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Un gruppo di ricercatori ha utilizzato un algoritmo di apprendimento automatico per identificare i principali fattori in grado di far prevedere il rischio di autolesionismo e di tentativo di suicidio di un adolescente.

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Secondo gli studiosi, il modello da loro predisposto è più accurato dei predittori di rischio esistenti e potrebbe essere utilizzato per fornire cure personalizzate ai giovani più vulnerabili.

L’adolescenza è un periodo formativo critico, i cambiamenti fisici, emotivi e sociali possono rendere gli adolescenti vulnerabili in termini di salute mentale, portandoli anche a tentativi di suicidio e comportamenti autolesionistici. Secondo l’Australian Institute of Health and Welfare, il suicidio è la principale causa di morte tra gli australiani di età compresa tra 15 e 24 anni. Negli Stati Uniti, i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) lo elencano come la seconda causa principale dai 10 ai 14 anni.

L’approccio standard per prevedere il suicidio o l’autolesionismo, spiegano gli studiosi, si basa sui tentativi di suicidio o autolesionismo passati come unico fattore di rischio, e può essere inaffidabile. I ricercatori dell’Università del New South Wales di Sydney hanno utilizzato l’apprendimento automatico (ML) per identificare con precisione i principali fattori che espongono gli adolescenti a un rischio maggiore di suicidio e autolesionismo.

"A volte abbiamo bisogno di incamerare e elaborare molte informazioni che andrebbero oltre le capacità di un singolo specialista" ha affermato Ping-I Daniel Lin, autore principale dello studio. “Questo è il motivo per cui stiamo sfruttando gli algoritmi di apprendimento automatico”.

I dati di 2.809 adolescenti sono stati estratti dal Longitudinal Study of Australian Children (LSAC), uno studio rappresentativo a livello nazionale iniziato nel 2004. Gli adolescenti sono stati divisi in due gruppi di età: dai 14 ai 15 anni e dai 16 ai 17 anni. Le informazioni provengono da questionari compilati dai giovani, dai loro genitori e dagli insegnanti. Tra i partecipanti, il 10,5% aveva denunciato un atto di autolesionismo e il 5,2% aveva riferito di aver tentato il suicidio almeno una volta nei 12 mesi precedenti.

I ricercatori hanno identificato più di 4.000 potenziali fattori di rischio dai dati in aree quali la salute mentale, la salute fisica, le relazioni con gli altri e l’ambiente scolastico e familiare.

Hanno utilizzato un algoritmo random forest (RF) per identificare quali fattori di rischio osservati all’età di 14-15 anni fossero maggiormente predittivi di tentativi di suicidio e autolesionismo all’età di 16-17 anni.

RF è un algoritmo di apprendimento automatico supervisionato costituito da alberi decisionali. Combina l'output di più alberi decisionali per raggiungere un unico risultato. L’idea fondamentale alla base della RF è che combinando molti alberi decisionali in un unico modello, le previsioni saranno in media più vicine all’obiettivo.

Le prestazioni predittive del modello basato sul machine learning sono state confrontate con un approccio che utilizzava come predittore solo una storia precedente di autolesionismo o tentativi di suicidio.

Quarantotto variabili sono state utilizzate per addestrare il modello RF a prevedere l'autolesionismo, modello che ha mostrato una discreta prestazione predittiva.

Per il modello di autolesionismo, le principali variabili identificate includevano lo Short Mood and Feelings Questionnaire (SMFQ), che valuta i sintomi della depressione, i punteggi del Strengths and Difficulties Questionnaire (SDQ), che valuta il comportamento e le emozioni, gli eventi stressanti della vita, le scale della pubertà, la relazione figlio-genitore, autonomia, senso di appartenenza alla scuola e se il giovane aveva un fidanzato/a.

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Per il modello del tentativo di suicidio, i principali predittori erano SMFQ, SDQ, Spence Anxiety Scale, che valuta la gravità dei sintomi di ansia, e un indice che misura la qualità della vita correlata alla salute.

Rispetto all’utilizzo come predittori solo di una storia di autolesionismo o di tentativi di suicidio, i modelli di machine learning hanno funzionato meglio.

Ciò che ha sorpreso i ricercatori è stato che i precedenti tentativi di suicidio o di autolesionismo non fossero un fattore di rischio elevato e che l’ambiente giocasse un ruolo così importante.

"È stato sorprendente per noi vedere che i tentativi precedenti non erano tra i principali fattori di rischio" ha detto il professor Lin. “Abbiamo scoperto che l'ambiente in cui vive il giovane gioca un ruolo più importante di quanto pensassimo. Questo è positivo dal punto di vista della prevenzione, perché ora sappiamo che possiamo fare di più per questi giovani”.

I ricercatori hanno anche notato che esistevano fattori unici specifici del suicidio o dell’autolesionismo.

"Un predittore unico di suicidio era la mancanza di autoefficacia, quando qualcuno avverte una mancanza di controllo sul proprio ambiente e sul proprio futuro. E un predittore unico di autolesionismo era la mancanza di regolazione emotiva".

I ricercatori affermano che i loro risultati sono importanti perché tendono a smentire lo stereotipo secondo cui le persone si suicidano o si autolesionano esclusivamente a causa della cattiva salute mentale. Sostengono che il loro modello potrebbe essere utilizzato per valutare il rischio individualizzato negli adolescenti.

"Sulla base delle informazioni del giovane, l'algoritmo di machine learning potrebbe calcolare un punteggio per ogni persona e questo potrebbe essere integrato nel sistema di cartelle cliniche elettroniche" ha affermato il professor Lin. "Il medico potrebbe recuperare rapidamente tali informazioni per confermare o modificare la propria valutazione."

Sono necessarie ulteriori ricerche prima che questi modelli possano essere implementati in un contesto clinico. Devono essere applicati ai database clinici della vita reale per convalidare la loro efficacia nel prevedere i tentativi di suicidio e di autolesionismo.

"Come ricercatori, cercheremo di continuare a generare più informazioni e più evidenze" ha concluso Lin. “Questo è il modo per convincere le parti interessate – medici, famiglie, pazienti e la comunità – che questi approcci basati sui dati sono preziosi”.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Psychiatry Research.


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