Il giudice minorile John Walker sostiene che occorre un’assunzione di responsabilità collettiva per affrontare le complesse cause alla base dei reati commessi dai minorenni. Tale assunzione di responsabilità, dice il giudice in base alla sua lunga esperienza, offre una migliore possibilità di successo per il recupero dei giovani rispetto all'avere nei loro confronti una posizione rigida, mirata solo a un’attribuzione di colpa al minore.
Quando sentiamo parlare di una rapina aggravata in un negozio o in una stazione di servizio da parte di un giovane, dice Walker, e leggiamo del dolore a lungo termine, delle ferite e dei traumi emotivi subiti da coloro che sono stati derubati, siamo nel giusto se ci sentiamo profondamente preoccupati.
Viene avanzata spesso una richiesta ai tribunali per trattare questi giovani autori di reato come adulti: "Crimine da adulto, età da adulto".
La triste verità è che sono ancora dei bambini.
Quando hanno 10 o 11 anni li vediamo come bambini "vulnerabili" bisognosi di cure e protezione. Poi, più avanti, il loro comportamento delinquenziale, che emerge dalla stessa vulnerabilità, cambia le carte in tavola. All'improvviso, è tutta colpa loro.
Ma di chi è la colpa quando i ragazzi e giovani adolescenti commettono un reato? E come possiamo dare loro la colpa quando ci stiamo ancora sforzando di comprendere il complesso intreccio di problemi di fondo che mettono i ragazzi in rotta di collisione con la legge?
Dopo tutto, i giovani non crescono nel vuoto. Sono cresciuti in famiglie; famiglie che formano comunità che dovrebbero essere la spina dorsale della nostra società.
Una protezione a lungo termine delle comunità dal comportamento delinquenziale e il recupero delle loro giovani vite richiede una profonda ricognizione di quanto sta al di sotto del loro comportamento, e modalità e strumenti per affrontarlo in modo efficace. Le comunità sono una parte integrante di questo.
Nel tribunale per i minorenni, spesso tentiamo di "recuperare", cercando di trasformare le giovani vite che incontriamo affrontando questioni che sono erano lì, e ben identificabili, da molti anni, forse fin dalla loro nascita.
La corte si sforza di capire cosa stia determinando il loro comportamento. Cerca di affrontare quelle cause sottostanti avvalendosi di team multidisciplinari e applicando l'autorità del tribunale per generare motivazione e spingere tutte le persone coinvolte a impegnarsi in interventi di recupero.
La complessità delle vite dei ragazzi con cui stiamo lavorando rende questo proposito una sfida immensa. Sembra che quanto più impariamo a conoscere i giovani autori di reato, tanto più difficile diventa.
Una cosa è certa: a meno che le cause di fondo del reato non vengano affrontate in modo efficace, il comportamento deviante continuerà. E più si aspetta a intervenire, più sarà difficile farlo con possibilità di successo.
Non c'è dubbio che la natura dei reati che finiscono di fronte al tribunale minorile sta diventando sempre più seria e complessa.
Stiamo assistendo a violazioni della legge sempre più violente, in particolare nelle aree ad alta densità e ad alto tasso di deprivazione, e sempre più spesso da parte delle ragazze.
Così preoccupante è la tendenza emergente dei reati violenti tra ragazze e giovani donne che lo scorso anno il mio ufficio ha avviato un'iniziativa comune tra diverse agenzie di operatori per cercare di sviluppare risposte efficaci.
La maggior parte dei ragazzi che compaiono davanti al tribunale minorile giovani ha un passato di procedure di affidamento avviate dal tribunale della famiglia. Hanno una lunga storia precedente che li considerava seriamente a rischio.
I disturbi della neurodisabilità come la sindrome di alcolizzazione fetale (Fasd), la disabilità intellettiva e la dislessia sono significativamente più alti in coloro che arrivano in in tribunale rispetto alla popolazione generale dei ragazzi.
Vi è un aumento della malattia mentale, tanto che la questione dell’idoneità a sostenere il processo non è più cosa marginale.
