In Germania, i giovani autori di reato trovano sempre di più se stessi facendo un lavoro sociale di riparazione, piuttosto che passando tempo in prigione. Un giudice di spicco avverte che le pene alternative non sono un deterrente efficace - ma le statistiche dipingono un quadro diverso. La sua opinione a confronto con quella diametralmente opposta di un criminologo.
Non è facile arrivare al Günter Jauch TV talk show. Coloro che vengono invitati a sedersi in una di quelle poltrone arancioni del programma domenicale di prima serata, possono essere sicuri che milioni di tedeschi li stanno guardando.
Questa è stata la sede in cui Andreas Müller - "il più duro giudice minorile della Germania", come viene soprannominato dalla stampa scandalistica - ha presentato il suo ultimo libro. Intitolato Una società troppo morbida! Il libro chiede di porre fine alla "clemenza cieca" che Müller sostiene venga attualmente applicata nel diritto penale minorile. Il giudice afferma che per decenni questa clemenza ha prodotto solo nuovi reati e nuove vittime.
"A volte occorre il carcere"
"Io davvero non voglio che i giovani vadano a tutti i costi in prigione. Ma a volte è necessario" ha detto Müller, aggiungendo che lo stato non deve essere percepito come una tigre di carta quando si occupa di adolescenti violenti.
Il giudice Andreas Müller sostiene che "a volte dobbiamo essere duri".
Quando si tratta della sua aula, Müller insiste nel rispettare e far rispettare alcune regole. Indossa sempre una toga, e insiste sul fatto che tutti debbano alzarsi quando lui entra nella stanza, dalla quale gli anfibi militari solitamente indossati da molti neonazisti in Germania, sono banditi.
"Il messaggio per i trasgressori della legge deve essere chiaro: 'Se si oltrepassa una certa linea, si sta andando verso il basso, una direzione che porta al carcere".
"Se facciamo in modo che questo messaggio si diffonda" afferma Müller, "allora i giovani sapranno che qui non si scherza".
Ma la reclusione frena davvero le persone dal commettere reati? Christian Pfeiffer dell'Istituto di Ricerca Criminologica della Bassa Sassonia sostiene di no.
"Le prigioni sono state tradizionalmente istituzioni che hanno insegnato la violenza alle persone che hanno accolto , piuttosto che istituzioni efficaci nella prevenzione dei crimini" ha ammonito Pfeiffer in un'intervista.
Lui e il suo team hanno condotto uno studio su 6.000 giovani detenuti, e hanno scoperto che uno su tre era stato vittima di violenza nelle quattro settimane precedenti. "Alcuni di loro ricevono benefici dalle terapie che ricevono in carcere, ma la maggior parte vengono influenzati in modo negativo" ha sottolineato il criminologo.
Christian Pfeiffer mette l’accento sui dati che provengono dall’Ufficio Federale della Polizia Criminale Tedesca (BKA). "È un dato di fatto" dice, "che di tutti i Paesi europei, la Germania sta vedendo la più drastica diminuzione della violenza giovanile”.
Le carceri, a suo giudizio, per i giovani autori di reato rappresentano solo una scuola di violenza.
"I crimini più brutali" afferma Pfeiffer, "come gli omicidi tra gli adolescenti, sono scesi del 46 per cento dopo la riunificazione tedesca nel 1990. Nel corso degli ultimi 15 anni, il numero di casi, nelle scuole tedesche, in cui qualcuno abbia avuto bisogno di cure mediche dopo un’aggressione, è sceso del 56 per cento".
Sembra che gli adolescenti in Germania non sia mai stati, di fatto, tanto pacifici quanto oggi.
Le statistiche rappresentano davvero la realtà dei fatti?
Nel suo libro Andreas Müller scrive ironicamente che i trend statistici come quelli sopra esposti sono solo un pio desiderio. La violenza è ancora onnipresente, dice Müller, il quale ritiene che il calo della criminalità giovanile sia il risultato dell’azione di una nuova generazione di giudici, suoi colleghi, più severi di quelli precedenti.
"Negli ultimi due decenni, l'idea prevalente tra i giudici del tribunale dei minori era di fare sentenze il più clementi possibile. Ma questo atteggiamento poco a poco è cambiato. Dobbiamo essere duri a volte. Ed è in questo modo che stiamo svuotando i centri di detenzione" ribadisce Müller.
La valutazione di Christian Pfeiffer sulla situazione della criminalità minorile è completamente diversa. Egli ritiene che le sanzioni più lievi e il lavoro pedagogico siano i fattori che hanno ridotto il numero dei detenuti. Dal 2000, il numero di condanne alla pena detentiva in Germania è diminuito di un quinto. Pfeiffer sostiene che questa evoluzione è in parte il risultato di una nuova normativa, nonché della situazione economica positiva della Germania.
"Nel 2000 la Germania ha negato in ogni caso il diritto dei genitori di picchiare i loro figli" dice, aggiungendo che i bambini che hanno subito violenza tendono ad essere più inclini alla violenza essi stessi. Pfeiffer elenca altre tendenze fondamentali: "Ci sono anche più bassi tassi di alcolismo tra gli adolescenti, la disoccupazione giovanile è in calo, e la violenza è sempre più vista dai giovani come inaccettabile."
Il libro di Müller, tuttavia, ha riacceso il dibattito sul trattamento dei giovani autori di reato.
Nessun punto di contatto
Al momento, i giudici dei tribunali minorili possono essere abbastanza “creativi” nelle loro sentenze di condanna. Possono, per esempio, ordinare a un minore di essere a casa dalle 20, di stare lontano dal pub locale; possono vietare ai ragazzi di andare a vedere concerti rock. Ma quando si tratta di forme più tradizionali di punizione, hanno le mani legate. Possono ordinare detenzione di minori prima del processo per un massimo di quattro settimane, o una pena detentiva carceraria di almeno sei mesi. Non esiste alcuna opzione intermedia. Il giudice Müller vorrebbe avere più strumenti a sua disposizione – come, ad esempio, una pena detentiva di due mesi.
Per Christian Pfeiffer, brevi periodi di detenzione, e in particolare la detenzione di minori, sono semplicemente ridondanti e inutili. "Mettere qualcuno dietro le sbarre per un fine settimana, o per tre settimane, è come infliggere una forma di punizione corporale" dice Pfeiffer, il quale ritiene che pene detentive più lunghe siano sì necessarie, ma solo per i colpevoli di reati particolarmente brutali. "In casi come questi, di crimini gravi, possiamo sperare che il processo di crescita, o la terapia, o programmi di formazione in carcere alla fine portino a una rieducazione dei colpevoli."
Giudice e criminologo sono stati spesso intervistati tranquillamente seduti uno accanto all'altro, in tavole rotonde o in TV. Raramente le loro argomentazioni hanno però trovato punti di contatto o elementi da condividere nelle parole dell'altro.
"Il professor Pfeiffer si occupa di teoria", dice Müller, "ma noi giovani giudici della corte siamo in aula ogni giorno e abbiamo a che fare con i fatti".
Pfeiffer replica all’avversario affermando: "Quando Müller legge le statistiche, non vede ciò che la realtà, oggi, è. Lui modella la realtà per soddisfare le proprie ipotesi, per giustificare le sue sentenze di condanna. E le sue ipotesi sono, molto semplicemente, una sciocchezza".
articolo pubblicato da DW Deutsche Welle, novembre 2013