Mia figlia Emma era una bambina felice e socievole. Sempre circondata da amici, amava la recitazione, era molto sportiva e regolarmente giocava a scacchi. Ma dall’età di tredici anni qualcosa è cambiato. È diventata lunatica e irritabile, e così volubile che avrebbe potuto perdere la testa per un nonnulla.
Nadine P., attiva in un programma di intervento per la prevenzione del disagio mentale in adolescenza, racconta la sua esperienza con la figlia Emma.
Emma, dice Nadine, in precedenza si rapportava bene con il fratello, di due anni più grande, ma a un certo punto, quando aveva tredici anni, ha cominciato a infuriarsi copn lui per motivi che nessuno di noi riusciva a comprendere; poteva essere una cosa da niente come un suo "sguardo sbagliato" attraverso il tavolo, a pranzo, oppure un oggetto fuori posto in cameretta o qualcosa di suo che pensava il fratello avesse toccato. Non riuscirei a contare il numero di volte in cui si è scatenata come una furia mentre eravamo a tavola. In quel periodo ha iniziato a forzare tutti i confini, le regole e anche i limiti che ci eravamo dati in famiglia. Era ossessionata da Facebook e sprecava tanto e tanto tempo a guardare la TV.
Nessuna delle sanzioni che avevamo applicato prima - come la sospensione della paghetta - sembrava funzionare più con lei, per metterle un freno. Non voleva più passare del tempo con noi. In un’occasione, in vacanza, ricordo bene, si è categoricamente rifiutata di venire con noi in un paesino vicino alla cittadina balneare dove stavamo, in modo che potessimo cenare tutti insieme. Ripeto: aveva tredici anni o poco di più.
la questione dei problemi di salute mentale, della sofferenza psichica,
non era stata mai discussa o affrontata nella nostra famiglia
Fin qui, tutto normale per un adolescente, si potrebbe pensare. Certo, in un primo momento io e mio marito abbiamo attribuito tutti questi suoi atteggiamenti e cambiamenti di umore, al tipico modo di fare che caratterizza i comportamenti adolescenziali. Ma qui sta il problema: come, in quanto genitori, si può stabilire una differenza tra la solita arrabbiatura e introversione dell'adolescenza, che la maggior parte di noi ha vissuto a quell'età e possiamo aspettarci anche dai nostri ragazzi, a un certo punto della loro crescita - e qualcosa di ben più serio? Qualcosa di più pericoloso e patologico?
La questione dei problemi di salute mentale, della sofferenza psichica, non era stata mai discussa o affrontata nella nostra famiglia. Si trattava di qualcosa che era accaduto ad altre persone, un problema lontano, come tanti altri, che non poteva riguardare a noi. In questo, almeno, ci siamo comportati come tutti i genitori di solito si comportano. Una recente ricerca ha rilevato che la maggior parte dei genitori non ha mai parlato con i propri figli di questi argomenti. Infatti, genitori e figli attendono reciprocamente che sia l’altro a sollevare la questione, quando la questione esiste.
Nel nostro caso è stata Emma a parlare per prima. È accaduto un giorno di cinque anni fa, quando aveva 14 anni. Mi ha detto che da tanto tempo era molto infelice. Poi, di punto in bianco, si è tirata su la manica per rivelarmi che aveva anche iniziato a compiere atti di autolesionismo. Sul braccio c'erano tagli e cicatrici. Questo mi colpì come un pugno allo stomaco: fino a quel momento, avevo creduto che non ci fosse alcun problema serio nella sua vita.
Ci siamo rivolti a uno psichiatra, il quale ci ha detto che Emma era affetta da una lieve depressione. Le ha consigliato alcune strategie per aiutarla a fermare il suo autolesionismo e le ha prescritto degli antidepressivi. Ma questi farmaci non l’hanno aiutata per niente, anzi: le hanno fatto un danno, secondo me.
Stava crescendo ancora peggio di quanto non accadesse prima, diventando sempre più chiusa e refrattaria alle relazioni, rifiutandosi di andare a scuola, rimanendo sempre di più isolata nella sua stanza, incollata al televisore. Ero fuori di me dalla preoccupazione.
Alla fine Emma ci ha confidato che stava avendo pensieri di suicidio. Ci siamo mossi subito, abbiamo fatto richiesta e lei è stata ricoverata in una struttura per la cura di crisi adolescenziali, dove ha trascorso cinque mesi. Sembrava che il nostro mondo fosse caduto a pezzi. Avremmo voluto farle visita di frequente, ma lei era tanto chiusa che a volte ci sembrava che la Emma che avevamo conosciuto fosse scomparsa del tutto.
È fuggita più volte dalla struttura. In un'occasione è sparita per 12 ore ed è stata registrata dalla polizia come persona scomparsa. Sono state le peggiori 12 ore che abbiamo mai vissuto. Emma è poi ricomparsa di sua spontanea di volontà – a quanto sembra, era rimasta tutto quel tempo in giro sulla metropolitana.
