È da oggi in libreria il libro di Lamberto Bertolé "Il Miele e l'aceto. La sfida educativa dell'adolescenza" (Novecento Editore). Di seguito una breve intervista all'autore.
Buongiorno Lamberto. Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?
Il desiderio di condividere la mia esperienza di educatore e insegnante. Ho sempre sentito, io per primo nel corso del mio lavoro, la necessità di verificare e di discutere con i miei colleghi quello che facevo con i ragazzi di cui mi stavo occupando. Da queste pagine spero arrivino spunti per occasioni di confronto e di discussione. Gli adulti hanno bisogno di non sentirsi soli nel rapporto con gli adolescenti di cui si occupano, hanno ricchezze da scambiare, fatiche da vincere.
Con questo lavoro vorrei promuovere pensiero, riflessività, la capacità di dotarsi di strumenti più adeguati per affrontare le difficoltà della relazione educativa.
Perché l’adolescenza è tanto importante, perché hai scelto di concentrare lì le tue energie?
L'adolescenza è la stagione delle grandi possibilità in cui molto, non tutto, ma molto è possibile. Ne deriva una grande fiducia. Sono stato sempre molto attratto da questa dimensione della possibilità e delle molte strade ancora aperte, dei destini possibili, incrociati, che ancora non sono definiti. Nelle realtà che osservo vedo però adolescenti spesso lasciati troppo soli, in direzioni che non offrono sbocchi.
Gli adulti in questo giocano un ruolo importante.
Gli adolescenti hanno bisogno di adulti forti. Credo che occorra un nuovo, forte protagonismo degli adulti.
Nella mia esperienza di diciassette anni di lavoro in questo ambito ho incontrato un profondo smarrimento, molta fatica, tante occasioni perse, l'incapacità di cogliere fino in fondo e valorizzare la sfida di essere presenti e protagonisti accanto a ragazzi che crescono.
Cosa intendi per protagonismo degli adulti?
Non certo invadenza o prevaricazione. Penso piuttosto ad adulti che si assumono il proprio ruolo, in alterità, riunendo forze da spendere anche nella conflittualità, quando serve, per vivere attivamente la relazione con i ragazzi loro affidati, incrociando davvero i loro destini per sbloccarli, per promuoverli.
Nel libro parli da educatore e allo stesso tempo da professore. Insegnare in un liceo, a contatto con ragazzi coetanei di quelli che sono ospiti della cooperativa Arimo, ha aggiunto qualcosa di differente rispetto a quello che pensavi di un adolescente?
Nella mia esperienza ho verificato come le differenze fossero spesso di superficie. Ovviamente esistono moltissime diversità, ma molto di facciata, e le fatiche e le domande e i bisogni spesso sono gli stessi, sia dei ragazzi che delle famiglie. Occasioni e condizioni differenti hanno portato a destini molto diversi, certo, però non ho mai trovato una totale contrapposizione. È magari una diversità esteriore negli stili e nei comportamenti ma non nelle domande e nelle necessità di fondo. Ho verificato nella scuola come nella comunità il grande bisogno dei ragazzi di avere figure adulte autorevoli, capaci di un codice paterno serio, di non allontanare la realtà, di dire di no e anche, quando occorre, di sanzionare, e quindi di valorizzarli, perché solo considerandoli capaci, responsabili di quello che fanno li valorizziamo.
Il livello istituzionale e la società in genere sembrano mettere poco a tema la questione degli adolescenti e dei loro bisogni educativi.
Penso che esista una responsabilità più grande e complessiva che deve essere indagata, non quella dei singoli adulti ma della società adulta nel suo complesso, anche della società politica, e della classe dirigente, nel senso più lato, del nostro paese. Occorre interrogarsi suoi bisogni trascurati delle nuove generazioni, sulle responsabilità che esitono nei loro confronti. C'è una grande rimozione del futuro, siamo tutti molto ancorati al presente e nel dibattito pubblico gli adulti competenti, che hanno responsabilità, stanno rimuovendo il tema del futuro dei giovani e quindi anche del nostro paese.
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