“Come facciamo a coinvolgere i giovani?” è un punto molto dibattuto anche nelle associazioni come la nostra, e forse in tutti i contesti di impegno sociale o politico.
Ma come sono gli adolescenti di oggi? Sdraiati, ripiegati intorno al loro ombelico elettronico, o aperti e impegnati, cittadini del mondo? Impossibile dirlo, qualsiasi risposta univoca sarebbe sbagliata. Sappiamo però che in molte occasioni, da qualche anno a questa parte, i ragazzi e le ragazze intervengono nel dibattito pubblico con rinnovato vigore, si tratti di tutela ambientale o di percorsi scuola-lavoro, ci sia da scendere in piazza o da impegnarsi nei rapporti diretti o in rete, per dare una mano a chi è in difficoltà. Molto potrebbe dipendere dal valore che riconoscono agli argomenti, o dalla qualità delle proposte che ricevono. Un’occasione di riflessione su questi argomenti mi è stata data in un seminario online di pochi giorni fa.
La cornice è quella di “Con(n)essi” coordinato da Salesiani per il Sociale. Per sapere di cosa si tratta ci si può affidare al lungo sottotitolo: “Progetto sperimentale di contrasto e prevenzione del bullismo e del cyberbullismo attraverso un uso responsabile, consapevole e creativo dei social network, in una logica di alleanza tra generazioni e territori”. Giunti ormai agli ultimi passi di questo lungo percorso, ci siamo regalati un seminario online di approfondimento sul protagonismo giovanile dedicato agli educatori di Con(n)essi, per ripensare all’esperienza svolta andando anche oltre lo specifico della violenza tra pari e interrogarci su come si esprime, si incontra, si valorizza la partecipazione giovanile.
I nostri ospiti sono Andrea Marchesi e Michele Marmo, entrambi collaboratori della rivista Animazione Sociale. Andrea Marchesi è pedagogista e formatore, docente di Pedagogia e Metodologia della ricerca pedagogica presso l’Università di Milano Bicocca, che da anni si occupa di interventi educativi rivolti a bambini, adolescenti e giovani e formazione di educatori e insegnanti. Michele Marmo è animatore, pedagogista, consulente filosofico, fondatore (nel 1998) di Vedogiovane, una tra le cooperative di maggiore esperienza in Italia nel lavoro di animazione e nelle politiche giovanili, presidente e cofondatore di Associanimazione, luogo di confronto, formazione e scambio per cooperative, associazioni e gruppi in tutta Italia.
“Ripenso all’autunno 2019”, riflette Andrea. “Pochi mesi prima dello scoppio della pandemia i ragazzi e le ragazze di Fridays for future ci hanno mostrato un fermento che sembrava assopito. All’inizio del 2020, paradossalmente, per i giovani partecipare voleva dire chiudersi in casa. Una cosa è certa: anche se ripensiamo ai movimenti degli anni Sessanta-Settanta, la partecipazione appartiene sempre alla minoranza. I giovani in proporzione erano molti di più allora, ma chi andava in piazza era una quota minoritaria”.
“Bisogna però intendersi bene su che cosa si intenda con la parola partecipazione”, commenta Michele. “La protesta di piazza è scelta di pochi, certo. Ma imparare a fare bene un lavoro può essere inteso come forma di partecipazione? E organizzare un buon tempo libero? Per me si parla di partecipazione quando si fa riferimento a esperienze piene di senso, e questo non è appannaggio di pochi. Penso a esperienze condivise da moltissimi giovani come il servizio civile, lo studio, le modalità con cui i ragazzi e le ragazze chiedono di entrare nel merito dei loro percorsi di crescita”.
“Nella partecipazione dei ragazzi di oggi vedo pragmatismo, concretezza”, interviene Andrea. “Hanno il desiderio di mettere a frutto i propri talenti individuali forse sì, con un pizzico di narcisismo, cosa che a questa generazione viene spesso rimproverata, ma per metterli al servizio della collettività. E c’è un altro dato ricorrente: per ingaggiarsi hanno bisogno di credere che c’è la possibilità di fare la differenza, che la loro azione avrà un impatto. Se è così, sono disposti ad assumersi una quota di rischio”.
Insieme, Andrea e Michele stanno svolgendo una sorta di censimento per individuare 100 luoghi “ad alta densità relazionale” in tutta Italia, andando a cercare la partecipazione là dove c’è.
“Stiamo scoprendo forme di cooperazione inedita tra i giovani”, spiega Michele. “Un ritorno alla fraternità per riscattare problemi collettivi, cosa che i giovani fanno ibridando mondi diversi, uscendo dai recenti a cui come adulti siamo abituati”.
Che cosa significa questa ibridazione, prova a dirlo Andrea. “Il distacco dalle ideologie a favore di una concentrazione sull’obiettivo crea appartenenze deboli, funzionali alla meta, e questo li rende più inclusivi di quanto eravamo noi alla loro età. Se ad esempio vogliono promuovere un certo progetto, ci sarà chi lo pensa e lo porta avanti dal principio, chi si inserisce per alcuni tratti, chi si limita a raccogliere fondi un giorno all’anno, e non vedo un giudizio verso i coetanei più ostinati o meno disponibili. Il processo è aperto, l’ingresso è possibile in tempi e con soglie diverse, l’importante è mantenere la direzione. E poi, questi ragazzi danno grande valore alla testimonianza, vissuta come esempio di ciò che anche loro potrebbero fare in futuro, e alla dimensione affettiva dell’impegnarsi insieme per ciò che conta”.
“Io credo che un compito degli adulti sia anche aprire il campo delle esperienze possibili”, aggiunge Michele. “Ascoltare i ragazzi, ascoltarli in modo pulito, e offrire loro anche provocatoriamente la possibilità di mettersi alla prova in modi che da soli non avrebbero pensato, favorendo l’incontro con dimensioni dissonanti rispetto a ciò che conoscono. Dopotutto, tutti noi apprendiamo per differenza”.
testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta