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Come si misura l’intensità di un’aggressione? Dai giorni di prognosi, dal numero degli spettatori, dall’uso di Internet come ripetitore, dalle ricadute sulla vita di chi la subisce?

L’episodio di Bollate – la ragazza picchiata davanti alla scuola da una coetanea per ragioni, si è detto inizialmente, di gelosia, tra le incitazioni dei coetanei e con qualcuno che filmava e, solerte, pubblicava in rete – è odioso e ripetitivo.

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{xtypo_dropcap}R{/xtypo_dropcap}ipetitivo, sì, perché da quando il web è a portata di mano degli adolescenti grazie a cellulari ben accessoriati dobbiamo ogni anno torcerci lo stomaco per qualche umiliazione o violenza amplificata nell’etere.

Internet non genera gli eventi però amplifica: tutto. Visti fatti anche molto recenti – la malattia di un noto personaggio politico, gli attacchi indegni a donne parimenti impegnate – va escluso che gli adulti possano ergersi a castigatori degli adolescenti su come si utilizza la rete. Però gli adulti e gli adolescenti non sono monoliti, per fortuna, e la rete amplifica davvero tutto, le maledizioni al politico insieme agli auguri di pronta guarigione, gli incitamenti alla ragazzina picchiatrice tanto quanto le dichiarazioni di solidarietà a chi si è presa le botte. Internet è un megafono gratuito e potente e dentro ci si può urlare qualsiasi cosa, ma è bene ricordare che noi adulti – complessivamente – non siamo di una pasta migliore.

E allora, messa da parte la rete resta l’accaduto, che di forme di violenza ne contiene più d’una. Vale la pena snocciolarle per guardarle nella loro diversità.

C’è la violenza della ragazza picchiatrice. Tra le sue specialità spiccano i calci in faccia, poco di bello sia oggettivamente sia simbolicamente. Il fatto che lo scontro sia tra ragazze rende l’episodio un poco più singolare, sebbene ormai neppure troppo. Resta vero che il medesimo fatto al maschile – lo scontro di due ragazzi per una ragazza - probabilmente avrebbe fatto meno rumore.

C’è la violenza del cerchio che alimenta lo scontro. È un coro di ogni tempo, non meno odioso per questo. Si nutre della riduzione della persona aggredita a puro sacco da botte, persi tutti i connotati che la fanno essere persona, spento il volume alla voce che grida e chiede aiuto perché forse prova dolore e solitudine e paura. (Ricordiamole, queste emozioni, perché sul certificato del Pronto Soccorso non appariranno e un fatto come questo, portato in un’aula giudiziaria – diciamo – quattro anni più tardi, potrà sembrare una sciocchezza: poco più di un livido).

C’è la violenza di chi riduce un rapporto affettivo a mero possesso, per cui quando viene tradito o lasciato ha ben il diritto di rivalersi con chi gli ha rubato una cosa – importante, per carità, ma pur sempre una cosa, in una sorta di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni”. È significativo che a Ferrara, in uno scontro tra due ragazze analogo a quello di Bollate e risalente di poche settimane, la giovane privata del fidanzato sia passata dall’aggressione alla rapina: tu mi togli il ragazzo, io ti tolgo i soldi e il telefonino. Uno spossessamento per vendicarne un altro. Solo allargando lo sguardo dalla proprietà alla relazione diventa contemplato parlare con chi ci ha lasciato, chiedere chiarimenti, piangere, sfogarsi, accettare di stare male, accettare che è andata male, se si è molto maturi imparare qualcosa. Nella logica del possesso c’è solo da decidere su chi rivalersi. La cronaca recente dice che gli uomini se la prendono con le donne che li lasciano, le donne se la prendono con le donne che le fanno lasciare. Un dato in comune sembra esserci… per ironia della sorte.

{xtypo_dropcap}I{/xtypo_dropcap}n un buon elenco non va dimenticata la violenza della telecamera che, se non determina il fatto, lo pompa nel suo svolgersi. “Così, cattiva” urla il ragazzo di Bollate durante la ripresa, con il cinismo del giornalista d’assalto che aizza lo scontro per portare a casa uno scoop. La spettacolarizzazione della violenza: da qualche parte i ragazzi l’avranno pure imparata.

E naturalmente c’è la violenza da tutti indicata per prima di fronte a questo video, quella dell’indifferenza di chi magari non alimenta ma neppure interviene a fermare la scena, e nessuno sa dire come, nello stare a guardare, si mescolino curiosità, identificazione (in chi delle due?), paura, rabbia e che altro – anche se, a guardare bene il filmato, la critica non rende giustizia. Al termine del breve video infatti, una ragazza si scosta dal cerchio, tende una mano alla giovane riversa a terra, la aiuta a rialzarsi, la nasconde dietro di sé. Questione di pochi secondi ma ci sarebbe, almeno, il conforto di una mano tesa. Su quest’ultimo passaggio si chiudono le immagini.

