Si chiamano care leavers i ragazzi e le ragazze che trascorrono una parte della loro crescita in affido familiare o in una struttura di accoglienza e, sulla soglia dei 18, escono dai percorsi di tutela minori.
Per loro nel 2010 è nata l’associazione Agevolando, cui aderiscono principalmente loro, i giovani adulti, ma anche persone molto più grandi (e anche io). Qualche tempo dopo è stato costituito il Care Leavers Network, una rete tutta loro, nella quale confrontarsi.
Il volume Care leavers, curato per Erickson (2021) da Valerio Belotti, Diletta Mauri e Federico Zullo, dà conto di questo percorso e lo porta alcuni passi più avanti. È un libro necessario per chi voglia occuparsi di… molte cose: partecipazione dei giovani, ad esempio, ma anche significato e impatto degli allontanamenti familiari nell’infanzia. E se non fosse che io non ho titolo per parlarne davvero, mi scapperebbe detto che questa esperienza ha una maturità e un valore che vanno oltre, forse una delle forme di politica attiva dal basso che i giovani di questa generazione ci stanno mostrando, preferibilmente intorno a bisogni concreti avvertiti da loro in prima persona, non sufficientemente visti, e che richiedono una risoluzione.
Il testo si compone di 11 capitoli cui hanno partecipato molti autori di diversa provenienza, molti ma non tutti interni all’associazione. Ci sono docenti universitari, operatori, attivisti, membri di associazioni ulteriori ad Agevolando. E tra loro c’è chi si occupa di sociologia, pedagogia, psicologia, lavoro educativo, integrazione culturale, mediazione, ricerca, politiche pubbliche. Una scelta accurata, perché tante sono le relazioni intessute in questi anni da Agevolando e perché tanti sono i livelli di analisi che si possono percorrere affrontando la questione.
Dentro Care leavers c’è la storia dell’associazione e c’è uno sguardo rispettoso ma approfondito sui suoi principali protagonisti. Non basta un profilo per riassumere chi sono i ragazzi fuori famiglia. Comprendono persone che hanno subito maltrattamenti, abbandoni, conflitti o deprivazioni marcate nell’infanzia, come pure giovani di origine straniera arrivati soli in Italia.
Già questo apre percorsi differenti, esigenze di crescita completamente diverse, percorsi interiori ben distinti. Nel testo un gruppo di care leaver si racconta e chiede soprattutto di non essere compatito o etichettato. Reclamando rispetto fanno valere il diritto (riconosciuto ai minorenni dalla Convenzione Onu del 1989 sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, e a tutti gli adulti indipendentemente dalla loro storia personale) di essere ascoltati in ciò che li riguarda, di poter dire la loro. Di partecipare, appunto. Di essere accompagnati. Che non si pretenda da loro l’impossibile (quale neomaggiorenne mediamente sostenuto dalla famiglia è in grado di cavarsela da solo?) ma che si dia valore al loro apporto.
Questi giovani, “esperti per esperienza” come spesso viene ripetuto, hanno un sapere prezioso innanzitutto su loro stessi, sulle loro storie. Agevolando ha molto lavorato, attraverso il Care leavers network, per promuovere gruppi di confronto su tematiche diverse, confluiti poi nelle lettere che i ragazzi hanno scritto rivolgendosi a ipotetici rappresentanti dei ruoli che più contano nella tutela minori: un giudice, un’assistente sociale, un responsabile dei servizi sociali, un’equipe di educatori, una psicologa.
Su questi contenuti ormai da diversi anni il network fa formazione per operatori sociali e giornalisti, possiamo facilmente immaginare come cambi il confronto tra operatori e ragazzi in tutela (appena un passo fuori, per la verità, ma ben rappresentativi di chi sta ancora dentro) quando il dialogo diventa paritario, e i più giovani possono dire francamente agli adulti ciò che hanno apprezzato di loro e ciò che invece li ha fatti stare male.
Si potrebbe dire che tra i destinatari delle lettere non ci sono i familiari. Anche a loro, c’è da scommetterci, i ragazzi e le ragazze fuori famiglia avrebbero mille cose da dire, da chiedere e da ricordare, da apprezzare e da rivendicare. È un terreno troppo personale, questo, troppo spinoso per essere sondato, e Agevolando è un’associazione, non un percorso di psicoterapia. Ciò nonostante le testimonianze dicono di quanto conforto abbia dato a ciascuno di loro poter parlare della propria storia con altri che potevano capirlo dall’interno, avendo vissuto per certi versi qualcosa di analogo.
Agevolando e i suoi care leavers non si sono fermati al sostegno individuale (non soltanto emotivo, anche nella casa, nel lavoro…) e neppure al confronto interno al gruppo, o al rapporto con il sistema di tutela. Hanno compiuto passi in più favorendo la presentazione di proposte di legge e, a livello statale, l’istituzione – per ora sperimentale – di fondi dedicati a sostenere i primi passi nell’autonomia dei ragazzi fuori famiglia, che devono completare gli studi, o cercare un’occupazione, insomma volare da soli appena usciti dal nido.
Su questo c’è ancora parecchia strada da fare, e non soltanto in Italia, ci avverte un capitolo dedicato proprio al confronto internazionale. Ma l’esperienza del Care leavers network è una peculiarità italiana di cui possiamo andare fieri, e questo libro sa dircelo.
testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta