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“I miei amici sono la mia vita! Significano tutto per me! Vado a scuola solo per vedere i miei amici! Senza di loro, non ho niente!”.

A molti genitori fa un po’ male sentire frasi come queste. Sembra loro di non avere più importanza per i figli, o di non essere ormai abbastanza attraenti o bravi per loro.

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Osservano con ansia i loro ragazzi che si affrettano a uscire di casa ("Torna per l’ora che ti ho detto!"), quasi con la speranza che cambino idea e restino per sempre a casa, senza mai uscirne.

Quando però li vedono fuori da qualche parte, e li osservano mentre prendono il cellulare, sorridendo o aggrottando le sopracciglia per quello che vedono sullo schermo, si preoccupano perché sanno che avere amici è una cosa bella ma anche piena di pericoli.

“È sempre fuori con qualcuno! E quando è a casa, se ne sta sempre nella sua stanza. Ci parla a malapena. È come se non vedesse l'ora di uscire e stare con i suoi amici...".

Fa male a un genitore, ma non viene fatto apposta per fare del male. Vuol dire: “Non sono più il tuo figlio piccolino. Non ho più bisogno di te come una volta. Sono più grande, adesso. Ho la mia vita...".

I bambini piccoli imparano a conoscere il mondo attraverso i loro genitori e i loro fratelli. Ma, crescendo, hanno bisogno di opportunità per fare esperienze di vita con una più ampia gamma di persone oltre i membri della loro famiglia. Da adolescenti, separati dai loro genitori e fratelli, cercano di sperimentare vicinanza e solitudine, lealtà e tradimento, onestà e doppiezza. Cercano nuove fonti di divertimento, intimità, amore, avventura.

Hanno bisogno dei loro amici perché devono continuare a esercitarsi, a fare di continuo esperienza: esperienza di avere il “migliore amico”, di rompere i rapporti con il migliore amico, di condividere amici con altri ragazzi, di diventare nemici, di essere in un gruppo, di entrare in confidenza con i nuovi arrivati, di essere un membro stabile di quel certo gruppo, o un outsider, dentro un gruppo e fuori dal gruppo.

Perdono il sonno per la preoccupazione di avere turbato qualcuno, di aver fatto una figuaraccia, di non essere stati all'altezza. Trascorrono ore per capire come fare a districarsi da un’amicizia, ad angosciarsi per il desiderio di nuove amicizie e a disperarsi quando si sentono senza amici, apparentemente incapaci di fare o mantenere amici.

Poiché le amicizie sono così importanti per il loro sviluppo, è doloroso quando i giovani non riescono a farle. E le ragioni sono talvolta ovvie.

Alcuni genitori sono prepotenti e interferiscono costantemente nella vita dei loro figli. Alcuni giovani sono stati vittime di bullismo e a causa di questa hanno perso fiducia nei pari. Altri, senza alcuna colpa, si sforzano per entrare in empatia con i loro coetanei, ma sono incapaci di leggere i segnali che questi mandano loro o di comprenderne gli scherzi, sono incapaci di collaborare o di arrivare a una condivisione amicale.

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Esiste però una caratteristica che colpisce nella difficoltà di fare amicizia. Molti di coloro che faticano ad avere amici, faticano ad essere autentici, come se non si fidassero del fatto che essere se stessi possa essere abbastanza per entrare in amicizia con qualcuno.

Fingono di essere più di quello che sono, di essere più grandi, migliori, più intelligenti, più freddi di quanto non siano davvero, di essere più sicuri di quanto non si sentano. Mantengono quanto la psicanalista Helene Deutsch chiama una personalità “come se”, o quello che Winnicott chiama un 'falso sé'. È come se a un certo punto avessero sviluppato un sé finto per affrontare la vita e non avessero ancora avuto il tempo di integrarlo con le altre parti del loro sé, meno ansiose , meno sulla difensiva, più rilassate.

Questo finto sé potrebbe essersi sviluppato per buoni motivi. In una certa fase della loro vita, potrebbe essere sembrato loro l'unico modo per sopravvivere a una situazione spaventosa o stressante . Potrebbe essere stato un comportamento imposto da altre persone.

Il problema è che ora il giovane che "finge" non sembra "stare insieme". E gli altri giovani lo avvertono. Li mette a disagio, si sentono incerti su come interagire con qualcuno che potrebbe non essere tutto ciò che sembra. Dopotutto, si ha bisogno che i propri amici siano affidabili e onesti; di conoscere cosa si sia per loro, e le persone incoerenti mettono a disagio. Non si sa se ci si possa fidare di loro perché non si sa davvero chi siano.

In particolare, i giovani che fingono e faticano a fare amicizia, spesso sembrano pieni di rabbia: con se stessi e con gli altri. Si comportano in modo triste e passivo quando sono chiaramente pieni di rabbia, o si arrabbiano quando sono tristi e spaventati. Si sottraggono dalla rabbia dei loro coetanei o cercano disperatamente di controllarla.

La rabbia, per un adulto che voglia aiutare i giovani che faticano ad avere amici, può essere un buon punto di partenza. Conoscere e valutare la rabbia reale - non quella simulata per darsi un tono – può essere d’aiuto. perché la vera rabbia, come la vera amicizia, significa che ci si trova di fronte a qualcuno con cui si entra in una relazione autentica.


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