Il Tribunale per i Minorenni di Milano ha registrato in pochi mesi un’impennata nelle violenze dei figli sui genitori.
Lo ha riportato pochi giorni fa la presidente, Maria Carla Gatto, in un convegno digitale sulla salute mentale degli adolescenti. “Da marzo a dicembre del 2020, i ragazzi in carico alla giustizia minorile per violenza contro i familiari sono aumentati del 41%”, ha dichiarato il magistrato.
Nel convegno questo tipo di violenza era analizzato come conseguenza della reclusione imposta dall’emergenza sanitaria, e lo condivido. Le tensioni familiari si accendono nella vicinanza forzata, succede nella coppia come nel rapporto genitori-figli, in ogni direzione. E se sono i ragazzi a picchiare i genitori e le istituzioni arrivano ad occuparsene, questo può voler dire un periodo in comunità educativa o anche un progetto a domicilio ma con un rinforzo educativo e psicologico importante, dentro o fuori da un procedimento penale a loro carico.
Le istituzioni però non vedono tutto. I papà e le mamme picchiati dai figli sono un po’ di più di quello che siamo abituati a pensare, sicuramente più numerosi delle denunce perché non è facile pensare di mettere nei guai una parte di sé. Anche nel discorso comune questa faccenda, dei ragazzini o delle ragazzine che alzano le mani contro i genitori – non crediamo sia un fenomeno esclusivamente maschile – è poco affrontata, quasi un tabù. Forse perfino più inconfessabile del suo contrario, le botte sui figli da parte dei genitori.
L’impotenza, la vergogna si impadroniscono di loro. Il senso di colpa, il tormento di avere sbagliato tutto come educatori. L’oscillazione tra difendersi, sopraffarli o stringerli forte. La lesione è molto più profonda di quella che segna la pelle, medicata alla bell’e meglio con quel che c’è in casa. Proprio per questo merita di essere studiata, e monitorata attentamente per capire se davvero è in crescita, ma soprattutto come prevenirla e come affrontarla.
Uno studio in tal senso è stato condotto in Spagna e in Olanda per tre anni, tenendo sotto osservazione un ampio campione di adolescenti. Ne riferisce Ubi Minor in un buon articolo. Tra le ragioni del fenomeno si cita il narcisismo. “Nostro figlio si vede superiore a tutto”, ha raccontato una mamma a un ricercatore. “L’altra sera gli ho detto che avrebbe dovuto smettere di guardarsi nello specchio, perché aveva un bell’aspetto e non c’era bisogno che continuasse a controllarlo. E lui ha dato di matto. Suo padre più tardi gli ha detto che non aveva il diritto di parlarmi in quel modo. Ma mio figlio è diventato sempre più verbalmente aggressivo, e la situazione è degenerata in violenza fisica. Ha colpito ripetutamente mio marito. Adesso si sta riprendendo ma ha riportato dallo scontro costole ammaccate e una mascella rotta. Il problema è che mio figlio continua a pensare di essere nel giusto. A suo dire, è lui a sentirsi minacciato”.
Queste ultime parole, “è lui a sentirsi minacciato”, per me sono una chiave di volta. Conosco ragazzi e ragazze che sono arrivati a esercitare violenza sui familiari; messi alle strette riescono ad ammetterlo – minimizzando un po’ – e tutti si sentono vittime. Hanno reagito per difendersi da ciò che li attaccava, o per prendersi ciò che spettava loro. Ogni mezzo è lecito per risarcire l’offesa. Il dolore che hanno provocato lo riconoscono dopo, forse. Bisogna che arrivino a mettere in crisi quella presunzione iniziale. Finché quella resiste, il resto è un danno necessario, come gli effetti collaterali delle medicine. O delle guerre.
Noemi e Luca sono violenti in famiglia. Ciascuno nella propria: non sono fratelli e non si conoscono. Li accomuna l’uso di sostanze e il bisogno di denaro. Incarnano l’esempio più facile, il primo che chiunque di noi può pensare. La droga si sa spazza via ogni affetto, diventa padrona, sebbene io non sia disposta a credere che faccia tutto da sola.
Andrea è violento come il padre violento. Lo ha visto alzare le mani fin da bambino, contro se stesso e i fratelli, contro la madre. A quel tempo si è spaventato per sé e per loro, si è messo in mezzo, ha cercato di proteggere la sua famiglia. Ora che è un fusto alto due metri non vuole temere più niente. E la mamma, dopotutto, è troppo appiccicosa, non aveva tutti i torti papà, il fratellino è un tipo molesto. Andrea è disposto a metterli in riga pur di ottenere quello che vuole.
Melania è violenta con le persone e le cose. Figlia unica, adottata a 5 anni, è stata una bambina modello per mamma e papà finché gli si è rivoltata contro. Loro non la riconoscono più, lei pensa che non siano più sicuri di amarla. Loro si chiedono se non sia colpa del DNA – in fondo non è veramente figlia loro, chissà da chi ha preso – e lei stessa non sa più chi è, di sé ritrova solo il bisogno di essere amata nonostante tutto. Ogni spintone al padre, ogni graffio alla madre è il tentativo irragionevole di alzare la soglia per metterli alla prova.
Hakim il padre non lo stima più. Da bambino sì, pensava fosse un eroe, e in cambio papà lo faceva sentire un principe, l’orgoglio della sua vita. Guarda papà adesso e vede un uomo trasandato e senza pace, che si spacca la schiena in fabbrica per un pasto magro, niente a che vedere con il futuro che sogna per sé. Perché Hakim è grandioso, ha uno stile di vita da mantenere, firme da indossare e notti da godere. Perciò pretende, e se non ottiene minaccia, va anche più in là se le minacce non bastano. Meglio che la mamma non si metta in mezzo.
Veronika è rientrata in famiglia dopo anni di lontananza. Non l’aveva certo chiesto lei, di restare al paese coi nonni paterni mentre papà e mamma si trasferivano in Italia. E non è stata sua la scelta di raggiungerli sei mesi fa. L’hanno fatta partire a loro piacimento? Bene, adesso sarà meglio che le diano quello che vuole. E se suo padre pensa di comandare, si sbaglia di grosso. Veronika è grande, Veronika fa ciò che vuole.
Rivedo Noemi e Luca, Andrea, Melania, Hakim e Veronika. Ripenso ai loro genitori, alla fatica infinita di essere fragili.
testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta