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Cinque figure dell'immaginario fumettistico come altrettanti simboli di adolescenze "sul limite" tra perdita di sé e riscoperta dell'appartenenza a un gruppo.

Linus: la nostalgia

Nelle storie a fumetti di Schulz, il geniale creatore dei Peanuts gli adulti non compaiono mai; nella bella riduzione a cartoon essi si presentano solo come suoni di trombone fuori campo! Qualcuno afferma che la società immaginata da Schulz è una società già adulta, un po' come quella del WIlliam Golding di Il Signore delle mosche, e quindi che gli adulti "veri" vi sfigurerebbero, costituirebbero una inutile ridondanza. Charlie Brown e Piperita Patty, Linus e forse anche Snoopy sarebbero degli adulti-bambini, specchi di una società adulta che riscopre con fastidio e senza tanta ironia i propri tratti di infantilismo.

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Forse non è questo il modo più appropriato di godersi le belle vignette dei Peanuts, ma comunque questi suggerimenti ci sono utili per parlare della nostalgia, altro sentimento tipicamente adolescenziale; si tratta di quella nostalgia per i lidi dell'infanzia ormai definitivamente abbandonata provata da Linus e da alcuni dei suoi amici, soprattutto quando essi si fermano a osservare i bambini più piccoli intenti al gioco. L'irrimediabile esperienza del non essere più bambini scuote l'adolescente; la prova di realtà che il modo gli provvede, le richieste adulte di "essere adulto", "comportarsi da grande", gratificano il fanciullo e la fanciulla e al tempo stesso fanno loro rimpiangere con forza il tempo in cui essi erano al centro dell'attenzione e della cura adulte, dimensioni gratuite di un dispositivo educativo quasi automatico.

{xtypo_quote_right}È allora il ricordo, intriso di nostalgia, del bambino o della bambina che il ragazzo o la ragazza sono stati, a servire da strumento di elaborazione del lutto per la perdita dell'identità infantile; lo "strappo" tra infanzia ed età adulta sarebbe troppo forte, troppo traumatico se non si serbasse il ricordo dell'infanzia come terra in cui rifugiarsi nelle necessarie e benefiche regressioni di cui non solo l'adolescente ha necessità.{/xtypo_quote_right}

 

Proprio qui, in questa dimensione della nostalgia, cogliamo il carattere di "terra di mezzo" proprio dell'adolescenza; e nella nostra analisi è proprio la nostalgia a fare da terra di mezzo tra due sentimenti (paura e solitudine) tradizionalmente considerati positivi e due dimensioni del vivere (fiducia e speranza) che spesso sono stati presi in carico dalla retorica dominante; è solo attraverso la nostalgia per le terre dell'infanzia definitivamente abbandonate, per le promesse di piacere sperimentate in quelle terre, che è possibile elaborare la paura in speranza e stingere la solitudine nella fiducia nel prossimo, amicizia o amore che sia. Il vincolo che mi lega all'altro da me, la possibilità che l'altro non sia un nemico il cui colpo schivare ma un possibile alleato nell'avventura della crescita, risiede in quel senso di sconfinata fiducia che da bambini si provava nei genitori o nelle figure educative; senso di fiducia che non può più essere gustato in pieno, ma che può essere ricordato con gratitudine. Qui la nostalgia incrocia la dimensione della memoria; se non può più essere bambino/a l'adolescente può però ricordare la propria infanzia, anche rimpiangerla e colorarla delle tinte del mito (l'infanzia ricordata è spesso depurata dalle tracce delle violenze subìte).

È allora il ricordo, intriso di nostalgia, del bambino o della bambina che il ragazzo o la ragazza sono stati, a servire da strumento di elaborazione del lutto per la perdita dell'identità infantile; lo "strappo" tra infanzia ed età adulta sarebbe troppo forte, troppo traumatico se non si serbasse il ricordo dell'infanzia come terra in cui rifugiarsi nelle necessarie e benefiche regressioni di cui non solo l'adolescente ha necessità; un altro strappo lacerante e un'altra dimensione della nostalgia incrociano qui i vissuti dell'adolescente: il trauma della nascita e la nostalgia dell'ovattato mondo amniotico. Si tratta di lacerazioni che non possono mai essere sanate del tutto; ma se l'adolescenza è una seconda nascita, una nascita sociale, è allora chiaro che anche qui la dimensione del trauma e della perdita saranno fortemente messe in gioco, e che occorrerà uno sguardo nostalgico al passato (un passato "sufficientemente buono"; perché di quale infanzia dovrebbero mai avere nostalgia i bambini lavoratori delle favelas latinoamericane o delle città del Sud sfregiate dalla mafia?) che bonifichi il presente dalle dimensioni di rischio e di attacco al fragile Sé che si sta costituendo.

Certo, c'è il rischio che la nostalgia, resa "nostalgia cosmica", si trasformi in rassegnazione, in melancolia, in chiusura nei confronti della dimensione del tempo e della crescita, in rifiuto del futuro; ma pensiamo che peggiore sia il rischio del pragmatismo a tutti i costi che vuole farla finita con il passato (e si allea segretamente con le ideologie che il passato vorrebbero uccidere) unicamente per idolatrare un cattivo presente; occorrerà allora non solo legittimare la nostalgia adolescenziale per l'infanzia (quante volte tale nostalgia si è trasformata in sentimento di cura per l'infanzia presente, nutrendo vite e carriere di educatori ed educatrici!), ma anche mostrare ai ragazzi e alle ragazze che occorre avere "nostalgia del futuro"; dimensione in cui la nostalgia incrocia le linee dell'Utopia, il ricordo di mondi passati sfiora il sogno di universi futuri, l'amore per ciò che è stato si muta in cifra di ciò che potrebbe essere.

 Da Ubiminor Rivista, Anno 1 N.5

Raffaele Mantegazza
Dal 1999 insegna presso l'Universita' di Milano Bicocca, facolta' di Scienze della Formazione. Ha pubblicato oltre 40 libri e circa 200 articoli su riviste specializzate. Attualmente la sua cattedra universitaria e' Pedagogia Interculturale.

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