Spesso i ragazzi sorprendono i genitori e gli adulti, in generale, con nuovi termini e definizioni che tra loro girano ormai come parole usuali ma che ai “grandi” suonano però come un gergo oscuro, una barriera che devono superare per restare in contatto con i figli e seguirli nel loro mondo. Uno di questi termini è “cringe”.
“Cringe” letteralmente significa rabbrividire, inorridire. Sono già stati condivisi online milioni di post con questo hashtag e moltissime discussioni si sono tenute per stabilire le cose, gli atteggiamenti, le mode e così via, che sono “cringe”.
È una sensazione familiare quella di rabbrividire per il disagio, le volte che risulta quasi fisicamente doloroso guardare qualcuno fare qualcosa di imbarazzante senza esserne consapevole. Senza rendersi conto di come appare agli occhi degli altri.
Un discorso che cerca di essere divertente senza successo, un ragazzo che cerca di girare un video in diretta social un luogo turistico troppo popolare e abusato, o un amico che cerca di mettersi in mostra con un acquisto costoso ma di fatto poco affascinante.
Ma cos'è esattamente il cringe, sono chiesti alcuni esperti di comunicazione, e perché quasi tutti, in particolare tra i giovani, si sentono di doverlo condividere con gli altri?
Dopotutto, se è così penoso guardare un discorso fatto in pubblico con tutte le battute che cadono nel vuoto, non sarebbe meglio dimenticarsene, evitando di menzionarlo?
Sembra invece che si senta l'impulso di diffondere il cringe.
Una nuova ricerca dell'Università della Louisiana ha adottato un approccio sistematico per scoprire cosa sia il cringe.
Innanzitutto, i ricercatori hanno stabilito che ci si sente imbarazzati quando si osserva qualcuno in un tentativo goffo di fare qualcosa che possa fare un'impressione positiva.
Ci si sente ad esempio imbarazzati quando qualcuno cerca di essere divertente, ma non ci si sentirebbe allo stesso modo imbarazzati quando qualcuno sta vivendo qualcosa di negativo senza cercare di fare un'impressione positiva, ad esempio qualcuno che si è fatto male e cerca e merita vicinanza e compassione.
Successivamente, i ricercatori hanno dimostrato che le persone amano parlare di cose cringe. I partecipanti a un esperimento hanno visto post sui social media imbarazzanti che erano stati modificati per mettersi in mostra e post piacevoli senza un fattore di cringe.
Hanno quindi scelto quali post discutere in un forum con altri ed erano più propensi a scegliere i post imbarazzanti, anche se in realtà non piacevano o non li trovavano piacevoli da guardare.
Infine, i ricercatori hanno esplorato questo enigma: perché vogliamo condividere contenuti imbarazzanti quando nemmeno ci piacciono e proviamo emozioni negative vedendoli?
Un altro esperimento ha fornito una risposta. In esso, i partecipanti hanno giudicato una mamma blogger, che aveva cantato una volta bene e una male durante una performance scolastica.
I partecipanti che avevano condiviso la performance buona avevano diffuso qualcosa di carino e piacevole, ma i partecipanti che avevano condiviso la cattiva performance avevano effettivamente ottenuto un piccolo incremento di autostima, un compiacimento per se stessi nel farlo.
Quando si condivide qualcosa di imbarazzante, in altre parole, si può storcere il naso insieme agli altri e sentirsi tutti al modo giusto, che non si commetterebbe mai un passo falso sociale come quello che si sta condividendo.
Condividere qualcosa di imbarazzante fa sentire come se si conoscessero le regole sociali che la persona imbarazzante sembra ignorare, e che non si cadrà nei suoi goffi tentativi di fare bella figura. Diffondendo un contenuto imbarazzante, si fa squadra con altri che sono più esperti del protagonista imbarazzante del video o della foto che si condivide, che si sforza molto per sorprendere ma non per nulla riesce a impressionare, se non in modo negativo.
È un modo, dunque, che i giovani possono usare per “fare gruppo”, può anche sfociare in una forma di cyberbullismo. Il cringe, infine, se rivolto come critica a qualcosa che fanno “normalmente” gli adulti, può essere metro per segnare la distanza generazionale e il cambiamento dei modi e dei costumi.