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Lo so, è solo un particolare. Insignificante, forse, rispetto alla moltitudine di altre sollecitazioni che ogni visita in carcere, ed in particolare in quello di Marassi, stimola in ogni visitatore. Ma ogni volta mi sorprende e commuove nella sua simbolicità.

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Il tempo in carcere si ferma. E non è una banale metafora, si tratta proprio di lancette. Quelle degli orologi, innumerevoli, affissi altissimi in ogni corridoio, di ogni piano, di ciascuna sezione di questa labirintica enorme galera. Queste lancette sono perennemente immobili.

Cristallizzate da tempo immemore (e ormai immutabile, salvo intervento esterno sul meccanismo inceppato) a segnare un minuto che si è perso ma si ripete inesorabile due volte al giorno. Per rendere ancora più inquietante questa non voluta simbologia, le lancette degli ingranaggi di ogni orologio che incrociamo nella nostra visita, sono rimaste ferme, tutte, in orari diversi.

Ogni corridoio ha la sua particolare immobilità, inevitabile, ma diversa dalle altre. L'effetto estraniamento è incredibilmente perfetto. Lo spaesamento è il tema costante di questa visita.

Non solo perchè il carcere in sé è un non luogo per eccellenza, ma perchè oggi siano in visita, come osservatori di Antigone, accompagnati dal Consigliere regionale Gianni Pastorino, per verificare le condizioni delle persone ristrette nei reparti di osservazione psichiatrica e di "sostegno integrato" del Centro Clinico e nella VI sezione del 2°piano. Persone che avrebbero bisogno di cura e non di reclusione.

Entrare nella Casa Circondariale di Marassi suscita sempre un forte impatto emotivo anche se attenuato dall'accoglienza della nuova direttrice Maria Milano preparatissima e disponibile e dal comandante Massimo Di Bisceglie, professionale come sempre, ma, questa visita "mirata", è più angosciante di altre.

Girando per i vari reparti detentivi si percepisce uno sforzo di "umanizzare" la reclusione: celle aperte per più ore al giorno, alcune scrostate e ridipinte da poco, l'impegno dei vari operatori e volontari che cercano di offrire opportunità di impegnare quel tempo immobile in maniera costruttiva.

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Tuttavia, malgrado questi sforzi, nelle celle che oggi appositamente visitiamo, questi "particolari" detenuti si trovano in uno stato di profonda prostrazione, di evidente sofferenza psico-fisica. Nella maggioranza dei casi si tratta di persone affette da gravi patologie o addirittura portatori di vere e proprie invalidità (il più loquace di loro, non più giovanissimo, è costretto su una sedia a rotelle), ma soprattutto quello che si percepisce è un'acuta e insanabile sofferenza psichica.

La quantità di casi psichiatrici, come spiega il dott. Enzo Paradiso, è drammatica. Questo dato rappresenta in modo chiaro la sconfitta del sistema giudiziario italiano che sceglie di rinchiudere anziché prendersi cura.

L'anno scorso è giunta a compimento l'applicazione della legge che finalmente sanciva la chiusura dei famigerati ospedali psichiatrici giudiziari e la apertura delle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezze.

La legge, se ben intesa e ben applicata, non solo sanciva la chiusura degli OPG ma obbligava le Aziende Sanitarie Locali a predisporre progetti terapeutici riabilitativi individuali per curare le persone nel proprio territorio d'origine in modo adeguato.

Secondo Paradiso, "l'intenzione encomiabile del legislatore si è trasformata nella pratica operativa in uno scaricabarile che ha reso le carceri vere e proprie discariche sociali.

In Liguria la residenza per l'esecuzione della misura di sicurezza è ancora molto lontana dall'essere realizzata e nel frattempo i pazienti della nostra Regione vengono inviati Lombardia a Castiglione delle Stiviere con un costo pro-capite di circa 500 euro al giorno.

In questo modo si costringono i famigliari dei pazienti e degli operatori dei servizi territoriali a viaggi faticosi e dispendiosi". Aggiungere alla pena della malattia quella della detenzione è una crudeltà inutile e dannosa: non cura né rieduca ma peggiora esponenzialmente le sofferenze già imposte da una sorte avversa.


Testo precedentemente pubblicato da Repubblica - Genova


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