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Perché molti adolescenti faticano a chiedere aiuto? Alcuni non lo fanno per non disturbare gli altri, supponendo che la loro richiesta li metterà a disagio. Altri perché temono di apparire incompetenti, deboli o inferiori.

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Una recente ricerca realizzata alla Stanford University ha scoperto che già i bambini di sette anni possono avere questa convinzione. Alcuni ragazzi sono preoccupati dal poter ricevere un rifiuto, il che sarebbe per loro imbarazzante e doloroso. Altri potrebbero essere preoccupati di gravare e disturbare gli altri.

Queste preoccupazioni possono sembrare più rilevanti in alcuni contesti rispetto ad altri, ma sono tutte molto riconoscibili e molto umane, spiegano gli psicologi.

Spesso però è vero il contrario di quello che molti ragazzi pensano. Chi presta aiuto in genere è contento di farlo e si sente bene, anche felice, quando è in grado di aiutare gli altri.

Quando le persone hanno bisogno di aiuto, sono spesso tanto prese dalle loro preoccupazioni da non riconoscere pienamente le motivazioni prosociali di coloro che li circondano e sono pronte ad aiutarle. Questo può introdurre una forte differenza tra il modo in cui chi chiede aiuto e chi potrebbe prestarlo considerano il gesto di aiuto.

Per testare questa idea, sono state realizzati diversi esperimenti in cui le persone interagivano direttamente tra loro per cercare e offrire aiuto, oppure immaginavano o ricordavano tali esperienze nella vita di tutti i giorni.

I ricercatori hanno costantemente osservato che chi chiedeva aiuto sottovalutava la disponibilità degli estranei, e persino degli amici, ad aiutarli e il modo in cui si sarebbero sentiti bene dopo averlo fatto, e sopravvalutavano il modo in cui loro stessi si sarebbero sentiti a disagio.

La psicologia sottolinea che quando si pensa a ciò che motiva le altre persone, si tende ad avere una visione pessimistica ed egocentrica della natura umana.

D’altra parte, le società occidentali tendono a dare valore all'indipendenza, quindi chiedere agli altri di fare di fare qualcosa per noi può sembrare sbagliato o egoistico. Si può pensare, così facendo, di imporre un'esperienza negativa a chi presterà aiuto.

La verità, insistono gli psicologi, è che la maggior parte di noi è profondamente prosociale e vuole fare la differenza in positivo nella vita degli altri. Molti studi hanno dimostrato che entrare in empatia e aiutare altri che hanno bisogno fa sentire le persone più felici dopo aver compiuto questi atti di gentilezza.

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Questi risultati suggeriscono che le persone tendono a sopravvalutare la probabilità che la loro richiesta diretta di aiuto venga respinta. I ragazzi dovrebbero sapere, inoltre, che la ricerca di consigli può accrescere nella considerazione di chi li fornisce.

Colpiscono le vicende di aiuto spontaneo, atti casuali di gentilezza diventano spesso virali sui social media. In realtà, chiariscono gli esperti, la maggior parte degli aiuti avviene solo dopo che è stata fatta una richiesta.

Questo non significa che le persone non vogliano aiutare e debbano essere spinte a farlo. Al contrario, le persone vogliono aiutare, ma non possono aiutare se non sanno che qualcuno sta soffrendo o faticando, o di cosa ha bisogno l'altra persona, o temono di non poterla aiutare in modo efficace.

Una richiesta diretta può rimuovere queste incertezze, in modo tale che chiedere aiuto renda possibile la gentilezza e crei opportunità per relazioni sociali positive. Può anche creare vicinanza emotiva, quando una persona si rende conto che qualcuno si fida di lui tanto da condividere le sue vulnerabilità, arrivando a lavorare insieme verso un obiettivo condiviso.

Molti fattori possono influenzare il grado di difficoltà nel chiedere aiuto.

In alcuni casi, il tipo di aiuto di cui si ha bisogno potrebbe richiedere competenze o risorse più specifiche. Se un giovane riesce a costruire la competenza di rendere la sua richiesta specifica, significativa, orientata a un'azione, realistica e vincolata nel tempo, le persone saranno probabilmente felici di aiutarlo e si sentiranno bene dopo averlo fatto.

Naturalmente, osservano gli psicologi, non tutte le richieste devono essere specifiche. Quando si affrontano problemi di salute mentale, si potrebbe avere difficoltà ad articolare il tipo di aiuto di cui si ha bisogno. In questo caso, la capacità deve essere quella di rivolgersi a degli specialisti.

Andrebbe promosso un cambiamento culturale. Invece di promuovere la "cura di sé" e implicare che è responsabilità delle persone risolvere le proprie difficoltà, forse la nostra cultura, viene sottolineato dai ricercatori, dovrebbe enfatizzare il valore della cura reciproca e creare spazi più sicuri per consentire discussioni aperte su difficoltà e imperfezioni.


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