Da bambini era in programma anche l’educazione civica. C’era un libro apposito, adatto a pareggiare i tavoli zoppi. Tutti dicevano che era importante però poi si sa, bisogna finire il programma di storia e di letteratura, recuperare i ponti, e quel giro di interrogazioni saltato con le influenze… L’educazione civica restava all’ultimo posto. Talmente tanto che per un po’ è completamente scomparsa.
La legge 92/19 l’ha reintrodotta ma, essendo stata approvata il 30 agosto dello scorso anno – cioè troppo tardi per spiegare in tempo utile come applicarla nell’anno scolastico che iniziava a settembre – dopo qualche polemica non se n’è fatto niente. Quest’anno, il 23 giugno scorso, la Ministra Azzolina ha inviato alle scuole una lettera e delle Linee guida che spiegano che cosa ci si attende. Il Ministero nelle sue articolazioni organizzerà corsi di formazione per dirigenti e insegnanti per supportarli in questo nuovo vecchio compito.
Sono tre gli assi intorno cui muoversi: Costituzione, sviluppo sostenibile, cittadinanza digitale. Verranno inseriti in tutti gli ordini di scuola a partire dalla materna, entreranno anche nei percorsi dell’istruzione per adulti e saranno affrontati con metodi e contenuti appropriati all’età e alle competenze degli allievi.
“La Carta è in sostanza un codice chiaro e organico di valenza culturale e pedagogica, capace di accogliere e dare senso e orientamento in particolare alle persone che vivono nella scuola e alle discipline e alle attività che vi si svolgono”, si legge sulle linee guida. La sfera della Costituzione include la conoscenza dell’ordinamento nazionale e locale, i valori di legalità e solidarietà, il contrasto alla cultura mafiosa, la cittadinanza europea ed altro ancora.
Anche lo sviluppo sostenibile porta con sé una molteplicità di contenuti, non soltanto in tema ambientale. C’è il rispetto per gli animali, l’attenzione per la raccolta differenziata o la lettura dei complessi problemi energetici e climatici del pianeta, ma c’è anche la sostenibilità delle città o delle società, la capacità di includere le minoranze e le differenze, il rispetto per i diritti di ciascuno.
Nella cittadinanza digitale, poi, è inclusa l’alfabetizzazione consapevole all’uso di strumenti che bambini e ragazzi frequentano dalla nascita ma non sempre con competenza, come ha dimostrato l’esperienza recente di didattica online nella quale gli insegnanti hanno spiegato ai nativi digitali come utilizzare l’email e altro di apparentemente scontato, e si parlerà pure dei rischi che si corrono in rete, dalle fake news agli odiatori passando per le svariate forme di bullismo elettronico.
È un bel programma, e dovrà svolgersi in almeno 33 ore scolastiche nel corso dell’anno. Non ci sarà un solo insegnante coinvolto ma un coordinatore che lavorerà con i colleghi secondo un progetto pensato a inizio anno, con obiettivi di apprendimento legati alle linee guida, indicatori da rilevare e valutazioni da svolgere.
“Le Istituzioni scolastiche sono chiamate, pertanto, ad aggiornare i curricoli di istituto e l’attività di programmazione didattica nel primo e nel secondo ciclo di istruzione”, si legge nelle Linee guida, “al fine di sviluppare ‘la conoscenza e la comprensione delle strutture e dei profili sociali, economici, giuridici, civici e ambientali della società’ (articolo 2, comma 1 della Legge), nonché ad individuare nella conoscenza e nell’attuazione consapevole dei regolamenti di Istituto, dello Statuto delle studentesse e degli studenti, nel Patto educativo di corresponsabilità, esteso ai percorsi di scuola primaria, un terreno di esercizio concreto per sviluppare ‘la capacità di agire da cittadini responsabili e di partecipare pienamente e consapevolmente alla vita civica, culturale e sociale della comunità’ (articolo 1, comma 1 della Legge)”.
Dedicarsi a questi progetti, se verrà preso sul serio, sarà entusiasmante, e molto proficuo il risultato in termini di formazione dei giovani cittadini. Soprattutto se, come le stesse Linee guida propongono, l’educazione civica non sarà una materia a sé stante ma un altro modo di svolgere l’esperienza scolastica e di vivere le relazioni tra tutti i soggetti.
Significherebbe, a mio avviso, non limitarsi a studiare la democrazia ma viverla davvero, così come nell’educazione alla pace e alla nonviolenza si può, certo, introdurre “l’ora di nonviolenza” e fare lezione su Gandhi o Capitini, ma il loro studio diventa vivo e coinvolgente se abbraccia il modo stesso di fare scuola, di protestare davanti alle possibili ingiustizie, di aprirsi agli altri anziché coltivare egoismi. Nel caso dell’educazione civica, si potrebbe ripartire dando fiato agli organi collegiali ormai sempre più asfittici e asserviti alla logica della scuola-azienda, o della scuola bene-di-tutti-cioè-di-nessuno, e riconsegnare/riassumersi la responsabilità del proprio stare a scuola non solo trasmettendo contenuti ma incarnandoli nella relazione con gli altri.
Bisogna sapere che questo processo, a prenderlo sul serio, può generare conflitto, quello costruttivo, che prelude al miglioramento dei contesti di relazione, a scuola e fuori. Mi torna in mente un episodio avvenuto a Ferrara tanti anni fa.
Nella zona con la maggior concentrazione di migranti il Centro di mediazione sociale del Comune di Ferrara aveva svolto appunto attività di educazione civica. Un bel giorno una bambina del quartiere, 10 anni, nata da genitori cinesi, si è presentata al Centro con la Costituzione in mano, il libriccino aperto sui diritti fondamentali. Aveva rimostranze sul modo in cui la trattavano in famiglia, e non aveva dubbi che fosse un’ingiustizia: “C’è scritto qui!”.
testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta