Per gentile concessione delle curatrici e dell'editore, pubblichiamo l'introduzione e le considerazioni conclusive del volume Rileggere adolescenze e devianze (edizioni Alpes Italia).
Gli ultimi dati sulla popolazione degli Istituti Penali, dei Centri di Prima Accoglienza e dei Servizi minorili, evidenziano la presenza di adolescenti e giovani di culture, linguaggi e dinamiche di difficile comprensione e gestione per il sistema dei Servizi della Giustizia Minorile nello svolgimento dei loro compiti di educazione e sicurezza.
Di fronte alle grandi trasformazioni economiche e culturali, che moltiplicano i disagi e le rappresentazioni, oggi non sembra più sufficiente la mera osservanza delle norme per garantire i diritti, ma sempre più necessaria sembra divenuta l’attivazione di processi che avvengono tra più attori che tra loro riconoscono e convengono sui problemi, sulle criticità e sulle condizioni possibili per una riformulazione di interventi educativi e di sicurezza. Sono cambiate le modalità di comunicazione dei disagi individuali e sociali, delle dinamiche intramurarie tra i giovani e il personale preposto al trattamento. Si rileva invece, una sempre maggiore complessità che si esprime attraverso la presenza di minori con disagi psichici e tratti psicopatologici, manifestati anche attraverso gesti antisociali come autolesionismi di varia natura, liti tra bande di etnia diversa, aggressioni e, di contro, attivano conseguentemente una maggiore reattività alle proposte educative e al piano trattamentale.
L’idea di realizzare questo volume, per effettuare una rilettura delle adolescenze e delle devianze, nasce da una serie di riflessioni e spunti suggeriti da numerosi operatori del settore minorile, quindi dalla consapevolezza che entrare in relazione e in dialogo con la nuova tipologia di adolescenze, è di fatto un compito delicato e complesso per gli adulti, e lo è ancora di più soprattutto per chi, quotidianamente per ruolo e professione, si imbatte in vissuti di sofferenza come quelli dei ragazzi che per diverse ragioni entrano nel circuito della Giustizia e dei Servizi minorili e da cui, spesso, fanno fatica ad uscire. I contenuti di questo volume, di fatto, sono frutto di un lungo lavoro di incontri, narrazioni e condivisioni di esperienze raccolte in quattro anni di lavoro intenso, appassionante e di grande spessore umano con gli Agenti di Polizia Penitenziaria del settore minorile impegnati in un progetto formativo di revisione delle loro competenze, professionali e personali, acquisite nel corso degli anni al servizio della Giustizia Minorile. I circa 750 Agenti del Corpo di Polizia Penitenziaria e i numerosi operatori dei Servizi appartenenti a tutto il territorio nazionale, si sono incontrati nelle diverse edizioni del Corso di Specializzazione “Specialista nel trattamento dei detenuti minorenni”, e hanno dialogato oltre che tra loro, anche con Ricercatori, Docenti ed Esperti mettendo a confronto realtà territoriali, tipologie di utenze, modalità di lavoro e gestione di eventi critici e situazioni complesse. I Laboratori esperienziali attivati durante il Corso, infatti, si sono rivelati uno strumento prezioso per ritornare sui temi specifici dei minori reclusi e sull’esperienza di ricerca condotta insieme anche con l’intento di riattualizzare l’operatività del proprio ruolo in relazione alle complesse trasformazioni sociali, dei sistemi educativi e rieducativi del fare sicurezza e trattamento. Il volume contiene solo alcuni dei contributi proposti dai ricercatori e dai funzionari del Corpo di Polizia Penitenziaria che si sono avvicendati durante il percorso formativo, ma che risultano assai preziosi proprio alla luce dei numerosi cambiamenti di cui nel corso degli ultimi anni siamo ancora testimoni, spettatori e in qualche misura anche attori.
