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Tutte le famiglie attraversano prima o poi un momento di difficoltà. Ci possono essere tensioni e sofferenze legate a problemi finanziari, lavorativi, relazionali o anche riferite alla salute. È giusto parlarne a un figlio adolescente? E in che misura si dovrebbe farlo e coinvolgerlo nelle proprie preoccupazioni?

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Genitori e figli vivono in genere in mondi diversi, che però per certi aspetti si incrociano, o direttamente o anche solo a livello emotivo, per quello che si percepisce nella vicinanza.

Anche se un genitore sta facendo del suo meglio, non discutendo apertamente davanti ai figli dei suoi problemi, sa bene che questi possono percepire la tensione che circola per casa.

Un adulto che ad esempio vive un lutto e prova un profondo dolore, può anche cercare di non mostrarlo di fronte ai figli ma a volte non ci riesce e crolla. Oppure, se sta attraversando un periodo di forte stress sul lavoro, con scadenze e pressioni dai capi, può diventare irritabile e si ritrova ad arrabbiarsi con i familiari.

Altre volte è la preoccupazione per problemi fisici a renderlo più preoccupato e introverso.

Questi sono scenari comuni che tutti possono dover affrontare e ognuno reagisce a modo suo: con la chiusura e l’isolamento, l’irritabilità e la rabbia, con la negazione facendo come se nulla stesse accadendo.

Anche se si ha la fortuna di avere un partner, un genitore o un amico intimo dal quale ricevere sostegno, i figli, in particolare quelli più piccoli o gli adolescenti più sensibili, si affidano ai genitori. Senza avere le capacità di coping di un adulto o un supporto esterno, sono naturalmente più permeabili e disorientati da quello che stanno vivendo i loro genitori.

I terapeuti e counselor familiari offrono alcuni consigli, su come affrontare queste situazioni.

Trasmettere sempre le proprie emozioni

La ricerca mostra che è sempre utile far conoscere alle persone vicine il proprio stato emotivo. Se non si è dormito bene per tre notti o si è avuta una giornata terribile al lavoro, è bene parlarne con il proprio partner o ai propri figli, avvertendoli di essere stanchi o irritabile, e dichiarando quello che di cui si avrebbe bisogno: un'ora di tranquillità e solitudine, che si occupino loro della cena, di un po’ di silenzio, e così via.

Si tratta, in altre parole, di essere proattivi, assumendosi la responsabilità delle proprie emozioni e facendo sapere agli altri come possono aiutare.

Questo è importante per i ragazzi, perché li tranquillizza e evita loro di incolparsi di quanto accade ai genitori.

Più i figli sono grandi, più ovviamente sono consapevoli di quanto succede attorno a loro. Captano facilmente la tensione, la chiusura o persino il fingere dei genitori. Senza informazioni chiare, tendono però a fantasticare su ciò che sta accadendo e, quasi sempre, si mettono al centro delle cose negative che pensano stiano avvenendo.

Suppongono ad esempio che i genitori stiano divorziando perché hanno avuto problemi a scuola; oppure che il padre sia irritabile e arrabbiato perché hanno litigato con un fratello. Se sono nella piena adolescenza, possono anche iniziare a sentirsi in dovere di aiutare il genitore in difficoltà.

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Sebbene gli adolescenti abbiano una visione più adulta della realtà, sono comunque inclini a incolpare se stessi e la spinta a risolvere i problemi dei loro genitori può essere più forte. Se sono troppo oppressi dalla tensione, alcuni affrontano la situazione agendo in modo anomalo: bevendo, drogandosi, tagliandosi o diventando più polemici o chiusi in se stessi.

I giovani adulti, invece, riescono a stabilire meglio i limiti perché di solito sono fuori casa e sono più indipendenti. Detto questo, sottolineano gli esperti, sono ancora suscettibili a sentirsi eccessivamente responsabili o, a causa della loro prospettiva più indipendente e delle loro vite impegnate, a provare un po’ di rimorso nel sentirsi più distaccati.

Cosa fare

Il consiglio, per bambini più grandicelli, è di trasmettere maggiormente le proprie emozioni e di essere proattivi, scusandosi e dichiarando, quando è il caso, di sapere di essere stati scortese e di esserne dispiaciuti.

Ammettendo di avere preoccupazioni ma che non riguardano o dipendono da loro, e che sono solo problemi da adulti che si sta cercando di risolvere. È bene chiedere ai ragazzi di dirlo se sono preoccupati, rassicurandoli che non c’è nulla che debbano fare di diverso o di particolare.

Con adolescenti e giovani adulti si possono condividere maggiori dettagli, spiegando che si sta lavorando sul problema, e che non c'è niente che debbano o possano fare per risolverlo. Ogni eventuale aiuto da parte loro deve essere semplice, concreto e di breve periodo.

Cosa non fare

Gli esperti consigliano di evitare di far finta che non stia accadendo nulla. Questo confonde i ragazzi, che avvertono la tensione e percepiscono i problemi. Li rende frustrati, ipersensibili e in difficoltà per voler sistemare le cose senza sapere come.

Così pure, all’opposto, bisogna evitare di fare di un figlio il proprio confidente. Condividendo troppo delle difficoltà del proprio matrimonio o dei problemi al lavoro, li si tratta come un pari, un amico o un partner.

Gli psicologi spiegano che una chiave per famiglie sane è quella di avere una chiara gerarchia tra genitori e figli, anche se sono giovani adulti. È una linea sottile, ma non si può dire a un figlio anche grande tutto quello che si direbbe al proprio migliore amico.

Se si oltrepassano i confini coinvolgendoli come confidenti si rischia di sconvolgerli.

In sostanza, bisogna evitare di trascinarli nel proprio mondo adulto, evitando però di lasciarli emotivamente in balia di se stessi. Per fare da esempio a un figlio, una delle opportunità più importanti è quella di mostrargli come si gestiscono le emozioni, i problemi e ci si comporta poi con gli altri quando si sono feriti i loro sentimenti. Chiedendo scusa, sanando le ferite, e ripartendo insieme.


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