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Vera ha iniziato a scrivere per non impazzire. Miriam ha ritratto “Elin e gli altri” per superare l’impotenza. Le ascolto, mi riconosco in loro pensando al mio rapporto con le parole, e mi dico: dev’essere così per tutti, non ci fosse un resto indigeribile nella nostra vita non avremmo bisogno di cimentarci con quadri, romanzi, teatro… Solo che una quota indigesta non può esserci risparmiata, ed è un sollievo provare a trarne bellezza.

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Ragiono su questo uscendo dalla mostra “Elin e gli altri”. Ne ho già scritto su queste pagine qualche mese fa, al primo allestimento, e torno a farlo in seguito alla sua riproposizione presso la Biblioteca Niccolini di Ferrara, specializzata sui temi dell’infanzia, dove gli acquarelli resteranno in parete fino al 25 febbraio per poi trasferirsi a Bologna.

La mostra raccoglie ritratti di bambini e bambine migranti incontrati nel suo lavoro da Miriam Cariani, nell’ufficio deputato presso la Cgil di Ferrara, e da Vera Slaven, collega di una vita.

“I problemi dei migranti sono sempre più difficili da affrontare, anche a legislazione invariata”, racconta Miriam. “Un mutamento culturale è sufficiente a rendere le procedure più lente e farraginose – pensiamo solo che per un ricongiungimento familiare possono occorrere anche sette anni – e noi non sempre riusciamo a essere di aiuto. L’ingiustizia mi pesa. Quando riguarda i bambini è ancora peggio perché loro non hanno responsabilità, non hanno voce. E poi non pensiamo che le cose siano idilliache nelle famiglie: soprattutto affrontando enormi difficoltà a livello sociale, economico, di riconoscimento dei diritti, tra gli adulti possono nascere relazioni difficili e i bambini patiscono anche per questo”.

Con questo carico sulle spalle Miriam, che è anche arteterapeuta, pittrice e molte altre cose, ha sentito l’esigenza di trovare una forma espressiva per rendere partecipi gli altri.

“Anche grazie a Vera ho trovato il coraggio di chiedere ai genitori, o agli accompagnatori, se potevo scattare una foto ai bambini e una volta a casa facevo uno schizzo e poi mi mettevo a dipingere, d’istinto. Li avrò ritratti in un paio di mesi”.

Sono 25 e sono bellissimi. “Vorrei davvero che servissero a far riflettere le persone, perché questi bambini parlano”, continua a Miriam, ed è vero. Basta guardarli negli occhi.

Una voce la ascoltiamo nelle parole di Vera che legge qualche sua poesia e alcuni brani tratti dal suo libro “Mentre eri via” (ed. Tufani, 2018). La sua storia ci incuriosisce.

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“Avevo poco più di vent’anni, vivevo in Jugoslavia in quella regione che adesso è la Croazia, facevo l’insegnante d’inglese. Avevo una casa, due figlie e tutto quello di cui avevo bisogno per stare bene, avrei giurato che non mi sarei mai allontanata. Mio marito era già in Italia, così siamo venute a trovarlo in estate e, nonostante nel mio paese già tirasse una brutta aria, non ho portato neanche il cappotto. Ero convinta di fermarmi un paio di mesi per poi tornare a insegnare. Invece è scoppiata la guerra, hanno chiuso le frontiere, mi sono ritrovata in Italia – abitavamo in Abruzzo allora – in un paese di cui non conoscevo la lingua…”.

L’ha imparata in modo piuttosto insolito. “Siccome non capivo una parola, ho comprato in italiano i romanzi che avevo letto e amato nella mia lingua oppure in inglese – Dickens, Kundera… – e li ho riletti. Ho studiato in questo modo. Avevo sempre pensato che l’inglese fosse una lingua bellissima e razionale ma ho scoperto che l’italiano è ricchissimo di sfumature, dà veramente la possibilità di scegliere come esprimere se stessi e me ne sono innamorata. Poi mio marito mi ha iscritta all’Università perché rischiavo di impazzire, ricordo che per la tesi ho impiegato nove mesi. È stato molto duro per me, ma forse è stato un inizio. In seguito ho voluto scrivere poesie e racconti, e anche questo credo di averlo fatto per non diventare matta”.

Gli occhi di Vera si velano parlando della guerra. “Sono nata Jugoslava e morirò Jugoslava. Ci siamo divisi con guerre fratricide, gli amici e i vicini l’uno contro l’altro. È veramente terribile tutto quello che è successo e ora vedo che tra Russia e Ucraina la storia si sta ripetendo. Anche quella è una guerra tra fratelli, e nessuno tra chi ha potere che veramente si dia da fare per trovare una soluzione. Tra le persone del mio paese tanti negli anni hanno dimenticato e non lo so, forse hanno ragione loro, forse è anche giusto dimenticare. Io non riesco. Non riesco a dimenticare quello che ho vissuto, e allora scrivo”.

Il 3 febbraio scorso abbiamo saputo che un neonato è morto per annegamento nel Mediterraneo, scivolato dalle braccia della madre che lo proteggeva, quando la mamma è morta di stenti durante il viaggio. Non lo voglio dimenticare, e allora scrivo.


testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta

Elena Buccoliero
Sociologa e counsellor, è docente a contratto all’Università di Parma sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti e svolge attività di formazione, ricerca, supervisione e sensibilizzazione su bullismo, violenza di genere e assistita, diritti delle persone minorenni. Dal 2008 al 2019 è stata giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Ha diretto la Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati (2014-2021) e l’ufficio Diritti dei minori del Comune di Ferrara (2013-2020). Da molti anni aderisce al Movimento Nonviolento. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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