- Pochi minuti dopo averla incontrata Michele le chiede:
“Non ci lascerai mai, è vero?”...
Mary Poppins: “Resterò finché cambia il vento”-
( Dal film Mary Poppins)
Una storia
Simona è una ragazza di 22 anni; i suoi occhi neri dalla forma leggermente orientale e i tanti capelli corvini le conferiscono un'aria grave che lascia il posto ad un solare sorriso appena può “distrarsi” dai pesanti ricordi.
Simona ha una storia di continue separazioni: all'età di tre anni il padre si allontana da casa senza alcuna spiegazione, almeno nessuna fornita alla piccola. La madre, donna umorale ed instabile emotivamente, dopo circa un anno dalla separazione sceglie un nuovo compagno che Simona si ritrova da un giorno all'altro nella propria abitazione... anche qui senza particolari spiegazioni.
Simona nel tempo, si lega autenticamente al compagno della mamma e si lascia accudire come una figlia.
All'età di 10 anni, le viene comunicato che la madre si separerà dall'uomo che fino a quel momento Simona ha amato come un padre e di fatto, una settimana dopo, il compagno della madre lascia la casa, telefonando sporadicamente per chiedere notizie della bambina.
Intorno agli 11 anni si ripresenta il padre, avanzando pretese sulla gestione educativa di Simona; la madre lascia che la figlia lo rifrequenti prima telefonicamente e poi con visite e pernottamenti presso l'abitazione dell'uomo.
Il padre si mostra affettuoso con la bambina ma non si prende il tempo di conoscerla: ha una precisa immagine che la piccola deve rispettare. È lui che decide cosa le piace mangiare, quali cartoni e serie tv vedere, come vestirsi e quali materie prediligere a scuola. Quando Simona prova a portare i propri bisogni, se lontani dalle aspettative paterne si accendono violente discussioni che, non di rado, si concludono con severe punizioni e/o sonori ceffoni.
Schiacciata nella relazione con il padre e sola in quella con la madre, Simona rivolge il suo sguardo verso il mondo dei pari, anche qui però, sentirà di non trovare un luogo che possa accoglierla e rispettarla per ciò che è.
Simona stabilisce relazioni con ragazzi che presentano importanti difficoltà nella gestione degli impulsi e che facilmente passano all'atto con comportamenti aggressivi e con uso di sostanze stupefacenti.
Quando è abbastanza grande per partire, si trasferisce in Inghilterra dove trova un buon lavoro e colleghi che l'apprezzano e la desiderano. È allora che l'inquietudine prende campo e compaiono i primi pensieri autolesivi.
Simona dapprima prova orrore per i tagli che riesce a farsi, poi quasi si rassegna a quella parte di sé su cui non ha controllo alcuno.
Un giorno, su un ponte, l'acqua di sotto scorre libera, Simona avverte l'impulso lucido e freddo a gettarsi. È un attimo, sale sulla ringhiera e vola giù.
Una settimana dopo la ritroviamo in un reparto di psichiatria dell'ospedale dove risiede la sua famiglia; vi rimarrà un mese, poi faticosamente inizierà una nuova fase della propria tormentata esistenza, durante la quale sperimenterà un percorso di psicoterapia e una terapia farmacologica.
Riflessioni
Simona, così come qualunque essere umano, ha necessità di essere vista, desiderata, riconosciuta, amata.
Simona ha bisogno di “essere tenuta in braccio” senza farle sentire la paura incombente di cadere, di morire.
Simona non ha sperimentato una culla mentale in cui riposarsi, un rifugio in cui sentirsi al riparo dalle intemperie del mondo esterno e di quello interno.
Anzi!
Simona ha sentito fin da piccolissima che l'Altro, da cui dipende fisicamente ed emotivamente, può andar via lasciandola in balia degli eventi, senza alcuna protezione; ha tatuato sulla pelle psichica che l'altro può abbandonarla senza alcuna preavviso, senza alcuna spiegazione che curi la ferita nell'anima inferta dall'allontanamento.
Quello che Simona ha provato è un dolore senza le parole, “un terrore senza nome” (W: Bion).
Il dolore caratterizza la vita psichica dell’essere umano, la mente nasce nella frustrazione del non soddisfacimento; ma se il dolore è estremamente acuto da divenire lacerante può diventare invivibile, “una minaccia per l'integrazione mentale”, portando la persona al crollo psichico o, come nel caso di Simona, anche fisico.
“Partiamo dall’ipotesi che le componenti della personalità nella loro forma più primitiva, non abbiano capacità coesiva e debbano pertanto essere tenute insieme, in una esperienza totalmente passiva, tramite la pelle che funziona come confine. Ma questa funzione interna di contenimento delle componenti del Sé dipende inizialmente dalla introiezione di un oggetto esterno che si dimostri capace di adempiere a tale funzione”. (E. Bick)
Il caregiver è colui/colei che tiene fra le braccia (“holding”) il piccolo dell'uomo; è colui/colei che maneggia con cura (“handling”); è colui/colei che sa offrire al bambino ciò di cui ha bisogno nel momento in cui può usufruirne (“object-presenting”). Questo permette, secondo D. Winnicott, la costituzione di un sentimento di esistere che rassicura, ancora, radica la mente; “la madre” funziona per il neonato come una pelle psicofisica protettiva ed unificante contro l’angoscia di precipitare, frammentarsi, svuotarsi. Se la separazione avviene precocemente, il dolore è vissuto come uno strappo con conseguente messa in campo di difese primitive atte ad alleviare la sofferenza e soprattutto ad evitare la disintegrazione.
Simona ha necessità dell'Altro, anela alla relazione ma il terrore di perderla la paralizza; se può scappa, se rimane attacca se stessa e/o l'Altro.
“Una analisi deve essere dolorosa, non perché vi sia per forza qualche valore nel dolore, ma perché non si può ritenere che una analisi nella quale il dolore non venga osservato e discusso, affronti una delle ragioni centrali per il quale il paziente è là”. (W. Bion ).
Dopo due anni di percorso psicoterapeutico (durante il quale la ragazza ha potuto sperimentare il caldo contenimento della propria distruttiva emotività, la significazione degli eventi vissuti nella sua giovane vita e soprattutto apprendere dall'esperienza che L'Altro può essere fonte di nutrimento, di buon cibo per l'anima e la mente), Simona condivide: “...mi sento sola, sono sola!” E dopo un sospiro, aggiunge: “... anche tu ... anche questo percorso finirà e mi lascerai sola ... mi lascerai?”
La terapeuta si ferma, attende che Simona abbia la forza di rialzare lo sguardo e le risponde: “Ti lascerò quando non avrai più bisogno di me”.
Simona: “ ... come Mary Poppins!”
Bibliografia
Esther Bick, Il Modello Tavistock. Scritti sullo sviluppo del bambino e sul training psicoanalitico, Astrolabio Ubaldini, 2013.
Bion W.R. (1962). Apprendere dall’esperienza. Roma, Armando, 197.
Bion W.R. (1963). Gli elementi della psicoanalisi. Roma, Armando, 1973.
Bowlby J. (1988). Una base sicura. Milano, Cortina, 1989.
Klein M. (1963). Sul senso di solitudine. In Il nostro mondo adulto ed altri saggi. Firenze, Martinelli, 1972.
Meltzer D. (1967). Il processo psicoanalitico. Roma, Armando, 1971.
Stern D.N. (1985). Il mondo interpersonale del bambino. Torino, Bollati Boringhieri, 1987.
Winnicott D.W. (1965). La capacità di essere solo. In Sviluppo affettivo e ambiente. Roma, Armando, 1974