Qui anche il nostro excursus potrebbe terminare e ci sarebbe, almeno, un lieto fine, invece occorre ricominciare.

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{xtypo_dropcap}S{/xtypo_dropcap}u questo stesso fatto accaduto a Bollate un giornalista di Social Channel ha raccolto un’intervista telefonica a chi ha subito le violenze e alla zia di lei. Ha omesso i nomi, camuffato un po’ le voci, e l’ha pubblicata sul sito. Il giornalista si presenta con garbo, esprime solidarietà alla ragazza anche da parte di tanti adolescenti e chiede di raccontare. Così si apprendono dettagli interessanti.

Il primo punto è che la storia inizia prima e finisce dopo quello che abbiamo visto. La ragazza arrabbiata, infatti, se la sarebbe presa con la vera rivale in amore con violenze che non sono state filmate; un’amica difende la malcapitata e diventa a propria volta oggetto di violenze, e sono quelle che conosciamo; una terza ragazza interviene a protezione (chissà, forse la stessa che ha teso la mano?) e viene picchiata a propria volta. Una catena di aggressioni di cui i cellulari hanno catturato soltanto un segmento centrale e che contiene anche un susseguirsi di atti di solidarietà. Questa notizia ci serve, ricorda a tutti noi una cosa che già sappiamo ma che nell’emozione può sfuggire: i confini di un filmato non sono i confini della realtà, le cose iniziano e finiscono quando vogliono e non danno peso al tasto di accensione.

I dettagli più raccapriccianti, tra quelli riferiti dall’intervistata, vengono ora: la picchiatrice, che non frequenta quella scuola, è stata accompagnata lì in auto dalla madre, apposta perché la ragazza facesse quanto ha fatto, e poi riportata a casa; le amiche della picchiatrice, alla ragazza del filmato, hanno fatto sapere che “Se denunci e la nostra amica va in comunità noi ti prepariamo la tomba”.

Siamo arrivati fin qui consapevoli che: a) domani in rete qualcuno potrebbe dichiarare che il filmato di Bollate è stato costruito ad arte; b) vero il filmato, l’intervista alla vittima potrebbe non essere autentica; c) veritiera anche l’intervista, la ragazza potrebbe avere inventato o gonfiato una parte delle sue dichiarazioni.

Il continuo gioco di specchi fa della rete un labirinto e rende impalpabile ogni considerazione, se l’oggetto può d’un botto svanire o rivelarsi cambiato. Ma proviamo invece a prendere per buono tutto ciò che abbiamo visto e sentito, inclusi i due dettagli ultimi, e accettiamo il fastidioso crampo allo stomaco che ne consegue.

{xtypo_dropcap}S{/xtypo_dropcap}tando tra quelli che provano a lavorare nella prevenzione e nel contrasto della violenza tra pari, mi è chiara la profondità del lavoro da fare: sulla responsabilità, sull’affettività, sull’empatia, sul rispetto. Una cosetta così, non si comincia a fare con dei 15enni – sebbene sia sempre il momento giusto per incominciare – e non diventa urgente per via della rete.

Stando tra quelli che provano a lavorare a valle, in aula dibattimentale, mi è chiaro che nel vissuto di quei ragazzi il processo può suonare completamente disomogeneo, quasi una lingua sconosciuta, e ancor più se si prospetta ad anni di distanza. Occorrerebbe perciò che la giustizia minorile sapesse porsi a poca distanza dallo svolgersi dei fatti, e allora sì darebbe ordine e significato all’intricato vissuto di questi adolescenti. Offrendo un’occasione, s’immagina, anche ai testimoni, che nel raccontare forse rivedono le proprie condotte – aggressive, omissive.

Ad ogni buon conto la ragazza aggredita per seconda, quella cioè che il video ci ha fatto conoscere, dichiara l’intenzione di ritirarsi da quella scuola dove non si è sentita difesa, dove in tanti l’hanno lasciata sola e dove ora, per colmare la misura, le sono arrivate le minacce di morte.

Cambiare un corso di studi a metà anno scolastico non è una passeggiata. Un altro danno che non si calcola nei giorni di prognosi ma di cui a un qualche livello bisognerà tenere conto.

Elena Buccoliero
Sociologa e counsellor, è docente a contratto all’Università di Parma sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti e svolge attività di formazione, ricerca, supervisione e sensibilizzazione su bullismo, violenza di genere e assistita, diritti delle persone minorenni. Dal 2008 al 2019 è stata giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Ha diretto la Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati (2014-2021) e l’ufficio Diritti dei minori del Comune di Ferrara (2013-2020). Da molti anni aderisce al Movimento Nonviolento. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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