Info: info@ubiminor.org  |  Segnalazioni: notizie@ubiminor.org  |  Proposte: redazione@ubiminor.org

 facebook iconinstagram iconyoutube icon

Sembra che le nuove generazioni che entrano oggi nel mondo del lavoro abbiano una sensibilità e una reattività maggiore rispetto a quelle del passato, alle quali bisogna prestare attenzione se si vuole stabilire con loro una collaborazione professionale positiva e duratura.

20240925 gnz 4

Sotto osservazione in particolare i giovani che si sono presentati in azienda, o in generale all’interno di contesti lavorativi, negli ultimi anni, quelli appartenenti alla cosiddetta Generazione Z (i nati dal 1997 al 2012).

A livello di senso comune si ritiene che questa generazione sia troppo sensibile, che non accetti rimandi professionali critici o negativi. Si pensa addirittura che molti di questi giovani abbiano bisogno di attenzioni che in generale poco hanno a che fare con il lavoro e con le sue necessità, quali essere un po’ vezzeggiati e “trattati con i guanti”.

Questi sono luoghi comuni possono passare per la mente di datori di lavoro o di responsabili di attività professionali.

Uno studio recente realizzato negli Stati Uniti ha rivelato che il 25 percento della generazione Z ha portato i propri genitori a un colloquio di lavoro e un altro 16 percento ha chiesto a un genitore di presentare la domanda di lavoro al posto loro.

In questa ricerca si dice inoltre che il 70% dei ragazzi chiede aiuto ai genitori nella ricerca di lavoro e che tra coloro che hanno trovato lavoro, l'83% attribuisce il successo ai genitori e 1 su 10 ha chiesto ai genitori di scrivere il suo curriculum.

Sono dati che sorprendono ma che non sembrano lontani da quello che avviene anche nel nostro paese.

Il fatto che questi giovani abbiano davvero goduto di attenzioni particolari in alcune situazioni, affermano esperti di dinamiche professionali, non significa che sia la cosa migliore per loro. È importante il fatto che sbaglino e anche falliscano nel tentativo di raggiungere i loro obiettivi, per la loro crescita professionale.

Aiutarli a imparare dai loro errori e a superarli dovrebbe essere parte del ruolo di un manager.

Come trovare un equilibrio tra il “trattarli con i guanti” e il dire loro di "darsi una mossa" e di procedere in autonomia?

Una delle strategie, a detta degli esperti, sarebbe quella di lasciarli arrabbiare o preoccuparsi, almeno per un po’, a seguito dei loro scivoloni professionali, ma di fornire loro poi un feedback.

Quando un giovane di questa generazione affronta una battuta d'arresto o un fallimento, è infatti importante consentirgli di esprimere le sue emozioni, senza fargli fretta per superare o per reprimere i suoi sentimenti. Sebbene sia importante, tuttavia, lasciare che il giovane collaboratore esprima le sue emozioni, è altrettanto cruciale stabilire un limite di tempo per questo, incoraggiandolo a accettare i suoi sentimenti di delusione, ma spingendolo anche ad andare avanti.

Quando il picco iniziale di emozione si placa, si stabilisce il momento migliore per intervenire criticamente.

Cercare di offrire un riscontro immediato non è solo inutile, ma anche controproducente. Studi psicologici hanno scoperto che un'elevata eccitazione emotiva può ostacolare pesantemente l'elaborazione cognitiva associata alla ricezione di un riscontro critico.

Detto questo, un altro consiglio che danno i counselor ai responsabili, è quello di evitare di utilizzare con i giovani frasi abusate come "Adesso hai imparato la lezione", “Vedrai, non ti capiterà di fare lo stesso errore due volte" e così via. Far loro capire di dare per scontato il fatto che non ricadranno nello stesso errore, potrebbe infatti generare convinzioni irrealistiche, creando un'aspettativa irragionevole di impeccabilità, e dunque predisponendoli a una nuova delusione.

20240925 gnz 3

Meglio non fare su di loro pressione, in quanto si potrebbe così ostacolarne apprendimento e crescita; o, al contrario, con un esagerato “buonismo” di fronte a un errore, si rischia di generare nei giovani un eccesso di sicurezza, che porterà a trascurare precauzioni e attenzione.

Un responsabile per far crescere professionalmente i nuovi assunti dovrebbe incoraggiare la conversazione e l’analisi dell’accaduto con domande chiare, non troppo suggestive e non giudicanti, che incoraggino un confronto aperto. Quando si discute di un errore al lavoro, è più efficace utilizzare domande che facilitino la riflessione e la comprensione e promuovano l'autoconsapevolezza anziché la colpa.

Meglio chiedere quali fattori abbiano contribuito a un risultato negativo piuttosto che domandare direttamente perché si sia fatto un certo sbaglio; cosa si sia imparato da quella esperienza piuttosto che ingiungere di non fare più errori, proponendo di spiegare come si intenda superare l’impasse, senza giudicare o accusare.

Indispettiti dalle conseguenze dell’inesperienza di un giovane, si potrebbe essere tentati di affidare a qualcun altro il suo lavoro. Dopotutto, meglio che venga fatto bene e anche in fretta. Tuttavia sollevare un giovane ancora in fase di formazione al lavoro da un determinato compito, non è una buona idea.

Sarebbe anzitutto un’opportunità di apprendimento persa, in quanto non consentirebbe di comprendere a fondo cosa è andato male e di elaborare come occorra operare diversamente la volta successiva.

Si incoraggerebbe inoltre un comportamento di evitamento, creando l'abitudine di aggirare le sfide e di aspettarsi che siano gli altri a intervenire per risolverle. Evitare a un giovane determinati compiti può impedirgli di sviluppare capacità di problem solving, essenziali per i suoi impegni futuri.

Provocherebbe inoltre una diminuzione dell'autostima, portando il giovane a credere di non essere abbastanza bravo o di non essere in grado di fare cose difficili.

Meglio fargli sentire sostegno e, allo stesso tempo, spronarlo ad affrontare la difficoltà e l’inciampo.

Il relazionarsi professionalmente con i giovani di questa generazione, sostengono gli esperti, necessita di un approccio sfumato, evitando di trattarli con i guanti, che porterebbe alla dipendenza e alla mancanza di resilienza.

È importante consentirgli di fallire e rialzarsi, lasciando loro spazio per riflettere su se stessi ed esprimersi entro limiti chiari, il che aiuterà gli stessi datori di lavoro a mantenersi all’interno dei limiti del rapporto professionale, senza eccedere per “indulgenza” o severità.


Accetto i Termini e condizioni