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Molti adolescenti e giovani adulti che vivono condizioni di marginalità, di disagio, di fragilità interiore, spesso stanno subendo le conseguenze di esperienze traumatiche vissute già a partire dall’infanzia. Se i ricordi di un trauma si intromettono nella vita quotidiana, lasciano nervosi e smorzano le emozioni e i pensieri costruttivi, è “naturale” che li si vorrebbe evitare.

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Tuttavia, la ricerca psicologica suggerisce che le persone che fanno molto affidamento sull'evitamento come un modo per affrontare il disagio sono a più alto rischio di un aumento dei sintomi del Disturbo da stress post-traumatico (Ptsd) nel tempo.

Gli esperti spiegano che una diagnosi da Ptsd si fonda sulla presenza di quattro categorie di sintomi: intrusioni, ipereccitazione, cambiamenti negativi di umore e pensiero ed evitamento. L'evitamento sembra essere la più paradossale delle quattro categorie.

Condizionamento della paura e fattori scatenanti

Ogni persona è dotata di un “sistema di allarme” che consente di reagire rapidamente se il suo cervello percepisce una minaccia nell'ambiente circostante. Quando questo sistema di allarme scatta, il sistema nervoso simpatico diventa predominante, innescando quella che spesso viene definita la risposta "combatti, fuggi o bloccati". La frequenza cardiaca può aumentare e la respirazione può diventare più rapida e superficiale mentre il cuore pompa ossigeno agli arti.

Questo prepara a combattere un potenziale aggressore, a fuggire in sicurezza o a predisporci alla protezione da un colpo inevitabile.

Nei giovani e poi in generale negli adulti che soffrono di Ptsd, il condizionamento della paura può causare l'attivazione del sistema nervoso simpatico in situazioni che in realtà non sono pericolose. Qualcosa di relativamente neutro diventa un "innesco" per una risposta allo stress perché viene mentalmente associato al ricordo di un evento traumatico passato.

Letteralmente qualsiasi cosa può diventare un “innesco”: particolari tipi di luoghi, situazioni, persone, suoni, odori e oggetti. Il problema è che ognuno di questi inneschi potrebbe non essere effettivamente pericoloso.

Mentre si guarda un programma televisivo che raffigura un incidente d'auto nella tranquillità di casa, non si corre realmente il rischio di essere investiti da un'altra auto. Allo stesso modo, urtare qualcuno in una stazione ferroviaria affollata non comporta essere in un pericolo imminente di essere aggrediti fisicamente, così come i botti dei fuochi d’artificio non corrispondono al rischio di una pistola carica; e così via.

La mente e il corpo, tuttavia, potrebbero rispondere come se queste minacce fossero reali e imminenti.

Evitamento, fuga e sicurezza

È comprensibile che sia comune per chi soffre di Ptsd cercare di evitare o sfuggire ai fattori scatenanti. I "comportamenti di evitamento" si riferiscono a strategie per evitare del tutto lo stress traumatico.

Ad esempio, qualcuno potrebbe evitare di viaggiare sul sedile del passeggero di un'auto perché non vuole sentirsi fuori controllo. Altri potrebbero evitare i supermercati nelle ore di punta a causa della possibilità di una folla numerosa e imprevedibile.

I "comportamenti di fuga", spiegano gli psicologi, sono azioni volte a porre fine a qualsiasi disagio che già si sta manifestando. Ad esempio, cambiare posto sull’auto o abbandonare un carrello della spesa pieno perché il supermercato è diventato affollato.

I "comportamenti per la sicurezza" si riferiscono a qualsiasi comportamento che protegge da un'emozione angosciante e traumatica (spesso la paura). In molte situazioni, questi comportamenti eccedono di molto ciò che potrebbe effettivamente mantenere al sicuro. Invece di controllare le serrature una volta prima di andare a letto, si può arrivare a farlo cinque o sei volte. E così tanti altri comportamenti ansiosi che nascondono la stessa paura.

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Perché l'evitamento è un problema?

Tali reazioni e comportamenti sono un problema anzitutto per ostacolano la vita quotidiana, quello che si vorrebbe fare. È difficile sentirsi veramente liberi quando si deve pianificare la propria vita per evitare potenziali fattori scatenanti.

Il secondo è che questi comportamenti rafforzano mentalmente l'idea che i cosiddetti “trigger” siano in realtà pericolosi. Ogni volta che un giovane si impegna in un comportamento di evitamento, fuga o sicurezza, si libera solo temporaneamente dall'ansia. Per un momento si sente un po' meglio ma il suo senso di disagio potrebbe tornare e aumentare nel corso dell'ora successiva fino a quando non sentirà di nuovo il bisogno di ripetere quell’azione che lo fa sentire al sicuro.

Nel tempo, cresce in lui la sensazione che l'ansia non se ne andrà mai a meno che non la ripeta di continuo. Finché continuerà a agire così, le cose ovviamente non cambieranno, non riuscirà mai a uscire dal circolo vizioso della paura.

Per fare un’analogia, dicono gli esperti, si può pensare a cercare di tenere sollevato un peso anche non eccessivo. Usando tutta la propria forza per un certo periodo si riuscirà anche a farlo. Ma non per sempre.

L’evitamento dei ricordi traumatici funziona allo stesso modo. A volte è possibile evitare con successo i ricordi a breve termine, ci si può distrarre con il lavoro, con una relazione coinvolgente, con l'uso di sostanze, bevendo, o con un programma pieno zeppo di attività extracurriculari. Ma la verità è che l'evitamento non funziona mai completamente a lungo termine.

Alla fine, un ricordo del trauma verrà inevitabilmente a galla. Forse avverrà di notte, quando ci si rilassa e non c’è più nulla che possa distrarre. Non è possibile, poi, spiega la psicologia, evitare indefinitamente i fattori scatenanti esterni. Per quanto si possa restare vigili, a un certo punto si incontrerà un fattore scatenante del trauma. L'evitamento può essere temporaneamente utile, ma non aiuterà nel recupero a lungo termine dal Ptsd. Prima o poi, per tornare all’immagine di prima, il peso cadrà a terra.

La possibile guarigione

Dal Ptsd si può guarire, sostengono i terapeuti, senza affidarsi all'evitamento come strategia di coping principale. Esistono strategie come l'esposizione prolungata, che aiutano ad affrontare gradualmente i ricordi e gli stimoli traumatici per ripristinare il proprio senso di autoefficacia.

La terapia di elaborazione cognitiva, poi, insegna tecniche che aiutano a modificare pensieri e convinzioni sconvolgenti legati al trauma.

La desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari aiuta a elaborare ricordi, pensieri ed emozioni correlati al trauma.

Tutte e tre queste metodologie hanno una solida base di prove e possono essere scelte e applicate con un terapeuta.  Hanno adottino approcci diversi ma ognuna guida, sempre con l’immagine precedente, a lasciare il peso per terra. Mentre se ne sta lì, una persona, certo meglio se inizia a farlo da giovane, si trova in grado di elaborarla e gli fa perdere il suo potere condizionante.

Il ricordo del trauma potrebbe ancora esistere, ma perde il potere di intromettersi e controllare la vita quotidiana. Un giovane a questo punto potrà crescere, andare avanti e vivere in libertà la sua esistenza adulta.


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