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Nel corso della prima adolescenza, alle scuole medie, può venire meno il desiderio di apprendere e un ambiente come la classe scolastica spesso diventa un freno per l'espressione e la partecipazione dei ragazzi.

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Basta considerare quello che di solito avviene quando l’insegnante, dopo aver fatto una spiegazione, chiede: "Chi conosce la risposta?"

In prima elementare, le mani iniziano ad agitarsi per tutta la stanza: "Io! Io! Chiedi a me!" I bambini sono entusiasti di condividere quello che hanno capito. Se ci si sposta all’interno di un’aula di seconda media, quando l'insegnante fa la stessa domanda, all'inizio nessuna mano si solleva, poi qualcuna, molto lentamente, con cautela. Cosa sta succedendo? Cosa è successo alla reazione eccitata della classe delle elementari?

Il calo della partecipazione entusiastica, spiega in un recente intervento il professor Carl Pickhardt, psicologo, è dovuto alle due diverse età. Gli stessi studenti possono trattare le esperienze di apprendimento formale in modo molto diverso, a seconda della loro età.

Gli appassionati studenti di 6 anni considerano la domanda dell'insegnante come un'opportunità per mostrare quello che sanno; mentre a tredici anni, quando i ragazzi sono più reticenti e provano un crescente senso di vulnerabilità, l'invito dell'insegnante risulta pieno di rischi, 

Perché vulnerabili? Da diversi punti di vista, Anzitutto, il giovane adolescente può sentirsi più insicuro ora che si sviluppa. Separarsi dall'infanzia crea una perdita: si sta lasciando il più semplice, protetto, stabile mondo infantile alle spalle, al quale non si potrà più far ritorno.

Non accetta più di essere definito e trattato come un bambino piccolo; il giovane vuole diventare diverso, ma è dubbioso su cosa potrà essere questa ridefinizione.

Si allontana dalla famiglia per formare una compagnia di amici che lo supportino. Adesso le pressioni dei pari relative all’appartenenza, alla conformità e alla posizione all’interno del gruppo giocano un ruolo molto importante.

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Mentre la pubertà ridisegna in modo imprevedibile il loro corpo, l'autocoscienza  e l’autocritica può dominarli, provocando anche terribili incertezze su come si viene percepiti da un punto di vista fisico a livello sociale.

Tenendo presente questa iniziale insicurezza adolescenziale, bisogna prendere in considerazione le possibili paure che il partecipare alla vita in classe potrebbe provocare. La paura dell'ignoranza, di commettere errori, di non essere all’altezza da un punto vi vista cognitivo, di sentirsi umiliati, di fallire.

Mentre affronta possibilità o eventi nuovi e impegnativi, a un ragazzo può sembrare impossibile riuscire ad apprendere qualcosa di nuovo in un contesto pubblico, come un'aula scolastica o all’interno di gruppo di amici più esperti.

I genitori che hanno avuto un figlio che partecipava in modo irreprensibile ai primi anni di scuola, potrebbero meravigliarsi quando l'insegnante di prima media lo descrive come uno studente che a malapena spiccica una parola volontariamente in classe. L'apprendimento consente di costruire autostima. Quindi, perché il loro ragazzo non apre mai bocca a scuola?

Ciò che dimenticano è come, durante la prima adolescenza e anche oltre, l'autostima abbia bisogno a sua volta di imparare, perché tutti devono saper correre i normali rischi dell'apprendimento. A questa età, un giovane che soffre di bassa autostima (definendo il proprio "sé" in modo molto restrittivo e valutandolo duramente) si può precludere l'apprendimento di qualcosa di nuovo, perché non vuole sperimentare quello che potrebbe non "fare bene".     

Quindi, come possono i genitori reagire in modo efficace a questa riluttanza ad apprendere? Come insegnanti prioritari nella vita del giovane, possono assicurarsi di non rendere l'apprendimento insicuro anche a casa, possono parlare dei rischi dell'apprendimento in termini positivi e discutere dell'apprendimento nella "grande scuola della vita".

