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Molti genitori osservano nei figli quello che loro stessi a volte mettono in atto per rimandare attività e compiti noiosi o molto impegnativi: li vedono, in altre parole, abbandonarsi alla procrastinazione, rinviando fino all’esasperazione quello che dovrebbe essere fatto, con un effetto di accumulo che alla fine genera tensioni e stress nella routine familiare.

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Capire perché vengono rimandati gli impegni, può aiutare un genitore a far recuperare produttività a un figlio e, anche, a riuscire a evitare di dare lui stesso il cattivo esempio.

La procrastinazione, il deliberato ma dannoso rinvio di compiti, ha molte forme. Sahiti Chebolu del Max Planck Institute for Biological Cybernetics usa un preciso framework matematico per comprenderne le diverse modalità e le ragioni sottostanti. Le sue intuizioni potrebbero aiutare a personalizzare le strategie per affrontare il problema.

"Perché non l'ho fatto quando avevo ancora tempo?" si chiedono anche molti adulti. Che si tratti di presentare la dichiarazione dei redditi, rispettare una scadenza al lavoro o pulire l'appartamento prima di una visita, la maggior parte di noi si è già chiesta molte volte perché tendiamo a rimandare certi compiti, anche di fronte a conseguenze spiacevoli. Non è sempre facile trovare una risposta.

Perché prendiamo decisioni che sono dannose per noi stessi, contrariamente al nostro migliore buon senso? Questo è esattamente l'enigma della procrastinazione, spiega la studiosa.

La procrastinazione, il ritardo deliberato ma in ultima analisi deleterio nell’affrontare dei compiti, non solo ostacola la produttività, ma è anche stata collegata a una serie di problemi di salute mentale. Quindi vale sicuramente la pena chiedersi perché questo fenomeno di cui tanto si parla abbia una tale presa, in particolare sui giovani, e cosa sia in realtà.

"Procrastinazione è un termine generico per diversi comportamenti" afferma la neuroscienziata computazionale Sahiti Chebolu.

"Se vogliamo capirla, dobbiamo distinguere tra i suoi vari tipi". Una modalità comune è quella di non rispettare le decisioni prese: si è, ad esempio, deciso di riservare una serata per svolgere un certo lavoro ma, quando è arrivato il momento, si guarda un film.

Qualcos'altro sta succedendo quando non ci si impegna in quello che si è stabilito di fare per una certa ora. In primo luogo: si potrebbe stare aspettando di avere le giuste condizioni.

I possibili schemi di procrastinazione sono innumerevoli: dall'iniziare tardi all'abbandonare un compito a metà. La dottoressa Chebolu li ha classificati tutti e ha identificato possibili spiegazioni per ciascuno: valutare male il tempo necessario o proteggere l'ego da un potenziale fallimento sono solo due di questi.

Il cervello miope

Una simile classificazione può davvero aiutare a vincere l’inerzia e a fare le cose? La dottoressa Chebolu è convinta che una comprensione matematicamente precisa del meccanismo in gioco sia il primo passo per affrontarlo.

Inquadra la procrastinazione come una serie di decisioni temporali.

Cosa succede esattamente, ad esempio, quando programmiamo quel certo lavoro per il venerdì sera ma poi si soccombe alle tentazioni di una serie tv? Un modo per pensare al processo decisionale è che il nostro cervello somma tutte le ricompense e le penalità che ci aspettiamo di ottenere dai comportamenti alternativi: guardare un film o dedicarsi a noiose scartoffie.

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Abbastanza naturalmente sceglie quindi il corso d'azione che promette di essere, nel complesso, il più piacevole.

Ma il divertimento di una serata al cinema o davanti alla tv supera l’abbattimento di uno studente per un voto negativo che sanziona la mancata consegna di un compito? C'è un dettaglio importante: le conseguenze nel futuro lontano sono meno ponderate dal cervello nella sua sommatoria di risultati positivi e negativi. In una certa misura, questo è normale e persino utile; dopotutto, il futuro più lontano è necessariamente irto di incertezze.

"Solo quando diamo un valore eccessivo alle esperienze del presente e non abbastanza a quelle che ci attendono più avanti" spiega la Chebolu, "una tale politica decisionale diventa rapidamente disadattiva".

È solo pigrizia?

Lasciando da parte la teoria, per studiare la procrastinazione nella vita reale, la dottoressa Chebolu si è immersa in grandi set di dati forniti dalla New York University. I dati mostravano un registro di studenti che dovevano partecipare a un numero stabilito di ore di esperimenti laboratoriali nel corso di un semestre. Alcuni si sono “liberati” del compito subito; altri lo hanno distribuito uniformemente su diverse settimane e, come previsto, altri ancora lo hanno evitato finché non è stato quasi troppo tardi per portarlo a termine.

La ricercatrice ha eseguito delle simulazioni per riprodurre il loro comportamento. Quali spiegazioni, si è chiesta, sarebbero state più adatte a spiegare i diversi modelli di procrastinazione?

Potrebbe essere allettante dare la colpa alla preferenza del nostro cervello per le attività immediatamente gratificanti. Ma c'è sicuramente di più in gioco: per ogni modalità di come gli studenti di New York hanno rinviato il loro compito, la Chebolu ha trovato molteplici possibili spiegazioni.

"L'incertezza è un altro fattore importante nella procrastinazione" sottolinea. Potrebbe essere l'incapacità di prevedere quanto tempo ci servirà per mettere insieme tutti i testi e le citazioni per svolgere una determinata ricerca tematica. Ma l'incertezza può anche significare mancanza di fiducia nelle proprie capacità o dubbi sul fatto che il compito aiuti a raggiungere i propri obiettivi.

La professoressa Chebolu è convinta che comprendere la procrastinazione come una serie di decisioni temporali e individuare dove e perché di solito prendiamo una svolta sbagliata invece che “andare dritti” al compito, possa sostenere gli interventi per superare questo problema.

Se si scopre, ad esempio, che il proprio cervello è un po' troppo orientato verso la gratificazione immediata, darsi delle ricompense a breve termine potrebbe aiutare.

Chi invece tende a sottovalutare il tempo necessario per il proprio lavoro di routine potrebbe provare a prefissarsi degli obiettivi vincolati al tempo. E se ci si ritrova ad abbandonare rapidamente i propri impegni, si potrebbe dover evitare ambienti che distraggono.

Non importa in quale categoria di procrastinazione si rientri (e quasi sicuramente si rientra in alcune di esse): non è solo pigrizia. Riconoscerlo e perdonarsi per aver procrastinato in passato è un buon primo passo verso una maggiore produttività. Essere a fianco di un ragazzo che fatica a mantenere gli impegni e aiutarlo a comprendere perché e a mettere in atto strategie correttive, può essere un insegnamento che gli sarà prezioso per tutta la vita.

 

Riferimento bibliografico

Chebolu, Sahiti; Dayan, Peter.
Optimal and sub-optimal temporal decisions
can explain procrastination in a real-world task
.
Proceedings of the Annual Meeting of the Cognitive Science Society, 2024.

 


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