Succede anche a noi. Ci disperiamo, rovistiamo ovunque: nei fondi delle tasche o dei cassetti, ci accusiamo reciprocamente di distrazione o poca cura, ci arrabattiamo per uffici, apparentemente pazienti in coda ma platealmente in fibrillazione allo sportello a pietire quel pezzo di carta, quel certificato, quell'attestato che abbiamo perduto e che qualche perverso puntiglioso burocrate ha stabilito, magari per legge o con qualche maligna circolare, essere essenziale per farci accedere a un concorso, ridurre una multa, ottenere benefici o semplicemente far valere diritti.
Succede anche a noi: ci angustiamo, perdiamo affannosamente tempo ed energie nella ricerca dell'originale disperso, imprechiamo se questa casalinga caccia al tesoro non si risolve tempestivamente e con successo, raramente esultiamo in un eureka al suo ritrovamento, più spesso alla consegna di un banale duplicato, rassicurati da quel tassello della nostra vita (di carta) che torna al suo posto, a ricomporre quella tappa, seppure apparentemente innegabile, della nostra esistenza.
Che sia un documento di identità, un diploma, un esame del sangue, un certificato di nascita o morte di qualche antenato, una tessera elettorale, un contratto di locazione, un testamento, una dichiarazione dei redditi, una multa pagata o una sentenza. A chi non è capitato?
Imprechiamo, ci agitiamo, ma poi, superato lo sconforto iniziale, recuperiamo le forze e la lucidità per risalire se non alla causa, peraltro irrilevante, della nostra distrazione e dello smarrimento (con buone probabilità un trasloco) alla fonte del documento irrimediabilmente perduto e dunque alla confortante possibilità di richiederne la duplicazione.
Per loro è diverso. Perdono o gli vengono sottratte o negate quasi le stesse carte, spesso per altre ben più gravi ragioni, ma le conseguenze sono decisamente catastrofiche e a volte, almeno apparentemente, irreversibili.
Senza quel pezzo carta non saranno creduti, non gli verrà riconosciuto quel passato di cui gli viene chiesta prova, non verranno accolte le loro legittime richieste di accesso a diritti tanto fondamentali quanto, per noi autoctoni, scontati. Verrà persino negata la loro stessa identità.
A quel punto lo smarrimento non riguarderà più solo la "carta" ma si estenderà al suo ex proprietario, alla sua intera persona che senza quel documento risulterà, in qualche modo, monca.
Il caso più drammatico ed esemplare è l'approdo di genitori in fuga da qualche guerra più o meno dimenticata, sulle nostre coste sempre meno ospitali.
Dato che quel viaggio disperato non è stato evidentemente programmato né gestito da un'agenzia di viaggi ma determinato da una fuga compulsiva e ineludibile, i certificati di nascita se mai posseduti (gli uffici dell'anagrafe, seppure esistenti, in molti dei paesi di provenienza dei profughi, sono stati distrutti da bombe, incendi o devastazioni ambientali) sono andati perduti nel viaggio, o alla prima coatta denudazione nei campi libici, oppure nel mare le cui onde, a volte, restituiscono, seppure a scoppio ritardato, scoloriti brandelli di vita.
Spesso genitori e figli vengo separati alla partenza dalla Libia, prima di salire sulla barca, dalla cattiva sorte o da crudeli trafficanti.
Capita che il neonato finisca in mani amiche che vorrebbero riconsegnarlo, una volta approdati in Italia, ai legittimi genitori. Il pezzo di carta, quello che certifica il legame inestinguibile tra mamma e figlio, può diventare essenziale perché i due, genitore e pargolo, approdati in luoghi e tempi differenti, si possano finalmente ritrovare.
Hanno attraversato e sono stati feriti da ogni immaginabile tipo di dolore (lutto, violenza, abusi, umiliazione, ferocia, lontananza) e con ogni tipo di strumento (macete, bastoni, fucili, coltelli roventi, corpi estranei e ripugnanti) e sono sopravvissuti a tutto.
Ma rischiano di restare sconfitti dalla nostra burocrazia. Che, come Hanna Arendt insegna, nella sua banalità sa essere ferocissima.
articolo precedentemente pubblicato da Repubblica