Essere all’interno di un percorso scolastico è un importante fattore e protettivo contro la commissione di reati, ma quasi la metà dei giovani che autori di reato non frequentano la scuola.
Esiste una chiara correlazione tra l'esposizione alla violenza familiare e il commettere gravi reati violenti. Si stima che circa l'80 per cento dei minori e dei giovani adolescenti autori di reato abbiano subito violenze familiari, sia direttamente che indirettamente.
Le ultime ricerche suggeriscono che le ragazze, in particolare, hanno maggiori probabilità di diventare autrici di crimini violenti e di unirsi a uomini violenti se sono state esposte a violenza familiare e sessuale durante la loro crescita.
Gli effetti del crescere in un clima di violenza sono gravi: fisicamente, emotivamente e evolutivamente, includendo anche quello che potrebbe avvenire con eventuali nascituri.
Sono d'accordo con l'opinione che se porti un bambino in una zona di guerra finisci con il ritrovarti con un guerriero.
Basta immettere una qualsiasi di queste complicazioni in una vita giovane - per non parlare di quello che accade quando le problematicità sono più di una - e si inizia a comprendere perché un giovane abbia commesso un reato.
Spesso quando finisco di leggere una relazione psicologica che descrive l’ambiente e la storia tumultuosa e problematica di un giovane deviante, la domanda che pongo è: "Allora perché qualcuno adesso è tanto sorpreso di quello che è successo?"
Un ragazzo di 14 anni con gli stessi problemi di fondo che a 10 anni lo rendevano vulnerabile, ora è considerato un criminale. Un adolescente pericoloso che sta diventando un adulto pericoloso.
I comportamenti e i meccanismi di coping, lo sviluppo ritardato e il disimpegno dalla scuola e da positive relazioni con la comunità, sono intrecciati saldamente tra loro. Privati di un ambiente sicuro e stimolante in cui crescere, gli adolescenti si trovano subito sulla via del carcere.
È troppo facile e semplicistico per le comunità vedere i giovani che commettono reati come la prova di un’adolescenza "andata male", di una generazione emergente che è senza speranza, pericolosa e che deve essere messa dietro le sbarre.
Dal mio punto di vista, assumersi la responsabilità collettiva per la condizione di coloro che cadono in percorsi di criminalità – includendovi la responsabilità per gli effetti del loro comportamento – è un cruciale punto di avvio per la creazione di risposte efficaci e soluzioni durature alla devianza giovanile.
Riconoscere che il comportamento deviante non viene dal nulla ci richiede di chiedere cosa possiamo fare - comunità per comunità - per affrontare le cause del reato e per fornire ambienti e contesti in cui i nostri giovani possano prosperare, permettendoci di poter aspirare a giovani vite in grado di rappresentare un beneficio di tutti .
Il sistema della giustizia minorile non può operare con successo in una condizione di isolamento. Ha bisogno del coinvolgimento della comunità per essere aiutato ad affrontare le cause alla base della criminalità giovanile.
Le comunità racchiudono enormi risorse non utilizzate per aiutare a trovare soluzioni alla devianza giovanile. Spesso i loro membri hanno solo bisogno di essere coinvolti, di avere informazioni su ciò che noi operatori della giustizia stiamo osservando e che venga mostrato loro un percorso per unirsi a quelle agenzie e famiglie che hanno bisogno del loro aiuto.
Il tribunale dei minorenni e i suoi giudici hanno un ruolo importante in questo. Sappiamo che l'impegno e la collaborazione tra i tribunali e le comunità cui appartengono, può consentire alle risorse locali di offrirsi al tribunale per aiutare, in settori come l'alfabetizzazione, il tutoraggio e la formazione e le opportunità di lavoro.
Piuttosto che sprecare le nostre energie puntando il dito, approcci costruttivi che coinvolgono comunità che assumono responsabilità collettive per i loro giovani, e che apprendono e poi affrontano le cause soggiacenti al comportamento, hanno maggiori probabilità di trasformare e dare una svolta positiva alle loro vite.