Come possiamo crescere i ragazzi in modo tale che siano abbastanza sicuri della propria “mascolinità”, senza che debbano però stare a provarlo a se stessi e agli altri in ogni situazione?
Ne parla in un recente intervento lo psicologo Adam Price, che vanta una lunga esperienza con preadolescenti e adolescenti. Ogni volta che posso, spiega l’esperto, chiedo ai giovani cosa significhi essere un uomo.
Ecco una delle mie risposte preferite. Viene da Noah, 24 anni, che ha giocato a hockey al liceo e al college: “Significa stare bene nella propria pelle, sentirti bene con te stesso e con quello che sei. Questa è la mia definizione di cosa significhi essere un uomo. Non una persona che ha paura di mostrare il suo dolore. "
Noah comprende che la vulnerabilità non è un segno di debolezza o qualcosa di cui vergognarsi. Piuttosto, è un atto di coraggio ed è l'unico modo in cui possiamo stabilire relazioni vere con altri esseri umani. L'opposto della vergogna non è l'orgoglio: è la fiducia. Fidarsi dei propri sentimenti e avere persone di cui ci si fida tanto da condividerli con loro.
Parliamo quindi di come educare i ragazzi, continua Price, che possono rimanere se stessi e che non vedono la violenza e l'aggressività come l'unico modo per essere un "vero uomo", o il dominio come l'unico modo per primeggiare. Soprattutto, dobbiamo crescere ragazzi che non sono si sentano minacciati quando un altro ragazzo vuole essere loro amico.
Di fatto, questo è chiedere molto a tanti dei nostri ragazzi e giovani adulti. Stiamo chiedendo loro di essere, allo stesso tempo, forti e sensibili, invincibili e vulnerabili. È un paradosso, il paradosso del crescere uomini buoni. Per fare questo dobbiamo sfidarli e sostenerli: considerarli responsabili, ma anche dare loro amore incondizionato.
La prima cosa che dobbiamo fare è ascoltarli. Ascoltare davvero, senza giudizio, è il modo migliore per comunicare amore e sostegno incondizionato. È anche una delle cose più potenti che un essere umano possa fare per un altro. Spesso i genitori si affrettano a proporre una soluzione o un suggerimento senza dare ai figli la possibilità di parlare. Il più delle volte, questi vogliono solo essere ascoltati. L'ascolto attento fornisce agli adulti informazioni così che possano affrontare meglio il problema.
Spesso se li ascoltiamo, sottolinea lo psicologo, i ragazzi escogitano da se stessi le soluzioni. Non è quello che stiamo veramente cercando? L'ascolto aiuta i ragazzi a mettersi in contatto con i loro sentimenti e costruisce empatia. Non occorre essere d'accordo con qualcuno per capire come si sente. Non si sta approvando la sua posizione; si sta riconoscendo i suoi sentimenti. I buoni ascoltatori sono curiosi di sapere come si sentono gli altri, quindi fanno molte domande.
La seconda cosa è far comprendere ai ragazzi i loro sentimenti, per aiutarli a sviluppare l'intelligenza emotiva.
Un genitore dovrebbe pensare a se stesso come all'allenatore emotivo di suo figlio. Il suo compito è guidarlo attraverso il riconoscimento, il dare un nome e il saper gestire i suoi sentimenti. Per essere un allenatore emotivo non si può essere sprezzanti o disapprovare i sentimenti di un ragazzo. Una frase come "Non dovresti sentirti così triste" sembra abbastanza innocente, persino di supporto, ma ciò che dice davvero è: "Il modo in cui ti senti in questo momento è sbagliato". Questo non è il messaggio che vogliamo dare ai nostri figli.
Per sottolineare quanto siano importanti, ai ragazzi va insegnato che i sentimenti fanno un preciso lavoro; quindi, quando un figlio prova un sentimento, ha bisogno di qualcuno che lo aiuti a scoprire cosa gli sta dicendo quel sentimento.
Il "lavoro" della tristezza, ad esempio, spiega Price, è di rallentarci. Significa che qualcosa ci sta preoccupando e la tristezza ci dà l'opportunità di riflettere su quello che ci sta preoccupando e perché. Il lavoro della rabbia è l'opposto: ci velocizza. La rabbia ci dice che i nostri diritti sono stati violati e ci aiuta a “mobilitarci” per proteggerci da minacce future. Ci motiva anche a fare un cambiamento quando c'è qualcosa in una situazione che non ci piace.
