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Il caso del tunisino rinviato a giudizio per il furto di un sacchetto di pistacchi del valore di 2,99 euro non può non far riflettere, pensa l'ingenuo cittadino, mettendo mano al portafoglio. Sbagliato! Siamo in Italia nulla è ragionevole. Il danno del centro commerciale non è costituito (solo) dal valore economico della manciata di pistacchi, peraltro immediatamente recuperata, ma dalle spese legali sostenute dal medesimo centro che ha (volontariamente) deciso di proporre querela.

20140317 salatini pistacchi

 

{xtypo_dropcap}D{/xtypo_dropcap}unque, un etto di pistacchi ma soprattutto l'illibatezza del certificato penale può arrivare a costare oltre mille euro. Intanto l' avvocato difensore del maldestro lestofante sicuramente indigente (il lestofante non l' avvocato) per difenderlo con il gratuito patrocinio (se iscritto nell' apposita lista) dovrà iniziare tutta una macchinosa procedura, a volte più insidiosa del processo penale vero. È il classico ladro di polli, romanzato e romanzesco. Ma ci sono anche e più spesso le madri che recuperano pannolini e biancheria per i pargoli, il senza fissa dimora che agguanta una mela o una stecca di cioccolata o la donna indigente ma vanitosa che lestamente nasconde una matita per gli occhi o più banalmente un bagnoschiuma.

E' variabile e multiforme l'esercito dei marioli dei grandi magazzini. Qualche settimana fa è toccato ad un giovane straniero essere processato per il furto di una manciata di pistacchi. Valore commerciale del croccante bottino: due euro e novantanove centesimi. Ma il proprietario è inclemente e i suoi legali inarrestabili. Non sentono né ragioni né scuse e presentano querela contro il lestofante goloso. Si fa un processo, viene nominato un avvocato di fiducia, un interprete e si rinvia a giudizio il ghiotto più che pericoloso ladruncolo, che ovviamente vista la lieve entità del reato e della pena prevista resterà libero (salvo aggravanti, precedenti o concorso di altri reati). Tutto a spese nostre. Se il reo è straniero quel processo non gli costerà la galera, ma potrebbe creargli problemi per ottenere il permesso di soggiorno e in futuro la cittadinanza. In ogni caso una condanna per furto non fa piacere a nessuno e costituisce una brutta macchia nel proprio curriculum. E allora meglio chiedere subito, se si è in tempo, la rimessione della querela ai legali del centro commerciale "vittima" dell' imperdonabile sottrazione.

{xtypo_dropcap}S{/xtypo_dropcap}e il processo e la condanna sono già alle spalle dopo qualche anno, si può chiedere la riabilitazione a determinate condizioni. Tra queste il risarcimento del danno. Due euro e novantanove? proprio, per dimostrare ciò che è già palese: il miserevole ladro di un petto di pollo, di una mela o di un etto di nocciole, ruba per mangiare o sfamare la propria famiglia, dunque è povero e se non ha i soldi per il cibo difficilmente potrà pagarsi una difesa. Occorre recuperare residenze, certificati anagrafici, Cud, Isee di tutti i componenti della famiglia, e, nel caso di stranieri, dichiarazioni consolari che attestino l'indigenza anche nel paese di origine. Ma i consolati spesso sono in altre città e il viaggio costa e i bolli per la dichiarazione anche; se poi le ambasciate non rispondono la procedura si blocca.

Nella fortunata quanto improbabile ipotesi in cui la richiesta di ammissione al gratuito patrocinio sia andata a buon fine, in ogni caso dopo la legge di cosiddetta "stabilità", fare retribuire il proprio avvocato dallo Stato sarà ancora più difficile. E' previsto infatti che la parcella del legale (già redatta secondo rigorose tariffe) verrà dimezzata e poi di questa metà verrà corrisposto solo il trenta per cento. E solo dopo qualche anno dal termine del processo. Cosi non si troveranno più molti avvocati disponibili a difendere col gratuito patrocinio e chi lo farà rischierà di ingrossare le fila degli indigenti. Eppure la nostra Costituzione prevede il diritto di difesa anche per chi non può permettersela. E la Costituzione vale per tutti: per i ladri di noccioline e per chi scrive leggi.

 articolo pubbilicato sulle pagine di Genova de "La Repubblica"

 


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