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Un buon amico, professore di lettere adorato dagli studenti, l’altra mattina, per convincermi a dedicarmi di più alle gioie dell’esistenza, mi ha «regalato» una frase del discorso di Camus pronunciato alla consegna del premio Nobel: «l’artista si forma in questo rapporto perpetuo fra lui e gli altri, a mezza strada fra la bellezza di cui non può fare a meno e la comunità dalla quale non si può staccare. È per questa ragione che i veri artisti non disprezzano nulla e si sforzano di comprendere invece di giudicare».

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amus è stato scomodato dal mio amico Andrea dopo un intenso incontro con gli studenti del liceo classico Colombo nella loro assemblea di istituto. Il richiamo alla bellezza e alla comunità come a un dovere e una necessità era assolutamente in linea con l’esperienza che mi capita, quasi settimanalmente, di vivere con gli studenti dei vari licei e istituti o i giovani dei campi scout o dei gruppi di Amnesty International.
Sono belli.
Questa generazione di ragazzi tra i 13 e i 25 anni (con una buona approssimazione per difetto) è davvero «ben riuscita ». Sono curiosi, svegli, attenti e rispettosi. Sono faticosi perché ti inchiodano con domande puntuali alle responsabilità di adulto che consegna loro in eredità una società in frantumi. Sanno ascoltare e dialogare di tutto: diritti, legalità, immigrazione, mafia e carcere, senza tabù.

A volte sono portatori sani di qualche pregiudizio passivamente respirato nell’ambiente in cui vivono (fatto anche di tv e luoghi comuni) ma sanno riconoscere la verità e le menzogne con prontezza e buona fede.
Sono specchi impegnativi e intransigenti di quello che siamo diventati. Si indignano di un’indignazione costruttiva e non autoreferenziale.
Vogliono sapere come sia possibile che i diritti inviolabili vengano calpestati nel silenzio e nell’impunità. Si domandano come fare per cambiare il corso degli eventi e sanno che conoscere è il primo passo da compiere.

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ono umili pur nella spavalderia di chi ha tutta una vita da costruire e belli nella loro fiera timidezza di esploratori del sapere e del mondo.
Mi domandano dove possono trovare informazioni “vere” e quali siti, giornali o libri consultare per approfondire i temi che li appassionano. Chiedono dove le loro energie e la loro buona volontà possono essere messe a disposizione per riparare alle ingiustizie delle quali vengono a conoscenza.

Pongono interrogativi semplici e rivoluzionari. E ogni volta che ascolto i loro quesiti penso che ogni Ministero dovrebbe averli come consulenti perché rispondere concretamente alle loro richieste di giustizia sarebbe un’ottima base per un programma di Governo.
Provo una stima indicibile per i loro insegnanti, per chi cammina al loro fianco senza divenire né ostacolo né spinta eccessiva. E provo un po’ di vergogna per quanto abbiamo malamente consumato della loro eredità. La terra sulla quale camminano si sgretola (anche fuor di metafora) sotto i loro piedi e saranno costretti a camminare sulle punte o ad allungare il passo. Parlando con altri fortunati adulti che vengono chiamati a vario titolo a parlare agli studenti, mi accorgo che condividiamo lo stesso stupito entusiasmo per questi ragazzi che, come i «veri artisti, non disprezzano nulla e si sforzano di comprendere invece di giudicare ».

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sentiamo tutta la responsabilità di non guastarli, o meglio per dirla alla Camus, di non mutilarli.
“Cosa significa salvare l’uomo? Glielo grido con tutto me stesso: significa non mutilarlo, dare alla giustizia tutte le possibilità che l’uomo sa concepire. Ecco perché lottiamo.”
Insieme a loro.

 articolo già pubblicato sulle pagine di Genova de "La Repubblica"


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