È difficile anche solo contarli. Nei locali della chiesa di san Antonio e sparsi nei cortili adiacenti, sono oltre mille, almeno cosi risultavano dalla conta di qualche ora prima. Poi, come accade ormai quasi quotidianamente, circa duecento di loro, prelevati a caso, sono stati caricati sui pullman della polizia e riportati a forza in qualche centro per migranti (Cara o hot spot) del Sud Italia, in alcuni casi gli stessi centri dai quali si erano allontanati pochi giorni prima.
Rimandati indietro, illogicamente, illegalmente e dispendiosamente, per essere sottoposti ancora (in alcuni casi per la terza o quarta volta) al prelievo delle impronte digitali.
E per poi tornare, faticosamente e questa volta senza nessun accompagnamento, superando mille controlli, a Ventimiglia, al confine. Qui troveranno ancora gli instancabili volontari ed attivisti a confortarli per quanto si può: cibo, acqua e se la sorte è generosa vestiti e un paio di scarpe della misura quasi azzeccata.Sono magrissimi, i profughi.
Alti ma tutt'ossa. E pelle, spesso violata dalle torture subite nel Paese di fuga o in Libia. I nostri pantaloni dismessi, quelli che scout, associazioni di volontariato e singoli cittadini raccolgono da ogni dove, addosso a loro sembrano enormi. Moltissimi profughi poi, circa il 25 per cento di loro (ma la percentuale sale a 50 nel caso degli eritrei) sono minori non accompagnati.
Piccoli. Ci sono anche infanti, loro fortunatamente quasi sempre con la famiglia o almeno una parte, quella scampata alla guerra, alla prigionia e al mare. Fino a quando la nostra burocrazia o i rastrellamenti frettolosi della polizia, in alcuni casi, li divide.
Qui, o meglio negli ospedali vicini, può capitare anche di nascere. E qui si muore. Quando il cuore seppure giovane non regge e si spezza. Qui si viene a volte feriti o espulsi da divise affatto gentili. Qui si studiano le cartine geografiche, i sentieri più sicuri per arrivare dall'altra parte, in Francia. Perchè qui non è più aria.
Qui intorno gravitano i passeur che per un centinaio di euro offrono il loro bagagliaio e un biglietto di solo andata per l'ennesimo viaggio e un'ultima speranza. È un laboratorio, Ventimiglia. Di umanità e di politica, nel senso nobile del termine.
Lo ripete anche il vescovo Suetta in un incontro "operativo" coi suoi "colleghi" di Nizza e Monaco, con la sua consueta determinata chiarezza. Il potere in sè non è qualcosa di male ma dovrebbe offrire la possibilità di cambiare le cose, aveva detto Suetta poche sere prima, in un dibattito pubblico a Sanremo.
E cambiare le cose, lo si capisce chiaramente in questo luogo che da una parte rappresenta l'accoglienza volontaria e autogestita, e dall'altra il confine istituzionale, vorrebbe dire cambiare immediatamente alcune leggi e convenzioni.
Ed in primis quelle che impediscono ai profughi di scegliere il Paese in cui chiedere asilo e vivere e che impongono a uomini, donne e bambini in fuga di attraversare frontiere attraverso canali illegali in totale insicurezza.
Caritas Europa, non a caso, ha presentato pochi giorni fa a Bruxelles una petizione a tutti i politici per "accogliere le persone umanamente." Un ragazzo della Nigeria richiedente asilo, mentre scriveva la sua "memoria" personale, alla fine ha aggiunto: "Non posso tornare in Nigeria perché la mia vita è seriamente minacciata dai problemi che mi hanno costretto a lasciare il mio Paese subito dopo la laurea. Inoltre, se ritornassi non metterei a rischio solo la mia vita, ma anche quella della mia famiglia.
Quando penso alle difficoltà che ho attraversato durante la mia vita, mi sento molto triste nel profondo, ma quando io mi ricordo che ora sono in salvo in Italia, questa è una ragione di gioia e capace di farmi sentire bene. Ringrazio tutti gli italiani moltissimo perché sono generosi e spero che Dio vi benedica tutti per aver salvato la mia vita e inoltre prometto di essere un bravo cittadino qui in Italia».
Perchè quando si "accoglie umanamente" si crea riconoscenza.
articolo precedentemente pubblicato da Repubblica - Genova