Tre le macro-aree specifiche di contesto per definire e focalizzare al meglio il tema delle adolescenze e delle devianze, troviamo l’analisi di alcune espressioni delle attuali adolescenze e della tipologia di utenza con cui gli operatori si relazionano, il quadro di riferimento istituzionale e normativo, a cui si aggiunge una parte dedicata alla specificità della Tecnica Penitenziaria minorile, che mette in luce alcune considerazioni specifiche che maggiormente sollecitano, e hanno sollecitato, confronti e dibattiti sia sulla specificità del ruolo professionale sia rispetto ad alcune situazioni che in molti casi hanno richiamato il clamore mediatico per la complessità e la delicatezza degli argomenti.
Il primo contributo apre ad alcune riflessioni sul senso e significato di Educazione e Sicurezza, sulla difficile connessione e integrazione tra due funzioni intrinsecamente compresenti nelle finalità che istituzionalmente caratterizzano gli Istituti penali e i Servizi minorili; riflessioni che prendono spunto dalla complessa situazione attuale resa ancora più difficile, se ci si trova a dover fare i conti con trasformazioni consistenti sia nei comportamenti che negli atteggiamenti degli adolescenti rispetto ai reati, con famiglie che abbandonano o che si irrigidiscono in pretese e chiusure, quando cresce il numero di ragazzi stranieri arrivati come “minori non accompagnati” o, ancora, quando si riscontrano sintomi di psicopatologie preoccupanti. A seguire, alcune focalizzazioni specifiche per analizzare e riflettere sui minori e le loro modalità di azione, interazione e reazione. Una rilettura delle adolescenze e delle devianze in relazione alle trasformazioni della società e dei sistemi educativi, una riflessione sulla funzione educativa dell’adulto in relazione ad una serie di “emergenze sociali” ad essa collegate, che sembrano strettamente correlate ad una certa quota di instabilità della condotta: l’impulsività espressa attraverso agiti trasgressivi, tipica in parte del passaggio evolutivo adolescenziale sembra essere divenuta una delle più evidenti manifestazioni della inquietudine interiore e/o del disagio vissuto.
Nel corso del volume, vengono messe in luce, quindi, alcune configurazioni che, allo stato attuale, definiscono situazioni che accomunano sia minori che incontriamo al di fuori dei circuiti penali sia ad adolescenti e giovani adulti che i Servizi minorili oggi accolgono. Un numero sempre maggiore di minori stranieri, in balia delle difficoltà dovute alle migrazioni e alle proprie storie di vita in cui l’appartenenza, la residenza, la cittadinanza, i diritti, le identità e i transiti, si sono relativizzati e in cui, spesso gli stessi soggetti transitano velocemente sfumando da una condizione ad un'altra. Situazioni nuove e complesse in cui è impossibile sottovalutare la difficoltà dello sforzo teso a raggiungere delle sicurezze identitarie, politiche e legali, in un mondo che transita e che, nemmeno più per i nativi, garantisce tali certezze. Mai come in questo passaggio storico, l’adolescente trova in alcune situazioni specifiche, la via attraverso cui esprimere il proprio disagio, come nell’uso di sostanze stupefacenti, l’affiliazione a bande o nella radicalizzazione verso altre realtà, come la Jihad, in cui trovare le risposte a tutte quelle domande che egli stesso si pone e che gli vengono proposte come una soluzione perfetta che sembra fatta su misura, una realtà senza chiaroscuri, assoluta e senza dubbi, ma decisamente tragica, perché fatta di certezze monolitiche, apparentemente protettive, però sostanzialmente soffocanti.
Seguono alcune riflessioni sulla funzione del gruppo e sulle dinamiche che vi si innescano: se possiamo affermare che nel primo caso l’adolescente riceva dal gruppo la spinta ideale e progettuale attraverso cui può realizzare sé stesso e quanto sia importante offrire agli adolescenti antisociali la possibilità di fare l'esperienza del gruppo educativo rappresenti la migliore prevenzione delle recidive dei comportamenti devianti, nel secondo caso, la riflessione si concentra sull’analisi delle dinamiche gruppali come espressioni di estreme forme di provocazione e prevaricazione che, se non riconosciute e gestite, possono creare situazioni critiche anche all’interno della situazione detentiva. Un dato statistico, da non sottovalutare infatti, sono le inchieste giudiziarie che negli ultimi anni hanno subìto un aumento a carico di minori sudamericani; situazioni di giovani che in molti casi si inventano, per così dire, un’identità latina come vera e propria risposta adattiva a un ambiente sociale fortemente frammentato e a metà tra la cultura d’origine, mal assimilata, e la cultura del paese di arrivo; condizioni in cui il far parte di un gruppo, consente il recupero di una vera e propria dimensione di libertà, di una cultura propria, per acquisire diverse forme di socialità come occasioni per costruire identità condivise.
