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La legislazione minorile italiana rappresenta un modello avanzato di trattamento del minore autore di reati, ponendo al centro dei suoi interventi il fattore educativo rispetto a quello meramente punitivo. In molti paesi il fallimento delle procedure centrate sulla carcerazione e indifferenti alla “lettura” del reato in termini di bisogni del minore, sta portando alla sperimentazione di progetti analoghi a quelli che nel nostro paese puntano anzitutto al recupero dei ragazzi.

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Negli ultimi due decenni, il sistema della giustizia minorile statunitense è stato lodato per aver portato a una diminuzione nell'uso della reclusione, in quanto legislatori e operatori hanno cambiato le politiche e le pratiche per abbandonare l'utilizzo, costoso e inefficace, delle strutture carcerarie.

Questo ha comportato un dimezzamento della popolazione reclusa e una diminuzione storica dei tassi di criminalità giovanile. Tutto ciò è giustamente considerato una storia di successo.

Tuttavia, quando si scava un po’ più in profondità nei dati, emerge una realtà più sfumata. Molte delle riforme che hanno ridotto l'incarcerazione si sono limitate a ridurre i contatti con il sistema giudiziario e il rischio dell’arresto per coloro che erano coinvolti in reati nonviolenti.

È ora di spostare il punto di attenzione, affermano Ryan King e Jeremy Kittredge, del Justice Policy Institute i(organizzazione non-profit nazionale impegnata per la riforma del sistema giudiziario, a favore di politiche innovative che puntino al benessere e alla giustizia per persone coinvolte e per le comunità in generale).

A settembre, il Justice Policy Institute (JPI) e il Centro nazionale per le vittime del crimine (NCVC) hanno presentato i risultati di un nuovo rapporto: "Intelligente, sicuro, equo: strategie per prevenire la violenza giovanile, guarire le vittime del crimine e ridurre l'ingiustizia razziale".

La relazione chiede che il settore della riforma della giustizia e la “comunità” delle vittime lavorino insieme per estendere il trattamento basato su percorsi esterni nella comunità a tutti i giovani, indipendentemente dal reato, rafforzando ruoli e competenze delle comunità e delle famiglie; chiede inoltre alle istituzioni, in questa direzione, di fornire risorse adeguate per soddisfare le esigenze delle vittime di reato.

La ricerca mostra chiaramente il fatto che la comunità è l’ambiente migliore per sostenere ed educare i giovani che sono stati condannati per un crimine, indipendentemente dal reato commesso.

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Mantenere i giovani vicino a casa, fornire servizi e supporto, e consentire loro di impegnarsi e stringere le relazioni con le loro famiglie e fare esperienze nelle associazioni dei pari  che possono avere un’influenza positiva, porta come risultato a tassi significativamente più bassi di recidiva.

Oltre a rendere tutti più sicuri all’interno della comunità, con questa impostazione i giovani possono essere seguiti nella comunità a un costo molto inferiore rispetto a quello della reclusione, e tenerli a casa aiuta a mitigare i danni causati da politiche e pratiche non imparziali rispetto alla razza e all'appartenenza etnica, all’interno del sistema di giustizia minorile.

Sfortunatamente, la pratica della rieducazione comunitaria non ha seguito i risultati delle ricerche per coloro che hanno commesso crimini violenti, affermano gli autori. La reclusione in una struttura sicura rimane la risposta più comune del sistema giudiziario.

Questo è un fattore molto problematico, perché la ricerca ha dimostrato che i giovani che hanno commesso un reato violento traggono beneficio dal rimanere nella comunità e vicino a casa tanto quanto quelli che hanno commesso un reato non violento.


La società può essere protetta

Gli operatori del sistema di giustizia minorile sanno come trattare i giovani nella comunità per reati gravi e violenti mantenendo al contempo la sicurezza pubblica. Gli ostacoli in questa direzione sono i legislatori e le parti interessate che non vogliono estendere i benefici degli interventi basati sulla comunità ai giovani che hanno commesso violenze.

In alcuni casi, queste leggi e queste politiche

trascurano di considerare il livello di pericolosità reale e i bisogni dei giovani, ma si concentrano esclusivamente sul reato commesso, il che può innescare una condanna obbligatoria alla reclusione.

Questo porta ai risultati negativi che abbiamo visto fin troppo spesso, sottolineano King e Kittredge: alti tassi di recidiva, dispendioso dispiegamento di risorse all'interno del sistema di giustizia minorile e inconcepibili disparità di trattamento in base a razza ed etnia della popolazione reclusa.

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Per ridurre veramente la violenza giovanile, la recidiva, l'incarcerazione di massa e le disparità razziali, continuano, dobbiamo affrontare la sfida di spostare i giovani condannati per reati violenti da strutture reclusorie all'interno della comunità. Questa è un punto di vista condiviso da molti ricercatori, giovani avvocati, operatori e, soprattutto, dalle stesse vittime di reati.

Nel processo della ricerca, JPI e NCVC hanno organizzato una tavola rotonda e focus group che hanno rispecchiato nei loro esiti il risultato dei sondaggi dell'opinione pubblica, i quali rilevano che molte vittime di reati ritengono che i giovani condannati per reati violenti possano essere effettivamente rieducati all’interno della comunità di appartenenza.

Per affrontare e ridurre ulteriormente la violenza giovanile nella comunità, tuttavia, i bisogni delle vittime della criminalità devono essere adeguatamente presi in considerazione e salvaguardati.

In molti casi, le vittime di reati hanno riconosciuto il fatto che molti giovani che hanno commesso un reato violento sono stati essi stessi vittime di reati e non hanno ricevuto sostegno e servizi in rapporto al trauma subito, affinché potessero superarlo.

Continuando a fare affidamento sull'incarcerazione e trascurando i bisogni delle vittime della criminalità, il ciclo della delinquenza e della recidiva può comportare maggiori danni agli individui e alle comunità. Concentrarsi su questi temi in modo diverso, a detta di questi esperti, creerebbe una società più sicura e più sana per tutti.

Per fare ciò, tuttavia, dobbiamo impegnarci nel cambiamento di molte leggi, politiche e pratiche ancora in vigore che impediscono ai giovani coinvolti in reati violenti di essere seguiti nel loro percorso penale all’interno della comunità.

Solo quando il sistema giudiziario minorile sarà modificato in modo tale che meno giovani coinvolti in crimini violenti vengano reclusi, i bisogni di sicurezza delle vittime di reato verranno salvaguardati e tutti noi potremo vivere in comunità più sicure e più giuste, concludono i due esperti. 

 


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