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C’è infine l’incontro con la figura paterna come recriminazione, irato e non pacificato sguardo alla Franz Kafka di Lettera al padre su un rapporto che non ha saputo essere profondamente educativo ma ha lasciato solo un senso di conflitto non risolto, 

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come nella terribile, Quando la morte avrà che Claudio Lolli dedica impietosamente al padre:

Quando la morte avrà abbassato un po' le braccia che tante volte già mi avevano piegato
e tu ricercherai i miei capelli, la mia faccia, per farmi la tua prima e ultima carezza
allora ti amerò, allora quando avrai la tenerezza che non hai avuto mai
allora ti amerò ma tu non lo saprai e per tutti e due sarà troppo tardi ormai.
Quando la morte avrà scacciato la paura che per tutta la vita ti è stata concubina
e avrà fatto di te il più grande di noi, l'eroe che si rallegra della guerra vicina
allora ti amerò, allora quando avrai il coraggio che non hai avuto mai
allora ti amerò ma tu non lo saprai e per tutti e due sarà troppo tardi ormai.

Il tema delle infanzie violate entra di prepotenza nella nostra incompleta rassegna; infanzia concepita come territorio vergine sul quale spargere i semi dell'odio e del condizionamento, in In fila per tre di Edoardo Bennato:

Sei già abbastanza grande, sei già abbastanza forte, ora farò di te un vero uomo
ti insegnerò a sparare, ti insegnerò l'onore, ti insegnerò ad ammazzare i cattivi
e sempre infila per tre marciate tutti con me e ricordatevi i libri di storia
noi siamo i buoni e perciò abbiamo sempre ragione e andiamo dritti verso la gloria!

infanzia che per i tristi casi della vita vede sfumare l'esclusività di una amicizia, come in Michel di Claudio Lolli;

Ti ricordi, Michel il giorno che morì tua madre e che tu piangevi tanto che anche il cane
che ti voleva così bene non aveva il coraggio di avvicinarsi un po'?
Ti ricordi, Michel che tristi erano quei giorni, io non sapevo proprio cosa dirti
e che confusione avevo in testa e che stupore sul tuo viso e che voglia di partire?
Ti ricordi, Michel quei due saluti alla stazione, e i lacrimoni venir giù
quando la macchina cominciò a far pressione e tu dovesti salir su?
Ti ricordi, Michel che fretta che avevano tutti di far partire la vettura?
Mentre lento il tuo vagone se ne andava ritornava la paura.

Infanzia immigrata e incompresa, come in Era la terra mia musicata da Ron ma scritta da un bambino di otto anni:

Sette in comportamento; un cinque in aritmetica,
quattro in lettura eccetera...mi salvo in geografia...è la pagella mia
Ma perché non me la prendo? Conosco già la musica
le botte e poi la predica stasera a casa mia: una burrasca e via.
Invece di discutere ritornerei a Napoli a stare coi miei nonni
Sembrava così facile quando studiavo a Napoli capire la lezione
c'era più confusione ma c'era più allegria nella famiglia mia
perché era la terra mia.

infanzia stritolata dai meccanismi della mafia in La fotografia di Enzo Jannacci

E tu commissario che hai continuato a dire "Andate tutti via
andate via, qui non c'è niente da vedere, niente da capire"
Credo che ti sbagli perché un morto di soli tredici anni è proprio da vedere
perché la gente, sai, magari fa anche finta però le cose è meglio fargliele sapere!
Guarda la fotografia: sembra neanche un ragazzino
io son quello col vino e lui è quello senza motorino;
era il solo a non voler capire di esser stato sfortunato
a nascere in un paese dove i fiori han paura e il sole è avvelenato;
e sapeva quanto poco fosse un gioco, e giocava col destino
un destino col grilletto e la sua faccia, la sua faccia nel mirino.

infanzia maltrattata nella canzone che Fabio Concato ha dedicato al Telefono Azzurro:

Ma babbo smettila di bere e non mi picchiare un'altra volta
che ogni volta ho più paura e quando cerco di scappare non arrivo mai alla porta
ho paura di notte...non c'entro niente coi tuoi guai e coi tuoi dispiaceri
non ti ricordi ieri che mi portavi al mare?

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Infanzia, infine, che assume la dimensione planetaria e quasi cosmica di simbolo dell'alienazione, della guerra, della distruzione; come in Pitzinnos in sa guerra dei Tazenda, in Canzone del bambino nel vento, portata al successo dai Nomadi e poi da Guccini:

Son morto con altri cento, son morto ch'ero bambino
passato per il camino e adesso sono nel vento;
ad Auschwitz c'era la neve, il fumo saliva lento
nel freddo giorno d'inverno e adesso sono nel vento.

nella recentissima L'ultima superstite dei Modena City Ramblers, descrizione di un massacro nazifascista visto dagli occhi di una bambina:

