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Samuel Same Kollè, Professore, ricercatore e direttore di dipartimento di psicologia dell’Università di Douala (Cameroun), propone un articolo sulle emozioni e l’apprendimento, coniugando i suoi interessi per la psicologia, la sociologia, la storia e l’educazione. Il suo intento è quello di provare a dare delle risposte ad alcune domande che vengono poste e proposte puntualmente nella società locale.

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Quello che ci propone qui è un excursus tra diversi continenti e diversi autori su come l’intelligenza e le emozioni siano state definite e considerate nel corso degli anni e vengano utilizzate o meno nei contesti di apprendimento più classici.

Quali sono le emozioni e come vengono espresse nei diversi contesti culturali ed educativi?

Il professor Kollè parte da Salovey e Mayer e Gardner con le loro definizioni di intelligenza emotiva, per passare all’applicazione più pratica di Damasio e Goleman, fino al chiedersi come le emozioni possano prendere parte ai diversi processi di apprendimento.

Infine, fa emergere che molti altri studi e saggi in Francia, in Belgio e in altri paesi trattano l’importanza dell’applicazione di questa intelligenza nel campo dell’educazione. E in questi paesi esistono dei centri di applicazione di questa forma di intelligenza. L’Africa sembra essere piuttosto al margine di questo movimento, soprattutto la parte francofona.

Le analisi precedenti hanno privilegiato il cervello come unico luogo di produzione delle emozioni. Le emozioni non hanno che un’origine biologica? Diversi studi hanno mostrato una natura essenzialmente sociale e anche storica delle emozioni. (…) Le emozioni non hanno solo un passato, ma anche un futuro. Non sono dunque dei dati di fatto fissi, ma sono l’oggetto di una costruzione, di un’acquisizione storica e sociale.

Cosa ne è ora dell’Africa? È piuttosto rispetto ai riti di passaggio e delle diverse pratiche iniziatiche che bisognerebbe osservare la presenza possibile della formazione della padronanza del sé dei popoli africani (…) diversi aspetti dell’iniziazione non specificamente sulle sue funzioni, ma sulle esperienze emotive che fa provare.

Poniamo la domanda del loro impatto nei processi di apprendimento. Degli studi sperimentali e delle inchieste devono essere condotte per rinnovare l’importanza di queste espansioni emotive sull’educazione. Pensiamo infatti che al di là dei programmi di educazione emotiva raccomandati nei convegni e nei simposi, è innanzitutto l’acquisizione di una cultura collettiva della disciplina di sé che debba essere promossa. È questa qui che costituirà la colonna, il trampolino per un’applicazione effettiva di un’educazione emotiva.

 Chiara Dragoni

Intelligenza emotiva e acquisizioni intellettive: approccio interculturale e comparato

di Samuel SAME KOLLE
Département de Psychologie, Université de Douala

Samuel Same Kolle è titolare di un HDR (abilitazione alla direzione di ricerche), ottenuta nel 2007 all’Università di Parigi XII Créteil Val de Marne.
È Maestro di Conferenze, che corrisponde al livello di Professore (livello 1 in Francia).
È Capo Dipartimento di Psicologia all’università di Douala (Cameroun).

 Traduazione: Chiara Dragoni

La nascita dell’intelligenza emotiva

Diffusa nel 1995 dal giornalista scientifico americano del New York Times Daniel Goleman, la nozione di “intelligenza emotiva” è nata da due psicologi americani Peter Salovey e John D. Mayer, rispettivamente dell’Università di Yale e del New Hampshire. Pubblicano nel 1990, nella rivista Cognition, Imagination and Personality, un articolo che ha proprio come titolo « Emotional Intelligence ». Danno la seguente definizione di questa intelligenza: “definiamo l’intelligenza emotiva come una modalità di intelligenza sociale che implica la capacità di essere attento alle proprie emozioni e a quelle degli altri e di usare l’informazione che veicolano per orientare il pensiero e l’azione.” [I] 

L’intelligenza emotiva si posiziona dunque come una variante, una modalità di intelligenza sociale. Questa è già stata evocata dal 1920 da parte di Thorndike quando propone la classificazione dell’intelligenza in tre grandi categorie: astratta, meccanica e sociale. Thorndike definiva allora l’intelligenza sociale come: “l’abilità di percepire i propri stati di coscienza, motivazione e attitudini, e agire in modo ottimale a partire da queste informazioni” [II] . È Howard Gardner, psicologo americano insegnante all’Università di Harvard che, nel 1983, riprende, teorizza e ristabilisce questa concezione d’intelligenza, e questo a partire dalla nozione di intelligenze multiple.