Dagli agiti sregolati, “sul margine incerto della nostra contemporaneità, diffusamente interessata da processi di deregolazione”, una dovuta considerazione va fatta sulla regola e sui dispositivi educativi utilizzati con i minori; una questione primariamente pedagogica per capire cosa ne facciamo delle regole, e interrogare anche cosa è contenuto e cosa è in gioco nelle nostre pratiche di regolazione, per meglio comprenderne le funzioni in termini educativi. Riconoscere le dinamiche, dunque, consente di agire le risorse. Se i Servizi per la Giustizia Minorile, concorrono a realizzare l’obiettivo di coniugare le istanze di giustizia con quelle educative per dare risposta al reato commesso, salvaguardando il percorso di crescita del minore autore di reato, fondamentali risultano: A) le normative di riferimento centrali e qualificanti il processo penale minorile, nei suoi aspetti teorici ed operativi del D.P.R. n. 448 del 1988, che istituisce una serie di risposte e interventi per creare le condizioni idonee a tutela dei diritti dei minori in carcere; B) i processi di cooperazione con le altre figure professionali e l’utilizzo dei diversi dispositivi istituiti nei regolamenti degli Istituti Penali Minorili (I.P.M.), dei Centri di Prima Accoglienza (C.P.A.) e di comunicazione interna con le altre aree dei diversi Servizi. Risorse fondamentali nella gestione degli eventi critici che possono verificarsi con i giovani detenuti nella quotidianità degli Istituti e dei Servizi minorili, proprio per la particolarità dell’utenza e delle diverse dinamiche che possono intrecciarsi tra le “sofferenze taciute” dei minori ristretti, il loro “passaggio evolutivo critico” e la funzione educativa rappresentata dall’operatore, anche nella rilettura del reato commesso. Per concludere, alcune focalizzazioni sulla tecnica penitenziaria minorile attraverso l’analisi di alcuni casi pratici ed una dovuta riflessione intorno ad alcuni pregiudizi sull’uso legittimo della forza (art. 41 dell’Ordinamento Penitenziario) negli Istituti Penitenziari Minorili, che da sempre è una delle questioni più controverse sia dal punto di vista operativo che per gli aspetti deontologici della professionalità.
Questo volume, in sostanza, non ha la pretesa di restituire al lettore un lavoro esaustivo, certamente un contributo che non rende appieno la complessità del lavoro di chi opera nel settore ma, allo stesso tempo, siamo certe di rendere leggibile la ricchezza dei confronti e delle elaborazioni delle esperienze che si sono verificati con incontri formativi di intenso scambio e confronto che ha reso questa esperienza, una esperienza professionale e umana unica.
Alcune riflessioni conclusive
Gli spunti di riflessione tratti dalla lettura di ogni spaccato affrontato, sono tutti collegati da un comune fil rouge che restituisce l’importanza fondamentale del sapersi relazionare con gli adolescenti, soprattutto di entrare in relazione con quei minori le cui vite sono state costellate da assenze, violenze, abusi, “codici valoriali antisociali”, sofferenze che li hanno spinti, anzitempo, alla deriva e condotti all’incontro con i Servizi della Giustizia minorile a vario titolo.
