Il 10 ottobre si celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale (Mental Health Day), istituita nel 1992 dalla Federazione mondiale per la salute mentale (WFMH) e dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Ogni anno l’OMS sceglie un tema da trattare in questa giornata: quest’anno il tema scelto è la prevenzione dei suicidi; la Giornata è sostenuta dall’OMS, dall’International Association for Suicide Prevention e dalla United for Global Mental Health.
Accogliendo l’invito della campagna #40seconds che invita a fermarsi per 40 secondi e fare qualcosa, scrivere, condividere un’idea, un pensiero in grado di sensibilizzare, l’Ordine Assistenti Sociali del Piemonte ricorda come nella gestione della malattia mentale il primo passo per co-costruire il processo di cura avviene quando le persone con una patologia “riescono a farsi sentire”: riprendere in mano la propria vita nonostante la malattia, scegliere, essere cittadini nella società consentono una migliore qualità di vita. Da qualche anno si parla di un paradigma della salute mentale definito “recovery”, concetto ormai entrato con forza nelle politiche e nei documenti ufficiali, anche dell’Oms (dalla Mental Health Declaration di Helsinki 2005 al nuovo Action Plan europeo 2013-2020). In tale orientamento, vicino al pensiero che ha attraversato il nostro paese negli anni della deistituzionalizzazione, si spinge a rimettere al centro dei percorsi le esperienze soggettive delle persone con malattia mentale restituendo un’identità positiva e la speranza di potersi realizzare nonostante le problematiche sanitarie.
Alberto De Michelis, Consigliere Ordine assistenti sociali e assistente sociale presso un Centro di Salute Mentale, afferma: “La recovery ha una dimensione sociale e politica. Le persone con un disturbo mentale non migliorano se sono sole, se non hanno contatti sociali, risorse umane, culturali e materiali che le aiutino a ristabilire un equilibrio personale. I servizi dovrebbero essere un perno fondamentale nell’accompagnare le persone ad attivare e utilizzare le proprie risorse e quelle esterne, per ristabilire uno stato di benessere. La recovery deve essere letta come un diritto e guadagnare una dimensione politica: servono servizi che garantiscano un percorso di cura adeguato alle esigenze della persona, relazioni di aiuto che si basino sulla reciprocità e in spirito di “coproduzione”, risorse economiche per favorire inserimenti nella società, politiche sociali e culturali che contrastino lo stigma e la discriminazione.”
“Stiamo parlando - sottolinea Rosina - della necessità che i servizi di salute mentale promuovano attivamente l’inclusione sociale, sostenendo i pazienti nel definire autonomamente bisogni, obiettivi e ambizioni future, sapendo ascoltare ed includere i familiari per una piena realizzazione delle potenzialità ed aspirazioni, anche laddove il disturbo mentale sia grave e persistente. Crediamo fermamente che un approccio inclusivo consentirebbe un miglioramento dei contesti e potrebbe concorrere alla prevenzione del suicidio ma occorre attenzione alle reali possibilità di intervento di servizi di salute mentale spesso ridotti nella presenza di tutte le figure professionali necessarie, dei fondi per operare nell’ambito della prevenzione, della cura e della riabilitazione”.
Conclude Rosina: “possiamo ritrovare nella storia della psichiatria italiana strategie, ancora oggi adottabili dagli assistenti sociali e dagli operatori della salute mentale, per portare avanti progetti finalizzati ad attività di promozione della salute, benessere e recovery con l’obiettivo di avvicinare i luoghi di cura ai contesti di vita. Ma nulla possono le istituzioni se ciascuno di noi crede di non essere importante, nel suo piccolo e quotidiano, e non si ferma #40secondi per comprendere come non abbandonare persone che soffrono di una malattia mentale e le loro famiglie”.
L’Ordine Assistente Sociali del Piemonte, per voce della sua Presidente, “richiama ad assumersi l’impegno di concorrere alla costruzione di occasioni di incontro e di dialogo affinché “nessuno sia lasciato solo”: occorre una attenzione continua, nella quotidianità, non solo alle persone con malattia mentale, spesso lasciate sole insieme alle loro famiglie, ma anche al sistema dei servizi di salute mentale ad ai professionisti, non sempre in grado, per le citate difficoltà del sistema, di far fronte alla complessità ed alla crescente vulnerabilità. Sottolineiamo ancora una volta che la responsabilità di fermarsi a riflettere sulla malattia mentale e le sue conseguenze, deve essere attribuita alla società nel suo complesso, alle associazioni di cittadini, alle forze politiche e ai singoli professionisti. Solo superando le contrapposizioni, spesso ideologiche, è possibile lavorare nella consapevolezza che la malattia ha un effetto a catena che incide su famiglie, amici, colleghi, comunità e società.”
Carmela, Francesca Longobardi - Consigliere delegato alla Comunicazione esterna e ai Rapporti con i mass-media / tel: 333.4896751