Aveva parlato con alcuni suoi amici a scuola di come si sentiva. Alcuni di loro le avevano detto che era solo in cerca di attenzione o che stava fingendo, cosa che per lei era risultata dolorosa, molto dolorosa, ma le sue compagne erano solo delle quattordicenni, allora, e non capivano, né avrebbero saputo come sostenerla. La discussione sui problemi di salute mentale non è solo evitata in famiglia, a quanto pare, ma anche scuola, da parte degli adulti che si occupano dei ragazzi.
Alcuni degli altri genitori erano comprensivi, ma molti hanno iniziato a evitarmi. Alcuni erano troppo imbarazzati per parlarne. Se Emma si fosse rotta una gamba o se le fosse stato diagnosticato un cancro, quelle stesse persone mi avrebbero telefonato o avrebbero inviato SMS, ma per quanto riguarda la salute mentale esiste un tabù. Ci siamo tutti sentiti stigmatizzati dal fatto che Emma fosse in cura per questo.
Emma è passata da un totale coinvolgimento nella vita scolastica
a una situazione in cui più nessuno si interessava a lei
Inizialmente la scuola ci supportava, inviando compiti e lezioni presso la struttura dove nostra figlia era ricoverata, in modo che non restasse indietro rispetto ai compagni. Ma non si sono mai messi in contatto con noi per chiedere come stava. Emma è passata da un totale coinvolgimento nella vita scolastica – studiava e andava bene, nelle recite scolastiche assumeva il ruolo della protagonista – a una situazione in cui più nessuno si interessava a lei.
Alla unità di crisi della clinica volevano vedere se fossero difficoltà nel suo percorso educativo la causa dei suoi problemi. Forse Emma aveva avuto un’esperienza traumatica nella sua infanzia? C’erano stati problemi di eccessivo attaccamento? Il mio rapporto con lei come bambina non sarebbe potuto essere stato più amorevole, così nessuna di queste domande portò a qualcosa di sensato. Eppure, nonostante questo, iniziavo a sentire, tuttavia che, forse, ero io quella da biasimare per quanto le stava capitando. Dovevo essere stata una madre terribile, dissi singhiozzando a mio marito, Robert, una notte.
Quando Emma è tornata a casa, la sua scuola ci ha fatto capire che non voleva che lei tornasse nell'istituto. Non lo hanno detto esplicitamente, naturalmente; hanno solo insinuato che pensavano sarebbe stato molto difficile per lei tornare in quella scuola. Così Emma ha iniziato a frequentare giornalmente la scuola presente presso l’unità di crisi per adolescenti. Le cose sembravano mettersi bene. Ma pochi mesi dopo è ripresa la sua tendenza suicidaria. Questa volta è stata ricoverata in un ospedale psichiatrico a circa due ore d'auto da casa nostra, dove le è stato diagnosticato un disturbo bipolare.
Alla fine, le era stata fatta una diagnosi corretta e il suo comportamento ha iniziato a avere una giustificazione, un senso. Essere bipolare colpisce il vostro umore, che può oscillare selvaggiamente dalla depressione più forte alla mania ossessiva.
Si crede che questo dipenda da uno squilibrio chimico nel cervello, anche se ogni singolo fatto o comportamento può essere scatenato da eventi stressanti. La diagnosi ci ha scioccato, ma in un certo senso ci ha dato anche sollievo. Una volta che si conosce qual è il problema, si può iniziare ad affrontarlo.
in un certo senso sono stata fortunata:
il mio rapporto con lei ora è più forte che mai
Emma è rimasta in ospedale per un periodo molto più a lungo, questa volta - circa 20 mesi. Noi eravamo sempre su e giù per l'autostrada, tutti i fine settimana e spesso nel corso della settimana. Era come se le nostre vite fossero in attesa. Il personale medico e infermieristico ha provato diversi farmaci fino a quando non ne hanno trovato uno che ha mantenuto i suoi stati d'animo stabili. Ha avuto anche un trattamento psicologico, con l’obiettivo di aiutarla a comprendere e gestire la sua condizione.
Poco più di due anni fa è stata dimessa, e da allora tutto è andato bene. Ora Emma ha 19 anni e sta studiando in una scuola vicino a casa nostra, presto farà domanda per l’università. Gioca a tennis, ama cucinare e gode della compagnia dei suoi amici. È stata inoltre coinvolta in “Time to change”, una campagna sostenuta dal governo per aumentare la consapevolezza dei problemi di salute mentale tra gli adolescenti. Emma parla apertamente dei suoi problemi con i giovani e con gli operatori sanitari in tutto il Paese.
In un certo senso sono stata fortunata: il mio rapporto con lei ora è più forte che mai. Spero che raccontare la nostra storia possa aiutare altri genitori a diventare consapevoli dei potenziali problemi di salute mentale dei loro figli durante l'adolescenza. Il mio consiglio è quello di fare della salute mentale un argomento di conversazione quotidiana con i ragazzi. Di parlarne apertamente, senza timori o paura.
Quando Emma era in ospedale, ho sognato che noi quattro potessimo cenare tutti insieme attorno a un tavolo, come facevamo un tempo. Ora lei è libera dalla malattia, possiamo sederci di nuovo tutti insieme. Quel sogno si è realizzato, sento di nuovo di avere attorno a me la mia famiglia.