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Fare attenzione a rendere l'apprendimento non sicuro anche a casa

Molti genitori soffrono di  una specie di “amnesia didattica”. Hanno dimenticato come una volta, quand’erano più giovani, era molto difficile imparare quello che, dopo anni di pratica, adesso sembra loro molto facile, quasi automatico.

Così, stanchi dopo una lunga giornata, possono diventare impazienti con un giovane adolescente che sta faticando su alcuni compiti che stanno supervisionando, per vedere se sono stati fatti adeguatamente.

Quindi, mentre cresce l'impazienza da adulti di fronte a un problema "semplice", il genitore inconsapevolmente contribuisce a far crescere le paure fondamentali dell'apprendimento con le sue critiche.   

Questo accade quando dice frasi come: “Ma adesso dovresti saperlo!” aumentando così la paura dell'ignoranza; "Hai sbagliato di nuovo!", facendo crescere la paura degli errori; "Non ci stai nemmeno provando!", aumentando la paura di essere incapace; "Un bambino saprebbe fare meglio!", aumentando la paura dell'umiliazione; "Non imparerai mai!", aumentando la paura del fallimento.

Si tratta di una rappresentazione estrema, si spera molto improbabile, sottolinea il professor Pichardt, tuttavia bisogna tener presente che i genitori sono i primi insegnanti nella vita di un giovane, sotto tutti i punti di vista e, sentendosi frustrati, possono impulsivamente fare sentire i ragazzi insicuri nelle esperienze di apprendimento, qualcosa di vecchio per loro ma nuovo per l'adolescente.

I genitori dovrebbero trattare l'apprendimento come un'attività sacra, facendo della casa un posto precluso alle prese in giro, in cui nessuno, fratello o adulto, si prende gioco degli sforzi di qualcun altro per padroneggiare una nuova conoscenza o abilità.

Per capire come comportarsi, basta ricordare il vecchio esempio dell’insegnamento della guida automobilistica. I genitori rilassati possono rendere emotivamente sicura questa esperienza educativa, ma quelli nervosi o ansiosi non possono assolutamente riuscirci, ed è meglio che lo facciano fare a qualcun altro.

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Spiegare i rischi dell'apprendimento in termini positivi

Con un giovane adolescente intimorito o scoraggiato dai rischi dell'apprendimento, può essere d'aiuto mettere le dinamiche e i problemi dell'apprendere in una luce positiva.

Per contrastare la paura dell'ignoranza, si può dire: "Ogni apprendimento inizia con l'ammettere di non sapere"; per la paura degli errori: "Sbagliare è un modo per imparare a farlo bene"; per la paura di essere incapaci: “Non sei lento, stai imparando seguendo il tuo ritmo”; per la paura dell’umiliazione: “Lasciare che gli altri vedano il tuo sforzo per imparare è un comportamento coraggioso”; per la paura di fallire: “Fallire per aver tentato è la prova di quanto tu ti sia sforzato”.


Imparare nella "grande scuola della vita"

In conclusione, suggerisce Pichkardt, i genitori potrebbero spiegare ai loro figli adolescenti come funziona l'apprendimento nella vita, la cosiddetta “grande scuola della vita”.

“Nella 'grande scuola della vita' saremo entrambi sempre studenti. Non sperimenteremo mai tutto, non sapremo mai tutto, non controlleremo mai tutto, non presteremo mai abbastanza attenzione, non lo faremo mai del tutto bene, faremo entrambi delle cose sciocche e nessuno prenderà in ogni campo il voto massimo.

Il meglio che possiamo fare è prendere le nostre decisioni, cogliere le nostre possibilità, affrontarne le conseguenze e continuare a provarci quando il gioco si fa duro. Possiamo attribuirci il merito di aver fatto la nostra parte in ciò che funziona bene e di imparare dagli errori, perché l'educazione basata sull'errore spesso insegna lezioni che non si dimenticano più. E proprio come sai, anche se forse non ho fatto aumentare il numero dei tuoi errori, di sicuro ne ho fatti un sacco anch'io. E continuo a farne".


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