Adam Grant è uno psicologo delle organizzazioni. Racconta che una decina d’anni fa, al termine del suo primo semestre di insegnamento a Wharton, uno studente andò da lui all’orario di ricevimento, si sedette e scoppiò in lacrime.
Immediatamente Grant iniziò a ipotizzare quali eventi potessero far piangere un giovane universitario: la sua ragazza lo aveva lasciato; era stato accusato di plagio per una tesina, e così via.
"Ho appena ricevuto il mio primo trenta senza lode" confessò il ragazzo, con la voce rotta dall’emozione.
Anno dopo anno, dice lo psicologo in un intervento dedicato al tema dell’ambizione scolastica che diventa ossessione, guardo con sgomento agli studenti che hanno la sola fissazione di prendere sempre il massimo dei voti. Alcuni sacrificano per questo anche la loro salute; alcuni hanno persino provato a citare in giudizio la loro scuola o università dopo aver fallito in un esame.
Sono tutti uniti dal culto del perfezionismo, nella convinzione che ottenere il massimo dei voti sia il modo di poter accedere alle scuole di specializzazione di élite e di poter un giorno ricevere lucrose offerte di lavoro.
Ero uno di loro, ammette Grant, ho iniziato il college con l'obiettivo di laurearmi a pieni voti. Sarebbe stata una prova della mia intelligenza e forza di volontà, in quel modo avrei mostrato che avevo le carte in regola per ottenere il successo nella vita. Ma mi sbagliavo.
L'evidenza di questo è lampante: l'eccellenza accademica non è un forte predittore di eccellenza professionale.
La ricerca svolta presso le imprese mostra che la correlazione tra i voti e le prestazioni lavorative è modesta nel primo anno dopo l’università e molto labile, quasi trascurabile nel giro di pochi anni.
Ad esempio, all’interno di un’azienda come Google, una volta che i dipendenti sono ormai da due o tre anni fuori dall’università, i loro voti non hanno alcun impatto sul livello delle loro prestazioni. (Ovviamente, bisogna dire che se si è usciti con il minimo dei voti, probabilmente non si finisce a lavorare per Google).
I voti accademici raramente valutano qualità come la creatività, la capacità di leadership e di lavorare in squadra, o l'intelligenza sociale, emotiva e politica.
Certo, gli studenti da trenta e lode padroneggiano informazioni e conoscenze, e le riversano sui professori nel corso degli esami. Ma il successo nella carriera lavorativa raramente sta nel sapere trovare la soluzione giusta di un problema: si tratta piuttosto di trovare il problema giusto da risolvere.
In uno studio ormai classico fatto nel 1962, continua lo studioso, un team di psicologi ha fatto un elenco degli architetti più creativi in America e li ha confrontati con i loro colleghi tecnicamente più esperti ma meno originali.
Uno dei fattori che distingueva gli architetti creativi è stato il fatto di aver avuto una serie di voti non alti.
"All’università gli architetti creativi avevano una media intorno al ventotto" ha scritto Donald MacKinnon, autore dello studio. "Nel lavoro e nei corsi che catturavano il loro interesse potevano trasformarsi e prendere la lode, ma nei corsi che non riuscivano ad accendere la loro immaginazione, erano piuttosto disposti a non impegnarsi affatto".
Davano importanza alla loro curiosità e priorità alle attività che trovavano intrinsecamente motivanti – cosa che alla fine è stata molto utile per le loro carriere.
Ottenere una serie di trenta e lode richiede conformità. Avere una carriera importante richiede originalità.
In uno studio condotto su studenti che si sono laureati ai primi posti della loro classe, Karen Arnold, ricercatrice nel campo dell’apprendimento, ha scoperto che sebbene di solito avessero poi una carriera di successo, raramente raggiungevano i livelli più alti nella loro professione.
"È improbabile che i secchioni siano poi quelli capaci di avere visioni innovative del futuro" ha spiegato la dottoressa Arnold . "In genere si stabiliscono 'comodamente' all’interno del sistema invece di scuoterlo".
Questo potrebbe spiegare perché Steve Jobs finì il liceo con un voto mediocre , JK Rowling si diplomò all'Università di Exeter con circa una media bassa, e il reverendo Martin Luther King Jr. ebbe solo un trenta nei suoi quattro anni da universitario.
Se l’unico obiettivo di un ragazzo è quello di laurearsi senza brutti voti sul libretto, finisce per seguire le lezioni più facili e rimanere nella sua “zona di comfort”. Se si è disposti a tollerare un voto mediocre, si può imparare a programmare in Python e allo stesso tempo sforzarsi per decifrare "Finnegans Wake".
Si fa una grande esperienza affrontando fallimenti e battute d'arresto, con i quali si costruisce la propria resilienza .
Gli studenti da trenta e lode spesso non hanno una grande vita sociale. Passare più tempo a studiare in biblioteca significa avere meno tempo per coltivare amicizie durature, per iscriversi a nuovi club o per fare volontariato.
Lo so per esperienza diretta, dice Grant. Non mi sono laureato con la lode, ma con una media più bassa. Solo adesso, a sedici anni da quando mi sono iscritto alla scuola di specializzazione, parlo senza problemi del mio voto, perché so che a nessuno importa davvero.
Guardando indietro, ad essere sincero, non vorrei che i miei voti fossero stati più alti. Se potessi ripartire da zero, studierei di meno. Le ore che ho sprecato a memorizzare il funzionamento interno dell'occhio, ad esempio, sarebbero state spese meglio provando un’improvvisazione in una recita teatrale o facendo più conversazioni notturne con i miei amici sul significato della vita.
Le università dovrebbero rendere più facile agli studenti il prendersi dei rischi intellettuali. Le scuole di dottorato dovrebbero essere chiare sul fatto che non si preoccupano della differenza tra una media del ventinove o del ventotto.
Questo potrebbe anche aiutare a fermare la follia dell’ossessione per il voto alto, la quale esaspera la competizione e trasforma l’università in un torneo e incoraggia troppi studenti a impegnarsi per raggiungere una perfezione senza significato.
I datori di lavoro, da parte loro, dovrebbero chiarire che apprezzano le abilità e le capacità personali oltre alle lauree con la lode.
Alcuni selezionatori del personale sono già di questo avviso: in uno studio del 2003 su oltre 500 posti di lavoro, quasi il 15 percento dei responsabili delle assunzioni ha volutamente scartato studenti con alti voti di laurea e medie negli esami (forse mettendo in dubbio le loro priorità e abilità di vita), mentre oltre il 40 percento non ha dato alcun peso ai voti nello screening iniziale.
Gli studenti da “trenta e lode”, in ultimo, conclude lo psicologo, dovrebbero riconoscere che un percorso scolastico deludente può preparare a superare l’esame della vita. Quindi, ironizza Grant, forse per loro è il momento di applicarsi con grinta a un nuovo obiettivo – prendere almeno un ventiquattro prima di laurearsi.