare a sentirsi, pensare e comportarsi come un adulto.

Imparare le sfumature della responsabilità di amministrarsi richiede tempo, ma è un segnale rassicurante che un figlio sarà in grado di affrontare la vita quotidiana all’università, senza la supervisione dei genitori.

Se tuttavia un ragazzo, in questa fase di transizione, è riluttante ad assumere compiti semplici (ma non insoliti), può valere la pena di esplorare quale ne sia il problema.

Recentemente ho incontrato una madre e il suo ragazzo alla fine delle superiori, e ho assistito ad una snervante discussione sul suo rifiuto di riprogrammare un appuntamento con il medico.

Dopo aver fatto uscire la madre dal mio ufficio, il giovane mi ha confessato con imbarazzo che non voleva chiamare perché non sapeva cosa dire, e temeva che il personale dell'ufficio lo avrebbe sgridato. Ricordo di aver pensato lo stesso genere di cose quando avevo la sua età. Quanti di noi hanno capito le questioni pratiche di come il mondo funziona davvero a 17 o 18 anni?

Dopo aver invitato sua madre a rientrare, ho chiesto se poteva chiamato l'ufficio del medico al telefono, mostrando come si annulla un appuntamento. Dopo averla ascoltata, il ragazzo ha commentato, come prevedibile: "Oh. Ma è tanto semplice!"

Tutto ciò di cui aveva bisogno era uno schema per quello che doveva dire. La prossima volta non avrà problemi ad assumersi questa piccola (ma importante) responsabilità - e, con essa, quando sarà il momento, se continuerà su questa strada, tutta la gamma di impegni "amministrativi" richiesti dalla vita universitaria, conclude il professor McConville.


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