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Presente solo a tratti nell’immaginario della canzone italiana, l’infanzia fa capolino nei testi dei cantautori soprattutto sotto il duplice segno della nostalgia per un tempo perfetto perduto per sempre e della denuncia di  un territorio violato dalla violenza adulta.

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Archetipo della trattazione dell’infanzia da parte della generazione aurea dei cantautori, se non vogliamo parlare delle belle canzoni per l’infanzia di Sergio Endrigo (La casa dei matti; Ci vuole un fiore) è Cara maestra di Luigi Tenco, accorata rassegna/denuncia di figure pedagogiche negative che hanno condizionato con la loro falsità e ipocrisia la crescita dell’allora fanciullo Luigi:

Cara maestra, un giorno ci insegnavi
che al mondo gli uomini sono tutti uguali;
ma quando entrava in classe un professore tu ci facevi alzare tutti in piedi
e quando entrava in classe uno studente ci permettevi di restar seduti.

Ce n’è poi anche per il “signor curato” e per l’”egregio sindaco” che disegnano la mappa di una generazione adulta certamente poco fedele ai suoi principi e alle sue promesse; il “topos” della crescita come perdita di spontaneità e come dannazione è però quello più diffuso nella canzone d’autore italiana quando questa parla di infanzia; basti pensare ad esempi quale Topolino della P.F.M.:

Sfogliando un vecchio Topolino mi ricordo quando da bambino
sentivo un uomo parlare e io attento a sentire
“Diventa grande e te ne accorgerai” diceva
Poi con le mani nelle tasche vuote se ne andava via
da quell’unica stanza gialla di periferia

Situazione di deprivazione e di miseria morale e materiale dalla quale si esce con un gesto di rottura e di ribellione;

Poi dentro a un bar dall’odore di latte e con la musica accesa
ho imparato a dire il mio primo “Ma chi se ne frega”

che in un certo senso porta l’adulto a recuperare la spontaneità del bambino o perlomeno a dare inizio a una attenzione nuova nei confronti del mondo dell’infanzia (siamo di fonte peraltro  uno dei pochissimi esempi di ribaltamento finale del punto di vista, di riflessione sulla propria infanzia che porta a una nuova consapevolezza adulta del mondo dei bambini e delle bambine:

Domani troverò un sorriso caduto dalla tasca di un bambino
che dice per primo “Tienilo tu”, poi guarda in alto e non ci pensa più
e sta a vedere che oggi nel cielo volerà un pensiero
allora prendilo, prendilo al volo fallo tuo davvero.

Consapevolezza negata dal processo educativo descritto da Edoardo Bennato in Quando sarai grande, processo che si svolge completamente alle spalle del fanciullo e si rivela anche in questo caso come una promessa non mantenuta

Il vuoto e poi... ti svegli e c’è un mondo intero intorno a te
ti hanno iscritto a un gioco grande; se non comprendi, se fai domande
chi ti risponde ti dice “E’ presto; quando sarai grande, allora saprai tutto.

Processo educativo dal quale sono peraltro escluse le impennate di originalità e di individualità; la terra dell’infanzia, con la sua perfezione, è destinata ad essere trattata dagli adulti come un oggetto da studiare, catalogare, instradare:

È tutto scritto, catalogato: ogni segreto, ogni peccato.

E anche dove il processo di crescita non viene visto solamente come tradimento e dannazione, rimane il senso dell’infanzia come isola felice; accade in Crescerai dei Nomadi

Bastava un niente per sorridere, una bugia per esser grandi
Crescerai, arriverai; crescerai tu amerai
il rimpianto rimarrà per quell’età.

come in Quella carezza della sera dei New Trolls

Non so più il sapore che ha quella speranza che sentivo nascere in me
non so più se mi manca di più
quella carezza della sera o quella voglia di avventura
voglia di andare via di là.

