Vorrei quasi presentarglieli alcuni e alcune dei seicentomila che, il redivivo Silvio vorrebbe riportare indietro, anzi, “ricacciare” al loro paese. Oppure, a quell’altro che si è inventato l’indegna espressione “taxi del mare” riferita a quegli straordinari equipaggi di eroi che salvano vite a largo delle nostre coste.
Lo fanno rischiando, come è già accaduto, di farsi sparare dalla guardia costiera libica (armata e addestrata da noi), vorrei farglieli vedere da vicino quei profughi che spera e promette non approderanno più nei nostri porti e nelle nostre spiagge.
Mikael potrebbe mostrargli le cicatrici da ustione provocate dalla plastica fusa sulla schiena e le altre bruciature da sigaretta, quasi invisibili rispetto ai tagli di lama che segnano le sue braccia e la sua guancia destra.
Tutti ricordi, ben impressi nella sua pelle, delle atrocità subite nei campi in Libia, dove, appunto, il candidato premier in questione vorrebbe rispedirlo o condannarlo a restare.
Favour potrebbe invece raccontargli di come nessuno ascoltasse le sue urla quando l’hanno stuprata, nonostante fosse infibulata, fino a provocarle lesioni permanenti, mentre si trovava prigioniera in Libia in attesa di riscattarsi la vita e la fuga verso l’Italia.
Ma entrambi hanno troppo dolore e troppo pudore per permettersi di raccontare ad uno sconosciuto il male di cui sono stati vittime.
Oppure si potrebbe invitare questi politici ad andare a trovare Caterina in ospedale, ad ammirare la sua struggente bellezza avvolta nel foulard colorato per nascondere gli effetti implacabili del tumore che le mangia la testa a poco a poco.
Si potrebbe spiegare loro che a nessuna legge importa se Caterina è entrata regolarmente in Italia dove vive con tutta la sua famiglia e dove tenta di curarsi per lenire il dolore e provare a vincere una battaglia iniqua.
Caterina è malata e irregolare perché il suo visto per turismo è scaduto, rientra dunque in quei seicentomila sans papier che, secondo questi farneticanti poilitici, dovrebbero essere “cacciati” a casa loro.
Per finire si potrebbe organizzare un incontro con il piccolo Simohamed, nato e cresciuto in Italia da una mamma suo malgrado irregolare e quindi, grazie alla codardia del nostro Parlamento che non ha approvato la proposta di legge sulla modifica dei requisiti per ottenere la cittadinanza, destinato anch’esso, salvo acrobazie burocratico - giuridiche a restare o divenire irregolare al compimento della maggiore età.
Ma a pensarci bene sarebbe tutto inutile.
E queste persone hanno già sofferto abbastanza, non è il caso di infliggere loro quest’ulteriore pena: l’incontro con dei politici che in cambio di qualche voto e del potere che questi voti potrebbero garantire, sono disposti a rinnegare i dogmi sanciti dalla nostra Costituzione alla quale, pure, hanno giurato fedeltà.
Mikael, Fatou, Favour e Simohamed potrebbero, dopo un simile svilente incontro, decidere spontanemente di andarsene e lasciarci soli a combattere questi rigurgiti razi-fascisti. E verrebbe da implorarli, come era scritto su un muro dei vicoli genovesi: immigrati per favore non lasciateci soli con gli italiani.
articolo precedentemente pubblicato da Repubblica