“Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole mentre il mondo sta girando senza fretta”, recita una bellissima canzone di De Gregori, antica ma immortale.
Mentre la ascoltava, Michele pensava all’Alice che aveva prima conosciuto e poi incontrato due giorni prima, a casa sua con la sua mamma; otto anni, occhioni grandi e vivaci, un po’ paffutella ma non tanto da rischiare la burla degli amici, piccolina come del resto i suoi genitori, con lo sguardo a volte fuggente e d’improvviso penetrante.
Alice lo aveva lasciato con una sensazione mista tra tenerezza e preoccupazione, gli sembrava di sentirla ancora con quella vocina da bambina più piccola che di tanto in tanto le usciva, quasi ad avvertire il suo interlocutore che era di fronte a uno di quei pacchi con scritto “fragile”.
Chissà invece chi nella sua testolina aveva incontrato Alice; forse la mamma le aveva spiegato, forse la sigla CTU era per lei una strana parola in codice, quei codici che gli adulti usano tra loro e che i bambini vivono con apprensione. Soprattutto quei bambini, come lei, che non sanno mai di preciso cosa succede quando stanno con i grandi.
Alice ha tante cose della sua vita che può almeno un pochino prevedere; sa cosa può succedere a scuola, con le sue maestre, le capita raramente di stupirsi dei comportamenti dei suoi compagni, conosce le reazioni dei suoi gatti e dei suoi cani, conigli e tartarughe. Anzi, i suoi animali le sono così familiari che nel disegno della famiglia, quel disegno che uno psicologo le chiede di fare dicendole semplicemente “mi disegni la tua famiglia?”, non tratteggia papà, mamma, zii e nonni; no. Quel disegno aveva fatto sentire in Michele la voglia di urlare “dove siete?”, perché popolato dai suoi animali, ma gli adulti, i grandi, non sono stati invitati da Alice a stare dentro quel foglio. Alice gli aveva consegnato un foglio con lei e i suoi animali, quasi fosse Mogwli trovato nella giungla.
Michele si chiedeva perché; i bambini hanno sempre dei perché che tante volte non dicono o non sanno dire. Alice aveva di certo un perché. Quel disegno Alice lo fa, e lo guarda; e sa che Michele lo guarda. È una bambina che con quel disegno parla a Michele, ma anche a sé stessa; ha bisogno di guardare il foglio con il disegno della sua famiglia senza stare male e senza dare informazioni a quel signore che le hanno detto che parlerà con il Giudice. Fa sparire gli adulti dalla scena, anche perché i grandi non stanno fermi, non hanno movimenti prevedibili, non si sa mai cosa provano e cosa fanno, non possono essere fissati su un foglio; una volta spariti, lei non sta bene ma sta meno male e sa, nessuno sa come, che non ha tifato né per mamma né per papà. Il suo desiderio più grande, più nascosto, meno visibile … non scegliere un genitore tra due, ma sentirsi scelta da loro.
Michele qualcosa cominciava ad immaginare del mondo di questa bambina. Un giudice gli aveva chiesto di giurare; lui, psicologo, aveva promesso che avrebbe fatto sapere al giudice la verità.
Era vero che il papà era un uomo violento? Che aveva picchiato la mamma davanti alla bambina? Che picchiava Alice? I grandi, mamma e papà, lottavano su questa verità; eppure, questo per Michele non era il punto. Non quello su cui lui poteva lavorare. Sperava di essere un buon psicologo, ma non poteva sapere quello che era successo; e poi il Giudice non gli chiedeva di scoprire la verità dei fatti, ma la verità di Alice. Alice era la depositaria, la chiave per sapere davvero che genitori aveva e se avrebbero saputo crescere la loro bambina.
[continua]
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Autore
Michele Masotto
Di Verona. Psicologo e psicoterapeuta, mediatore familiare e consulente tecnico
Elaborato finale del Master
Il trattamento multiprofessionale di bambini e adolescenti vittime di violenza
I Edizione Gennaio 2017- Dicembre 2018
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