Un'ulteriore dimensione tematica di riflessione sugli adolescenti, Passioni, arricchisce la nuova edizione de “Il miele e l’aceto” di Lamberto Bertolé (Laurana Editore). Per gentile concessione dell'autore e dell'editore ne pubblichiamo un estratto.
Il tema delle passioni, del loro valore, della loro eventuale assenza, della loro qualità, è una sorta di fiume carsico che si intreccia con gli argomenti che abbiamo affrontato: maestri, limite, gruppo, identità e così via.
Abbiamo ad esempio detto che è bene sollecitare nei ragazzi passioni alte, grandi ideali, portando l’adolescente – che vive l’età dei valori assoluti – a non cedere a cinismo e sfiducia ma, al contrario, ad investire le sue energie nella direzione di ideali altruisti di cambiamento del mondo. La passione può originare da una scintilla lasciata cadere da un maestro, scintilla che a suo tempo crescerà fino a sostenere e alimentare il desiderio di futuro. È in questa dialettica tra ideale e concretezza della realtà esperita, si è detto, che si costruisce l’identità.
Il grande rilievo del fattore delle passioni – intese al positivo, come dedizione, interesse, slancio verso qualcosa a partire da una naturale inclinazione – è ricorso ora implicitamente in quello di cui abbiamo parlato, ora esplicitamente, venendo di frequente richiamato e discusso. In quanto seguirà esiste pertanto un rischio di ridondanza rispetto a quanto già detto, al quale cercherò di ovviare stringendo i nodi più sopra lasciati aperti su come proprio le passioni, la loro assenza o distorsione, siano un efficace modo di ricostruire e leggere i vissuti, le aspettative e quanto anima la vita interiore e le proiezioni verso l’esterno e il futuro dei ragazzi e delle ragazze, nel corso dell’adolescenza.
Passioni povere
Mi piace partire da un testo molto suggestivo scritto alcuni anni fa da Miguel Benasayag, famoso anche per la sintesi molto efficace con cui ha descritto la fase storica che stiamo vivendo: “L’Epoca delle passioni tristi”. Passioni depotenziate che, forse con più esattezza, più che tristi potremmo definire povere.
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Quella delle passioni tristi, dice Benasayag, è un’immagine che deriva dal grande filosofo Spinoza, il quale con questa espressione non si riferiva alla tristezza, al dolore, al pianto, ma all’impotenza, alla disgregazione e alla mancanza di senso.
Quella delle passioni tristi, o povere, può essere una bella chiave di lettura per comprendere i comportamenti e il vissuto di tanti adolescenti di oggi perché, forse, quanto maggiormente spicca osservando e parlando con tanti ragazzi e ragazze è che il futuro, l’orizzonte di quanto li aspetta, viene percepito come minaccia più che come promessa o riscatto. E, in questa visione delusiva e scoraggiante, gioca un ruolo importante la narrazione degli adulti. Come sottolinea Benasayag: “Oggi sappiamo benissimo che la perdita di ideali e la tristezza hanno portato la nostra società ad abbandonare un tipo di educazione fondato sul desiderio. L’educazione dei nostri figli non è più un invito a desiderare il mondo: si educa in funzione di una minaccia, si insegna a temere il mondo, a uscire indenni dai pericoli incombenti”.
Questa percezione al negativo, occorre dire, è anche una conseguenza e una conferma delle enormi disuguaglianze che caratterizzano la nostra società. Esiste infatti una parte di ragazzi per i quali, al contrario, il futuro rimane quello che era in epoche passate: una grandissima occasione di crescita, di nuove esperienze, di arricchimento e opportunità. In altre parole, di felicità.
Se guardiamo agli adolescenti di oggi nel loro complesso, però, vediamo che la gran parte di loro si chiude in un “piccolo” presente, per la convinzione che quanto li aspetta sarà peggiore e più pericoloso del poco che hanno oggi. Questa percezione è in parte dovuta al dato di fatto di una realtà che si è chiusa, che non offre sbocchi e occasioni in modo egualitario; ma anche, in buona parte, a un racconto “pubblico” volto ad accentuare in negativo le prospettive del mondo a venire. È questo un messaggio potentissimo, che dipinge il domani come una minaccia e alimenta le paure dei giovani. L’effetto è quello di schiacciarli all’interno di un’esistenza che vive, appunto, di passioni povere, legate al consumo spicciolo e mai soddisfacente: di beni, di tecnologia, di sostanze. Una distrazione perenne da sé e da uno slancio fiducioso verso l’avvenire.
La questione, per noi adulti, è quella di capire come confrontarci con questa dimensione di scoraggiamento e inerzia dei ragazzi e delle ragazze, quando si abbandonano a passioni insulse che, anziché arricchirli, li deprivano, attività e comportamenti che esprimono sfiducia nell’esistenza, non investimento su di sé, risentimento verso un mondo che non offre grandi opportunità.
Detto questo, come sottolinea Benasayag, per affrontare il malessere e la sfiducia di un ragazzo non si può prescindere dal contesto sociale anche allargato nel quale sta crescendo. L’azione educativa è, al contempo e necessariamente, anche azione politica.
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