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A un ragazzo che agisca in modo impulsivo o reagisca, quasi senza pensare, a qualcosa che lo provoca o che gli accade, si dice in genere che quell’azione è sbagliata e che dovrebbe comportarsi in un altro modo. In altre parole, si è certi che sia libero di scegliere una risposta adeguata e gli si suggerisce, educativamente, quale dovrebbe essere. Ma è davvero sempre così?
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L'atteggiamento, il comportamento, quello che si fa per reazione, come si agisce in una determinata situazione, spiegano gli psicologi, non è sempre una libera scelta.

Che si possa decidere come comportarsi e che si debba imparare a comportarsi un certo modo, è un principio educativo che vige in qualunque scuola o contesto di aggregazione dove si trovano individui ancora in fase di cambiamento e crescita, come i ragazzi.

Viene di solito sottolineato in buonafede, per ricordare che una delle poche cose su cui si può avere il controllo, in un dato momento, è la risposta che si dà a una determinata sollecitazione.

Fare una pausa riflessiva tra stimolo e risposta per poter fare quella scelta può essere uno dei compiti più difficili che la maggior parte degli esseri umani, i giovani in particolare, si trova ad affrontare e deve faticosamente imparare a sostenere.

Richiede infatti anche un sistema nervoso regolato, sistema che gli adolescenti devono ancora costruire e consolidare.

In quanto esseri sociali con sistemi nervosi finemente sintonizzati sulle relazioni e interazioni sociali, spiegano gli esperti, la nostra percezione del supporto sociale ha un impatto notevole sulla nostra capacità di regolare i nostri sistemi nervosi.

In altre parole, se il nostro senso di appartenenza si sente in qualche modo minacciato, i nostri sistemi nervosi rispondono senza pensarci troppo a questa minaccia.

Quando il nostro corpo risponde a una minaccia, lo spazio per la scelta è davvero limitato: si reagisce, in un certo senso, per istinto di sopravvivenza.

Al sistema nervoso, spiegano gli esperti, non importa davvero se le percezioni riflettono oggettivamente la "minaccia" in questione: i nostri antenati (gli esseri umani da cui deriviamo e cui ancora somigliamo), spiegano con una sorta di battuta, probabilmente preferivano combattere o fuggire piuttosto che aspettare di vedere se potevano accarezzare un predatore in avvicinamento.

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Il sostegno sociale percepito, o la valutazione soggettiva della disponibilità e dell'adeguatezza delle relazioni sociali in cui si vive, può essere o meno "accurato" rispetto a quello un giovane riceve effettivamente.

Eventuali maltrattamenti e traumi infantili, sia violenti (come quelli relativi a eventi “concreti”) sia più complessi (come i traumi che si verificano nel contesto delle relazioni e in particolare delle relazioni di fiducia che vengono violate), influenzano profondamente il modo in cui i giovani percepiscono il sostegno sociale, e il modo in cui lo faranno anche nell'età adulta.

Uno studio recente afferma che il sostegno sociale percepito plasma le modalità di risposta alle minacce del cervello. Inoltre, rileva che i maltrattamenti infantili riducono l'effetto mitigante che il sostegno sociale percepito può avere sui sistemi di reazione alle minacce.

In altre parole, anche se un adulto maltrattato da bambino percepisce un sostegno sociale in una data situazione, il suo sistema limbico (parti del cervello altamente coinvolte nell'attività di lotta o fuga) potrebbe comunque rimanere attivato e così il cervello non gli permette di percepire la possibilità di scelta; al contrario, queste parti del cervello determinano un'azione al servizio della sopravvivenza.

In definitiva, ancora più importante, educativamente, del consiglio di agire con riflessione e dell’affermazione che ogni comportamento deriva da una scelta, potrebbe essere portare un giovane a conoscere e comprendere quanto sia importante l’influenza del suo “sistema nervoso sociale”.

Si dovrebbe cercare di insegnargli a fare del suo meglio per regolare il sistema nervoso, e quindi a prendersi una pausa, a considerare con maggiore obiettività le situazioni che impulsivamente lo stanno spingendo a comportarsi in un certo modo.

Per questa via imparerà con il tempo a riconoscere quali siano quelli che gli psicologi chiamano “trigger” e che lo portano a sopravvalutare e deformare, in alcune situazioni, le cose che gli capitano, e a tenerli sotto controllo.

 

Riferimento bibliografico

Borgers, T., Rinck, A., Enneking, V. et alii.
Interaction of perceived social support and childhood maltreatment
on limbic responsivity towards negative emotional stimuli in healthy individuals
.
Neuropsychopharmacol. (2024).

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