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Il rapporto tra bambino e adulto, soprattutto nel caso delle figure parentali, è un altro “topos” molto sfruttato dai cantautori, in particolare nella vera e propria moda delle canzoni dedicate ai figli;  c’è l’elenco un po’ melenso delle avventure e sventure della vita di Avrai di Claudio Baglioni

Avrai carezze per parlare con i cani, e sarà sempre di domenica domani
avrai discorsi chiusi dentro e mani che frugano le tasche della vita
e una radio per sentire che la guerra è finita.

l’elegante ironia di Culodritto di Francesco Guccini:

Anche se non avrai le mie risse terrose di campi cortili e di strade
e non saprai che sapore è il sapore dell’uva rubata a un filare
presto ti accorgerai com’è facile farsi un inutile software di scienza
e vedrai che confuso problema è adoprare la propria esperienza

Infanzia forse un po’ mitica, ma che restituisce senso e significato all’esperienza di paternità nella quale ci si butta con consapevolezza ed emotività:

Culodritto: dammi ancora la mano
anche se quello stringerla è solo un pretesto
per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha dato o mi ha mai chiesto

Infanzia come terra vergine, quasi come “tabula rasa” che può ripartire da quel grado zero dell’esperienza che per l’adulto è negato:

Vola tu dove io vorrei volare, verso un mondo dove è ancora tutto da fare
e dove è ancora tutto, o quasi tutto, da sbagliare

c’è poi la bella metafora di Fiore di maggio di Fabio Concato

Tu che sei nata dove c’è sempre il sole
sopra uno scoglio che ci si può buttare
(...) su quello scoglio in maggio è nato un fiore

Ci sono poi le canzoni dedicate ai genitori nelle quali si elabora in modo più o meno positivo l’addio, il distacco legato al diventar grandi, al lasciare il nucleo famigliare; in modo un po’ melenso in Portami a ballare di Luca Barbarossa

Dai, mamma, dai, questa sera lasciamo qua
quei problemi e quei discorsi sulle rughe e sull’età
Io ti voglio sempre bene anche quando non ci sono
io ti porto ancora dentro anche adesso che sono un uomo.

o poetico e struggente come in Ninni di Roberto Vecchioni, incontro tra madre e figlio (cresciuto) nello scompartimento di un treno

Ed entrò qualcosa di lieve, come sole in mezzo alla neve, ed avrei voluto dirti “Sono io”
Dirti “Guardali bene che cambieranno; come è giusto domani ti lasceranno;
dire al piccolo finché puoi ‘Stiamo insieme’”

togliendo poi dalla memoria e dall’immaginario un delicatissimo gesto materno:

Perché il tempo mi passa e mi passa sopra
e tu entravi dicendo “Vuoi che ti copra? Ninni è tardi, fa freddo, stai già dormendo”

che in qualche modo resta come traccia di memoria e fedeltà alla figura materna:

Tu sei bella e mi guardi senza parlarmi, non ti sei neanche accorta di assomigliarmi
e non sai quanta voglia avrei di dirti
che tuo figlio non è cambiato, erasolo ma si è aspettato
ed è sempre come lo chiamavi tu

C’è un invito a non ascoltare le prediche dei padri, in Padre Nostro di Renato Zero (un po’ retorica, per la verità):

Tuo padre dice “No” ma neanche lui è convinto che intorno a te sia tutto finto
magari lui non sa che in silenzio stai cambiando, che hai in mente un più accogliente mondo
Spiegagli come si fa a sperare, insegnali tu ad avere cuore
Non sarà colpa sua se ignora che dal letame un bocciolo prima o dopo affiora.
Tuo padre dice “No”, tu lascialo parlare: ormai sei a un passo dall’amore.

 prima parte

Raffaele Mantegazza
Dal 1999 insegna presso l'Universita' di Milano Bicocca, facolta' di Scienze della Formazione. Ha pubblicato oltre 40 libri e circa 200 articoli su riviste specializzate. Attualmente la sua cattedra universitaria e' Pedagogia Interculturale.

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