Gli odiatori, gli “haters”, sembrano essere dappertutto. Come insegna la psicologia sociale, gli odiatori utilizzano sul web un linguaggio violento per esprimere acredine e insulti ogni volta che non sono d’accordo con qualcosa o qualcuno. Aggrediscono politici, artisti, scrittori, professionisti, star dello sport e dello spettacolo per delegittimarli e insinuare dubbi sulle cause della loro notorietà, come se non ne tollerassero il successo. L’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna contribuisce a illuminare un fenomeno pressoché ubiquitario e di grande attualità, che a dispetto del suo essere recente è riconducibile a meccanismi psicologici noti da tempo.
I cosiddetti “leoni da tastiera” a causa della mancanza di un contatto concreto, visivo, con l’oggetto da colpire si sentono meno responsabili delle proprie azioni e delle conseguenze psicologiche, anche dolorose, che possono procurare. Il meccanismo psicologico di deresponsabilizzazione è simile a quello presente nei casi di cyberbullismo. Dal punto di vista psicologico, l’azione di prepotenza individua un oggetto o una persona come capro espiatorio per le proprie frustrazioni, ed è finalizzata ad aumentare la stima di sé e a farsi percepire forte, mettendosi in mostra con insulti e commenti sprezzanti. L’anonimato reso possibile da internet può permettere all’odiatore di non essere riconoscibile e di agire indisturbato senza temere né denunce né critiche nel proprio contesto quotidiano.
A questo proposito è interessante il documentario realizzato lo scorso anno dal regista svedese Kyrre Lien, “The Internet Warriors”. Lien prova a interagire con gli odiatori fuori dal contesto in cui esprimono la loro violenza: li va a cercare nella vita di tutti i giorni, fuori dal web, per verificare se di persona sono capaci dello stesso odio e della stessa intolleranza manifestati sul web. Un dato che è emerso è che molte delle persone individuate da Lien – spesso di basso livello culturale – si sono rifiutate di rilasciare interviste dal vivo di fronte a una telecamera, confermando l’ipotesi che l’anonimato giochi un ruolo cruciale nel fenomeno.
Cercando di individuare le caratteristiche psicologiche e le motivazioni degli odiatori, la causa prioritaria del loro agire pare essere la paura, sia consapevole che inconsapevole. Ciò che viene percepito come diverso può generare paura e di conseguenza essere odiato e attaccato. Pare che queste persone vogliano distruggere, anche se solo virtualmente, tutto ciò che avvertono come un possibile pericolo. Secondo Vox, l’osservatorio italiano dei diritti, i principali bersagli dell’odio sono le donne, seguite da omosessuali, migranti, diversamente abili ed ebrei (http://www.voxdiritti.it/ecco-le-mappe-di-vox-contro-lintolleranza/). L’analisi di questi dati conferma che quando mutamenti e trasformazioni sociali mettono in crisi le tradizionali certezze binarie maschio/femmina, forte/debole, autonomo/dipendente e così via, l’odio può diventare una modalità di fuga da situazioni destabilizzanti vissute come pericolose.
Le minoranze portatrici di valori nuovi o diversi, mettendo in pericolo la sopravvivenza di quelli convenzionali, possono così diventare oggetto di paura e di violenza. Gli odiatori, dal punto di vista psicologico, paiono pertanto vittime della loro stessa paura e vulnerabilità, della scarsa cultura e di una incapacità critica, oltre a una limitata empatia affettiva, la capacità di sentire l’emozione dell’altro e di rispondere con un’azione consona. Per compensare le loro fragilità, spesso sembrano cercare di identificarsi con ideologie o con gruppi sociali vissuti come forti e potenti.
Purtroppo l’odio non rimane solo online, ogni anno sono tantissimi i casi di crimini causati da questo sentimento che comporta la volontà di distruggere l’oggetto detestato. È quindi urgente l’attivazione di interventi di prevenzione e di contrasto che coinvolgano soprattutto la dimensione psicologica e socio-culturale delle persone, per dar vita a un processo di delegittimazione della violenza che sempre più spesso pare manifestarsi senza argini. La responsabilizzazione dei giovani e dei meno giovani è indispensabile per creare una cultura condivisa della comunicazione online, in grado di favorire il rispetto della persona nella sua soggettività e uno scambio di idee libero da ostilità: la diversità di opinioni e pensieri è un arricchimento sociale e come tale dovrebbe essere considerata.
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