Cinque figure dell'immaginario fumettistico come altrettanti simboli di adolescenze "sul limite" tra perdita di sé e riscoperta dell'appartenenza a un gruppo.
Calvin e Hobbes: la fiducia
Nel bellissimo fumetto di Bill Watterson, Hobbes è una tigre di pezza, forse imbottita di vecchi giornali, ma nessuno se ne accorge scorrendo le tavole colorate del cartoonist americano; Hobbes sembra vivo al bambino Calvin, ed è indiscutibilmente vivo anche per i lettori, che con il ragazzino solidarizzano.
La dimensione della fiducia, necessaria per una crescita sufficientemente serena, viene sperimentata dal ragazzo e dalla ragazza nel contatto con la natura.
Purtroppo non c'è quasi immagine più sfruttata e banalizzata dall'industria culturale di quella del rapporto di amicizia tra fanciullo e animale; non c'è marca di cibo per cani che non viene pubblicizzata attraverso uno spot che rappresenti un bambino che gioca con il proprio cane, possibilmente sullo sfondo di un bel tramonto infuocato.
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È questa dimensione dell'apertura (certo non infinita) dell'esperienza amorosa ed amicale basate sulla fiducia, a mancare nell'adolescente; che allora si rifugia nella ripetibilità di esperienze usa-e-getta, provviste dal mercato della pornografia o dalla retorica dei sentimenti.
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Ma l'insistenza con la quale vengono diffuse immagini come questa rende conto dell'esistenza di una profonda dimensione di intimità che collega l'adolescenza con la natura; solo che questa intimità non è affatto -come vorrebbe l'illusione romantica- giocata solamente sul registro dell'amicizia, dell'affettività positiva, del gioco; il ragazzo e la ragazza entrano in rapporto con l'animale attivando la totalità delle sue dimensioni emotive e affettive: l'animale suscita rabbia, dolore, schifo, repulsione, impulsi sadici e masochisti; richiama al senso della morte, della sofferenza, della putrefazione. Il rapporto adolescente-animale è pluridimensionale, albergando in sé ovviamente anche gli aspetti positivi, ma presentandosi come un mondo di affetti, che dunque non sono mobilitati solo nei confronti del bel cucciolo dalmata ma anche del verme, dello scarafaggio, della tarantola.
Ed è allora questa polisemanticità di affetti ad essere mobilitata dal ragazzo e dalla ragazza nei confronti dell'altro da sé; amico e nemico, traditore o persona cui raccontare i segreti, l'altro/a viene sempre caricato di quei vissuti ambivalenti che l'adolescente vive in sè e vorrebbe proiettare all'esterno; l'esclusività tipicamente adolescenziale (il MIO amico; la MIA ragazza; il MIO cantante preferito) non esclude il tradimento e la rottura (sempre "definitiva") ma si colora anche di un onestà affettiva che poi spesso verrà coperta dall'ipocrisia e dal mero interesse. Ed è proprio da ragazzi che i tradimenti fanno più male, gli addii sembrano sempre definitivi, la fiducia sembra essere sempre sul crinale tra eternità e fugacità dell'attimo; invece di ironizzare su queste dimensioni dei vissuti adolescenziali gli adulti farebbero bene da un lato a prenderli sul serio (riflettendo magari sulla incapacità, una volta cresciuti, di amare in modo fermo, disperato e travolgente come fanno i ragazzi e le ragazze) ed eventualmente a sdrammatizzarli, non certo nel senso di banalizzarli ma di schiuderne la dimensione esclusiva; vi sono certo amori irripetibili e passioni uniche, ma c'è anche il gusto di re-innamorarsi, di tornare ad amare, di stupirsi ancora. Ed è questa dimensione dell'apertura (certo non infinita) dell'esperienza amorosa ed amicale basate sulla fiducia, a mancare nell'adolescente; che allora si rifugia nella ripetibilità di esperienze usa-e-getta, provviste dal mercato della pornografia o dalla retorica dei sentimenti. È ancora una volta il rapporto con la natura, invece, a poterci illuminare sul fatto che, se ogni esperienza amorosa o amicale è unica (come è unico il gatto che avevamo da ragazzini), è possibile inventare nuove dimensioni dell'amicizia e dell'amore, declinare in senso concreto e ogni volta nuovo la stessa dimensione della fiducia.
Certo, questo comporta due cose: che il rapporto di fiducia che i giovani intrattengono con gli adulti sia al riparo dal possibile tradimento (questo non esclude la dimensione della prescrittività e della normatività; il peggior tradimento che la guida adulta può compiere è proprio l'abdicare al suo ruolo di guida!); dall'altro che si superi la retorica dell'amore universale, della fiducia nell'Umanità e la si declini invece concretamente, ogni vota a partire dal singolo uomo, dalla singola donna, dal singolo gruppo, dal singolo popolo.
I ragazzi e le ragazze sembrano allora imparare dal rapporto con gli animali e con la natura in genere quel senso di esclusività che nutrirà poi i rapporti amicali: ma sono essi per questo più vicini alla natura e ai loro amici di quanto non lo siano gli adulti? Forse è una illusione, perché crediamo che comunque la natura conosciuta dall'adulto possa anche diventare natura protetta, nei confronti della quale attivare strategie adulte di cura e di assunzione di responsabilità; ma è difficile comunque non credere che nella crescita sfugga all'uomo e alla donna qualche dimensione affettiva che era presente nel rapporto che il ragazzo e la ragazza intrattenevano con l'animale. Adolescenza e natura possono dunque non vedere tradito il loro rapporto multidimensionale in una nuova figura di adulto; si tratta di ripensare a un processo di crescita e di sviluppo che metta al centro le dimensioni di stupore e di terrore, di gioia e di paura che tutti abbiamo provato da piccoli accarezzando un gatto addormentato o sfiorando un'umida ragnatela e ne facci anche il cardine dei rapporti umani e sociali. La natura potrebbe allora anche essere reinterpretata come sintomo di resistenza; a una forma pervertita di sviluppo, a un paragidma di crescita che ha portato gli adulti a costruire i pesticidi e le bombe al neutrone, a praticare la caccia e la vivisezione, a costruire recinti con fili spinati per i loro fratelli animali e, peggio, per i loro simili.
Da Ubiminor Rivista, Anno 1 N.5