Il senso del lavoro svolto attraverso la formazione con gli Agenti di Polizia Penitenziaria, e con gli altri Operatori di Servizi minorili, di cui questo volume è solo una parte di ciò che fino ad oggi è stato realizzato, racconta l’intento, compiuto, di realizzare due obiettivi: acquisire le competenze relazionali adeguate per interagire con i minori e coordinare modi e stili di intervento con gli altri operatori interni ed esterni al sistema; potenziare le capacità degli operatori nella lettura dei contesti e dei problemi per poter agire interventi di sicurezza con specifiche valenze educative e per saper prevedere, quindi, prevenire gli eventi critici.
L’incontro con le narrazioni delle esperienze e dell’operatività messe in campo, sono stati utili a sondare ed esplorare quali siano le migliori modalità in grado di aprire varchi di comunicazione e rimodulazione sulla funzione educativa degli adulti da mettere in campo con le traiettorie adolescenziali di oggi, senza cadere nell’errore di agire uno sguardo stereotipato e settoriale, fatto di facili categorizzazioni. Educarsi, nella relazione con gli adolescenti e, quindi, non solo educare e ri-educare. Relazionarsi ed entrare in relazione con gli agiti dei minori, come scambio tra le generazioni con l’intento di ricostruire, con altri occhi, un viaggio diverso nelle loro storie, in cui sembrano venire sempre meno progettualità e prospettive future, ma tutto sembra essere bloccato in un tempo solo eternamente presente e dettato dall’ambivalenza. I diversi contributi del volume, hanno l’obiettivo, seppure ambizioso, di suggerire una rilettura e risignificazione delle diverse modalità che utilizziamo per leggere ciò che accade con i minori che incontriamo e con i contesti e le organizzazioni in cui operiamo a vario titolo. Viviamo in una realtà in cui siamo soliti utilizzare “modelli di comprensione” dei variegati mondi adolescenziali che non sembrano essere più rispondenti alla attuale realtà giovanile. La crisi e il forte cambiamento storico, ha infatti generato la confusione interna di ognuno, che grava sulla credibilità della funzione educativa. Di fatto, entrare in relazione con le cosmologie adolescenziali, ci porta a volte a sperimentare un senso di inadeguatezza che conduce a leggere le situazioni problematiche procedendo per categorizzazioni, dimenticando che ciò che permette di comprendere meglio è in sostanza l’ascolto, quello attento e rispettoso che consente di entrare in relazione con le storie, le paure, la confusione e il disorientamento degli adolescenti in balia dell’ambivalenza della crescita in cui l’adulto non sembra più essere in grado di dare risposte rassicuranti né il giusto contenimento.
Entrare in relazione con questa ambivalenza, significa anche entrare in relazione con il vuoto simbolico e l’assenza di senso che i minori sperimentano e da cui sono atterriti. Rileggere adolescenze e devianze alla luce delle attuali trasformazioni, consente di avviare, in tal senso una revisione critica delle certezze che guidano l’abituale rapporto con la realtà, inserendovi punti di riferimento rinnovati che, contemporaneamente, permettono di riattualizzare la funzione educativa per tornare ad essere “adulti significanti” e trovare nuove modalità di orientarsi ed entrare in connessione e comunicazione con linguaggi e le modalità di espressione utilizzate dagli adolescenti.
Da questa esperienza, che ci ha unite professionalmente e umanamente e, a dire il vero anche da molte altre effettuate nel corso degli anni con progetti in cui ambiziosamente abbiamo cercato di mettere in relazione adolescenti e adulti, abbiamo acquisito alcune preziose consapevolezze che abbiamo voluto condividere proprio con questo volume. Innanzitutto quanto sia difficile per alcuni adulti ascoltare quello che i ragazzi dicono: a volte sembra essere più urgente la necessità di mostrare “ciò che si sa” piuttosto che ascoltare, trascinati dalla retorica buonista e autoincensatoria che altro non fa che aumentare la distanza dai ragazzi i quali, invece, nel tentativo di “urlare sé stessi”, le loro storie, i loro pezzi di vita dolorosi, agiscono provocazioni gridate a squarciagola o, a volte, persino in modo “sguaiato”. Adulti spesso distratti, come se ruoli, impegni, scadenze, cose da fare giustificassero sempre la loro presenza-assente fatta di superficiale attenzione, peraltro senza partecipazione “pensata”.