L'ansia è come un campanello d'allarme. Ci dice che potrebbe esserci qualcosa di pericoloso davanti a noi, ci motiva a impedire che ciò accada, a fare un piano, a risolvere un problema, persino a correre per salvarci.
La colpa dice: "Ho fatto qualcosa di sbagliato, qualcosa che un genitore o un insegnante disapproverà". La colpa può aiutarci ad agire secondo la nostra morale e i nostri valori. Ci ricorda che nessuno è perfetto e che ci sforziamo sempre di essere migliori.
Inoltre, un ragazzo va aiutato a capire che i sentimenti non durano per sempre, anche quelli buoni - sono come il tempo atmosferico. Quando piove, pensiamo che pioverà per sempre. Ma, alla fine, il sole esce. Poi, vorremmo che rimanesse per sempre caldo e soleggiato. Ma neanche questo succede. Proprio come il tempo, i sentimenti vanno e vengono.
Una volta che le emozioni vengono riconosciute, nominate e che si conosce il “lavoro” che devono svolgere, continua Price, si possono aiutare i ragazzi a gestirle, ad esprimerle in modo appropriato e a sentirsi compresi. Ascoltare senza giudizio aiuterà a guidare un figlio a sostenere i suoi sentimenti e rafforzerà, inoltre, il fatto che è giusto sentirsi vulnerabili. Con empatia, li si può condurre verso la fiducia, ricordando loro sempre che la fiducia è il contrario della vergogna.
È bene inoltre lasciare che un ragazzo faccia errori e fallisca. Questo insegna ai giovani a chiedere aiuto. L'obiettivo è che un figlio non debba sempre sentirsi sotto tutela, bensì responsabile di sé, e che sappia cosa fare. I genitori che si sentono sempre portati a intervenire per “salvare” i loro ragazzi, giustificano questa tendenza dicendosi: voglio solo il meglio per mio figlio, non posso lasciare che mio figlio resti indietro, è molto più semplice e ci vuole meno tempo se lo faccio io.
Un genitore in genere si trova a chiedersi: cosa mi aspetta se mio figlio non ha prestazioni soddisfacenti? Come devo comportarmi se mio figlio fa errori nei compiti a casa? Che tipo di genitore sarei se mio figlio non giocasse bene, non prendesse buoni voti, e così via.
Occorre sempre ricordare che fare un errore non significa essere un errore. Se non si commettono errori, vuol dire che non si sta facendo nulla. Se è giusto commettere errori, è giusto provare sentimenti e, se si risponde con empatia, un figlio non si vergognerà quando si sentirà vulnerabile.
La mascolinità, almeno nel modo rigido in cui la definiamo, è una brutta scusa per non essere autentici. Ma è davvero difficile esserlo. Quindi, conclude Price, un genitore dovrebbe chiedersi alcune cose prima di aspettarsi che un ragazzo si apra con lui.
Riesce, un genitore, ad accettare le sue imperfezioni, così da poter accettare quelle del figlio e lasciarlo inciampare quando è necessario? Non è facile lasciare che un ragazzo sia meno che perfetto se si è eccessivamente autocritici o se la propria autostima dipende non solo da quello che si raggiunge, ma anche dalla forza e dai cedimenti dei figli.
Un adulto dovrebbe parlare dei suoi passi falsi, riconoscere i propri errori. I ragazzi non si aspettano che i genitori siano perfetti. In realtà, ciò che vogliono davvero sono genitori in grado di mostrare loro come affrontare l'incertezza della vita e le proprie imperfezioni. I ragazzi vogliono profondamente adulti forti, confortanti, onesti, che ammettano quanto sia complicata la vita, sottolinea lo psicologo.
È stato fatto uno studio chiedendo a uomini e donne di dire chi fosse il loro migliore amico. Circa l'80% degli uomini ha affermato che si trattava della moglie, ma la maggior parte delle mogli non ha nominato il proprio marito.
Riesce un adulto a comunicare un modello di intelligenza emotiva parlando dei suoi sentimenti? I suoi figli lo stanno osservando. Come lo vedono esprimere rabbia? Tristezza? Delusione? Come esprime affetto? Riesce un padre a mostrarsi vulnerabile, ammettendo di avere paura e chiedendo aiuto? E una madre è davvero pronta a permettere a suo figlio di esprimere debolezza? Può tollerarla in suo marito?
Rogers ha dichiarato: "L'unica soluzione alla solitudine e alla paura è condividerla con qualcuno". Certo, vogliamo che i nostri figli siano competitivi e raggiungano la vetta, conclude Price. Solo non vogliamo che ci arrivino soli.