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Abbiamo il vizio con amici e amiche insegnanti, educatori o scrittori, di andare nelle scuole e parlare con gli alunni, meglio se ancora bimbi, dei temi che gli adulti di solito non amano affrontare: guerre, violazioni dei diritti, migrazioni e paure. I bambini sono la platea più impegnativa ed attenta che può capitare di avere.

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Da ogni incontro, chi, come me, non è abituato a questi confronti, ne esce stremato ma decisamente più ottimista.

Con il mio complice Lorenzo Terranera, talentuoso artista e illustratore eclettico ci siamo trovati più volte a chiacchierare con bambini di varie età e a raccontare loro dell'Isola dove ci siamo conosciuti e dove approdano pargoli in fuga da guerre e cattiva sorte.

In punta di piedi, cercando di non traumatizzare la nostra sensibile platea, abbiamo raccontato loro del viaggio interminabile che questi ragazzini compiono per arrivare fino a noi, del loro bagaglio emotivo di paure e aspettative e di quello più tangibile di piccoli averi repentinamente portati via al momento della fuga e faticosamente conservati durante il viaggio.

Abbiamo provato insieme ad immaginare che cosa metteremmo noi in una nostra ipotetica valigia qualora fossimo costretti ad andarcene via in fretta e furia da casa nostra sapendo che dovremmo girovagare per un bel pò prima di trovare un altro luogo che si possa chiamare casa.

Ma da che cosa dovremmo scappare? La prima ragionevole obiezione.

Da qualcosa di brutto (e mi mordo la lingua per non scendere in particolari e non raccontargli delle 110 studentesse rapite dai terroristi di Boko Haram in Nigeria e delle decine di bimbi morti sotto le bombe negli ultimi giorni in Siria) un'alluvione, un terremoto o una guerra. Queste sono brutture delle quali conoscono almeno il significato. Il resto lo fa l'immaginazione mescolata all'empatia.

Lorenzo che crede più nei gesti e meno nelle parole suggerisce di disegnare una valigia grande e vuota e poi gli oggetti che vorrebbero riporvi dentro prima di scappare.

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Panini in gran quantità: il viaggio rischia di essere lungo e la fame è una brutta bestia. Acqua meglio se in una borraccia. Una bussola. Una pila perché il buio fa paura. Un salvagente per non farsi inghiottire dal mare, il gatto (non lo si può mica lasciare da solo) e quindi anche i fratelli e mamma e papà, ma nello zaino non ci stanno. Smarrimento.

Mutande, pantaloni e scarpe (le bimbe tentano di portarsene due paia).

I giochi: bambole, un orsacchiotto, macchinine. Una spada che fa elegante e incute paura, un fischietto che dà coraggio e attira l'attenzione, medicine e cerotti.

Una bimba suggerisce anche una campana tibetana: sua mamma dice che serve a rilassarsi e questo viaggio si preanuncia piuttosto stressante.

Le fotografie di chi non possiamo portare con noi.

La borsa è già piena e non c'è più tempo.

Ma come faccio a lasciare gli altri? i nonni, i compagni di scuola?

Serve una borsa più grande. Oppure una mongolfiera. Un bimbo la disegna subito coloratissima e enorme.

Un altro esagera e disegna un aeroplano.

Facciamo timidamente notare che né l'una né l'altro entreranno in una valigia.

E allora sbuca fuori il più piccoletto e timido che ancora non aveva aperto bocca ed esclama gioioso come uno scienziato che ha appena inventato la macchina del tempo: Hulk! Mi porto Hulk! Cosi mi difende e mi aiuta a portare tutto quello che mi serve. E lo disegna con precisione disarmante.

Ora che abbiamo portato tutti in salvo: bambole, nonna, il gatto e pure la campana, parliamo delle paure. Di quelle che abbiamo intuito in chi scappa senza aver Hulk al suo fianco e delle nostre.

Scopriamo cosi che le paure, come forse tutte le cose che ci abitano, hanno un colore. Nera è la paura di morire, bianca quando mancano le idee. Gialla quella di sbagliare, verde quella di inciampare, fucsia quella di perdere il controllo, rossa quella di fare arrabbiare gli altri e azzurra, la più insidiosa, è la paura di non essere accettati.

E capiamo che noi adulti abbiamo le stesse loro paure ma abbiamo smesso di riconoscerle e colorarle lasciandole in balia di manipolatori che le hanno trasformate in fobie e razzismi. E del razzismo evidentemente non si ha mai paura abbastanza.



articolo precedentemente pubblicato da Repubblica


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