E poi, alcune riflessioni sull’ambiente sicuro e sulla funzione contenitiva dell’adulto, che non si esaurisce nei contesti penitenziari minorili, ma si allarga a quelli della vita dentro e fuori dalle mura detentive. Se partiamo dal presupposto che la caratteristica principale di un ambiente sicuro sia la qualità della relazione stabilita tra adulto e adolescente, va da sé che costruire un ambiente sicuro significhi agire e garantire un buon contenimento. Assumere cioè la funzione di “contenitore” per consentire all’adolescente di pensare, riflettere e trasformare i pensieri intollerabili, difficili e invadenti in forme più accettabili. Se pensiamo alle storie di vita degli adolescenti devianti, caratterizzate dall’ambivalenza, dalla inaffidabilità, dalla indifferenza o, in situazioni estreme, dall’assenza di adulti di riferimento, e quindi da relazioni incerte, instabili e disfunzionali, va da sé che un buon contenimento è sinonimo di “tenere a mente”, appunto contenere pensieri, emozioni, sentimenti generati da comportamenti ostili, distruttivi, aggressivi, caotici. Un buon contenimento, quindi, consente di costruire un senso di integrazione, di riflettere, pensare e fare libere scelte. Così come, agire un buon contenimento in situazioni particolari, come quelli vissuti negli Istituti Penali Minorili, può favorire la condivisione e la connessione tra agiti distruttivi e ambiente sicuro restituendo senso e significato, attraverso la rilettura e la risignificazione dei gesti-reati commessi. Di fatto, nei contesti detentivi, l’utilizzo delle regole e il loro adempimento, seppur necessario, non può essere l’unico volano per garantire la sicurezza e il trattamento dei giovani detenuti.
Abbiamo dunque realizzato, con gli operatori che si sono messi in dialogo aperto, che solo attraverso una relazione di ascolto, comprensione ed orientamento sia possibile costruire un contesto sicuro in cui sostenere e supportare processi educativi, entrandovi in relazione. In questo non possiamo far riferimento a regole che ci dicono come si fa o cosa si deve fare, ma piuttosto alla capacità individuale e collettiva di organizzare ed agire i propri interventi professionali in relazione alle diverse esigenze che i contesti e le utenze presentano. Il passaggio nei circuiti dei Servizi della Giustizia minorile, può allora essere rappresentata come la dinamica di un passaggio in cui al minore viene data la possibilità di costruire un “tempo nuovo” e in cui trovare anche uno “spazio nuovo” per agire una crescita trasformativa, che sia sì spazio di confinamento, ma anche di esperienza in cui poter riconciliare, riparare, rileggere e trovare un senso.
Il libro si può acquistare qui
Le autrici
Sonia Moretti: Psicologo clinico forense, Psicoterapeuta, esperta in Psicologia Giuridica e Psicopatologia delle condotte criminali.
Lavora come consulente tecnico psicologo-criminologo nel settore penale e svolge attività di Docente formatore in diversi Atenei ed Enti Istituzionali.
Ha collaborato con altre Forze di Polizia sempre in tema di Scienze forensi e Progetti sulla Legalità rivolti ai giovani. Già Docente esterno presso l’allora ICF del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità di Roma e Castiglione delle Stiviere nei Corsi di Specializzazione per la Polizia Penitenziaria. Ha pubblicato diverse monografie e articoli di settore.
Cira Stefanelli: Dirigente Ufficio III, Direzione Generale della Formazione, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Si occupa della progettazione e realizzazione di programmi formativi rivolti al personale appartenente ai ruoli della giustizia minorile. Lavora dal 1992 nell'Amministrazione della giustizia minorile nell’ambito della quale ha svolto diversi ruoli a partire da quelli più operativi.
Ha svolto attività di docenza a contratto per 10 anni presso la Facoltà di Scienze della formazione dell'Università LUMSA di Roma. Ha pubblicato alcuni articoli su tematiche riguardanti il proprio ambito di lavoro.