L'hanno trovata soltanto al mattino, ferita e bruciata ma viva
il postino l'ha messa sulla bicicletta e portata dai parenti in pianura
poi Lilli è guarita e la guerra è finita e i tedeschi se ne sono partiti
ma per molti anni ha sognati gli spari e non le usciva la voce

in I ragazzi dell'olivo dei Nomadi, dedicata ai bambini palestinesi

in quei disegni senza più serenità, niente aquiloni solo amare realtà
niente più azzurri che colorano il cielo, solo pastelli che sporcan tutto nero

in Fiume Sand Creek di Fabrizio de Andrè, storia di una strage in un accampamento indiano narrata da un fanciullo ucciso

I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte
e quella musica distante diventò sempre più forte
chiusi gli occhi per tre volte, mi ritrovai ancora lì
chiesi a mio nonno "È solo un sogno?" mio nonno disse: "Sì"
A volte i pesci cantano sul fondo del Sand Creek

Una infanzia, quella dei cantautori, spesso asessuata; se si eccettua qualche rarissimo riferimento all'onanismo, come in Cosa resterà di noi? di Franco Battiato:

La prima goccia bianca che spavento, e che piacere strano
e un innamoramento senza senso, per legge naturale a quella età

o in modo più incisivo in La bugia di Giorgio Gaber

Credo nella bugia: quando un bambino si nasconde, quando sdraiato timido in mezzo all'erba
non fa niente di male: accarezza il suo corpo e dolcemente si masturba...è così naturale
ma poi non lo può dire.
Com'è strana la nostra morale, se un fatto naturale diventa la tua prima oscenità
com'è assurda la nostra apprensione, ci vuole un'invenzione;
non è per stravaganza o per follia: viva la bugia!

e soprattutto una infanzia quasi esclusivamente al maschile, se si eccettuano sparuti esempi di bambine protagoniste specifiche delle canzoni (peraltro in questo caso scritte da maschi!) , come in Silvia di Vasco Rossi, che narra i turbamenti di una adolescente alla scoperta di sé e del suo corpo:

Silvia si veste davanti allo specchio, e sulle labbra un po' di rossetto
andiamoci piano, però, con il trucco, se no la mamma brontolerà
"Silvia fai presto, che son le otto; se non ti muovi fai tardi lo stesso
e poi la smetti con tutto quel trucco, che non sta bene; te l'ho già detto"
Silvia non sente oppure fa finta, guarda lo specchio poco convinta
mentre una mano si ferma sul seno: è ancora piccolo, ma crescerà

per concludersi in modo perturbante:

Silvia ora corre verso lo specchio dimenticando che sono le otto
e trova mille fantasie che non la lasciano più andar via

o nelle strofe iniziali della bellissima Gli uomini non cambiano scritta da Dati, Falagiani e Bigazzi e portata al successo dalla grande Mia Martini

Sono stata anch'io bambina di mio padre innamorata
per lui sbaglio sempre e sono la sua figlia sgangherata
ho provato a conquistarlo e non ci sono mai riuscita
e ho lottato per cambiarlo, e ci vorrebbe un'altra vita
La pazienza delle donne incomincia quell'età
quando nascono in famiglia quelle mezze ostilità
e ti perdi dentro a un cinema a sognare di andar via
con il primo che ti capita e che ti dice una bugia

Utilizziamo due immagini inconsuete per chiudere questo paragrafo; la prima è quella della lettura iniziatica del gioco del calcio proposta da Francesco de Gregori in La leva calcistica del 68, vera e propria narrazione di un rito di passaggio e di una crescita risolta e felice:

Il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette
quest'altr'anno giocherà con la maglia numero sette

la seconda è quella di un incontro generazionale post-atomico narrato dalla classica Il vecchio e il bambino di Francesco Guccini

Il bimbo ristette, lo sguardo era triste, e gli occhi guardavano cose mai viste
e poi disse al vecchio con voce sognante "Mi piaccion le fiabe: raccontane altre"

e proviamo, a partire da queste due infanzie "sui generis" ad abbozzare una riflessione: come mai il mondo della musica d'autore degli anno Novanta, che pure ha visto significative novità dopo la relativa stasi degli Ottanta (C.S.I., Gang, Daniele Sepe, Modena City Ramblers, i gruppi dei Centri sociali ecc..) non trova metafore per parlare d'infanzia? Come mai testi straordinariamente impegnati e poetici come quelli dei gruppi e degli autori citati non sembrano in grado di produrre rappresentazioni proprie dell'età infantile? Forse perché siamo di fronte alla prima delle "generazioni senza infanzia" a partire dal dopoguerra? Forse perché l'infanzia è proprio ciò di cui questi trentenni neo-protagonisti della scena musicale seria sono stati privati? Forse perché nessuno di essi ha avuto la ventura di vivere una prima età come quella del Guccini di Piccola Città, passata a scorrazzare incoscienti e infelici "fra la via Emilia e il West"?


 la prima parte qui

Raffaele Mantegazza
Dal 1999 insegna presso l'Universita' di Milano Bicocca, facolta' di Scienze della Formazione. Ha pubblicato oltre 40 libri e circa 200 articoli su riviste specializzate. Attualmente la sua cattedra universitaria e' Pedagogia Interculturale.

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