Gardner concepisce l’intelligenza in generale come un potenziale biopsicologico, proprio della specie umana, e che si manifesta in diversi modi a seconda dei luoghi, le epoche e le circostanze. Basandosi sulle acquisizioni scientifiche della neurologia, della psicologia dello sviluppo, della psicologia cognitiva e dell’antropologia, l’autore fa emergere precisamente otto tipi di intelligenza di cui ogni essere umano è dotato, ma che si sviluppano e sono utilizzati in modo distinto e indipendente, secondo modalità e ritmi specifici. Questi otto tipi sono i seguenti: l’intelligenza naturale, spaziale, musicale, logico-matematica, linguistica, cinestesica, interpersonale e intrapersonale. Sono queste ultime due forme di intelligenza che attirano l’attenzione di Salovey et Mayer quando elaborano la teoria dell’intelligenza emotiva. Gardner dà di queste la seguente definizione: “l’intelligenza interpersonale è l’attitudine a capire gli altri: ciò che li motiva, il loro modo di lavorare, come cooperare con loro (…). L’intelligenza intrapersonale costituisce un’attitudine connessa, rivolta verso l’interno. È la capacità di concepire un modello preciso e veritiero di se stessi e di utilizzarlo per condurre la propria vita.” [III] Riassumendo, l’intelligenza intrapersonale è centrata su di sé. È l’attitudine a ritornare su di sé, a riconoscere, identificare e accedere ai propri sentimenti, al proprio temperamento, ai propri pensieri, alle proprie motivazioni e desideri, alle proprie forze e debolezze. L’intelligenza interpersonale è più che altro rivolta verso gli altri. Riguarda anche l’abilità a distinguere i sentimenti, pensieri ed emozioni altrui e dare delle risposte appropriate. In entrambi i casi, si tratta di esaminare come l’uomo valuta e comunica le emozioni e come usa queste emozioni per risolvere i problemi.

Mettendo insieme tutti i dati e gli studi condotti su questa forma di intelligenza, Salovey et Mayer propongono il seguente schema concettuale, che evidenzia cosa sia esattamente per loro l’intelligenza emotiva.

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I processi che fondano l’intelligenza emotiva sono attivati quando gli affetti entrano nel campo conscio dell’individuo. Costui li traduce verbalmente, e il linguaggio è dunque il mezzo per eccellenza di valutazione ed espressione delle emozioni interne di una persona. L’alessitimia è l’incapacità di valutare e quindi di esprimere verbalmente le proprie emozioni. Ma la valutazione e l’espressione delle emozioni possono anche essere effettuate attraverso canali non verbali. Saper leggere e interpretare i gesti, la prossemica o qualche altro segnale non verbale è il segno di un’acutezza emotiva intelligente.

La possibilità di regolare le proprie emozioni e quindi anche quelle degli altri è anche, secondo Salovey et Meyer, un aspetto di intelligenza emotiva: « We have include the regulation of emotion in the construct of emotional intelligence because it may lead to more adaptive and reinforcing mood states. »[IV] Infine, secondo questi autori, gli individui sono diversi tra di loro per la capacità di utilizzare le loro emozioni e quelle degli altri per risolvere i loro problemi. Le emozioni positive possono per esempio migliorare l’organizzazione della memoria così che sia meglio integrato il materiale cognitivo per una migliore stimolazione delle idee: « when people approach life task with emotionnal intelligence, they should be at an advantage for solving problems adaptively. And is for this reason that such skills are included within the construct of emotional intelligence. » [V]

Ci sono tre proprietà di intelligenza emotiva che Daniel Goleman riprende e sviluppa nel suo best-seller L’intelligenza emotiva. Il sotto-titolo della sua opera rivela i nuovi attributi di cui sono dotate le emozioni: Accettare le proprie emozioni per sviluppare una nuova intelligenza. Le tre proprietà di questa intelligenza si ritrovano in cinque domini principali che nomina rispettivamente: la conoscenza delle emozioni, la padronanza delle emozioni, l’automotivazione, la percezione delle emozioni altrui, la padronanza delle relazioni umane.

[I] Salovey, Peter et Mayer, John D.; ‘Emotional Intelligence’, in Imagination, Cognition and Personality, 9, 1990, p. 190.  Texte anglais original : « we defined emotional intelligence as the subset of social intelligence that involves the ability to monitor one’s own and others’ feelings and emotions, to discriminate among them and to use this information to guide one’s thinking and action »
[II]  Thorndike, R.L. (1937); “An Evaluation to Attempts to Measure Social Intelligence”, in Psychological Bulletin, 34, p. 281. La citazione originale inglese è questa qui : « the  ability to perceive one’s own and others’ internal states, motives, and behaviors, and to act toward them optimally on the basis of that information.”
[III]   Gardner, Howard, in Daniel Goleman, L’intelligence émotionnelle, Paris, Robert Laffont, p. 66.
[IV]   Salovey, P. & Meyer, J. Op. cit., p. 204.
[V]   Ibid., p. 206

 
 la seconda parte del saggio verrà pubblicata domani
Samuel Same Kolle
Capo Dipartimento di Psicologia all'Università di Douala (Cameroun).Titolare di un HDR (abilitazione alla direzione di ricerche), ottenuto nel 2007 all'Univ. di Parigi XII Creteil Val de Marne; Maestro di Conferenze.

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