In molte tradizioni la compassione, ossia la capacità di comprendere e sentire le sofferenze altrui, per poi intervenire in un modo positivo, prende una modalità severa. Significa prendere posizione, stabilire dei limiti e fare scelte scomode per guidare una persona verso una diversa forma di comportamento e atteggiamento.
È un modo di intendere la compassione che sembra in contrasto con quello che usualmente si intende, meno attiva e più propensa al patetico. È diffusa infatti un’idea di compassione che non comprendere l’esprimersi in modo sincero con chi si intende aiutare.
Quando si tratta di ridurre la sofferenza di qualcuno, anche di persone ancora giovani e in fase di sviluppo, un approccio più intransigente alla compassione può essere messo in atto mentre altri tentativi di interagire con personalità difficili falliscono.
Le ragioni di una compassione severa
Esisteranno sempre motivi per avere un approccio “delicato” alla compassione. È sempre fondamentale imparare a essere una cassa di risonanza, calma e accogliente, per confortare i propri cari. Ma questa compassione calorosa e confusiva ha poco potere di influenzare i figli che, in difficoltà o in una condizione di sofferenza e disagio per qualcosa che stanno vivendo, si stanno comportando in modo rischioso per gli altri o per se stessi.
Acconsentire a comportamenti pericolosi o scorretti di un ragazzo, anche solo evitando di prendere una chiara posizione e “chiudendo un occhio”, può evitare di scatenare un conflitto ma non farà il suo bene. Entrare in conflitto può diventare infatti un modo di essere “compassionevoli” e di prendersi cura di un altro e dei suoi errori.
Da genitori probabilmente si praticano da subito forme di compassione severa, ad esempio quando si evita che un bambino ecceda con le merende o eviti di fare i compiti. Occorre, cambiando registro e forme, saper mantenere un atteggiamento simile anche quando i ragazzi crescono. La volontà di sopportare - e persino di infliggere - un po’ di disagio al momento per promuovere il benessere a lungo termine.
Quando un ragazzo fa un’osservazione sbagliata, aggressiva, o manifesta magari comportamenti non accettabili verso dei pari, e così via, occorre prendere posizione subito - senza rancore, ma con convinzione - se il proprio obiettivo è promuovere il suo corretto sviluppo come individuo.
Impegnandoti in questa sfida educativa, un genitore accetta un certo calcolo di rischi-benefici. Accetti il disagio implicato dal contrasto nella speranza che il ragazzo adotti una correzione del suo comportamento, con le positive ripercussioni nelle relazioni dentro e fuori della famiglia.
Cosa significa in pratica
Una cosa è sostenere l'approccio della “compassione severa” e un'altra è cercare di metterla in pratica. Come ci si sente in realtà a mostrare compassione senza compromessi in questo momento? E quando un ragazzo fa qualcosa che è attivamente dannoso, qual è il modo migliore per guidarlo senza costringerlo o controllarlo?
Gli esperti sostengono che compassione “intransigente” implica trasmettere che si apprezza qualcuno come persona mentre si è apertamente in disaccordo con quello che sta facendo.
Quando si richiama i propri figli per comportamenti odiosi o dannosi, non bisogna esitare a dire quello che si pensa. Ma allo stesso tempo, cercare di essere disponibili per loro, in quanto persone vulnerabili, che possono sentirsi ferite e che devono sentirsi apprezzate in quanto persone.
Significa rispondere con una prospettiva educativa di lungo periodo, che sappia guardare oltre i fatti che sono accaduti e su cui si sta intervenendo.
Un modo forte per trasmettere l’impatto emotivo negativo di qualcosa che un figlio ha fatto o detto, è attraverso la narrazione. Se ha manifestato razzismo, omofobia o altri atteggiamenti discriminatori, si può raccontare di una persona che si conosce e di quanto li abbia subiti fino a non sentirsi più rispettata come essere umano.
Con la narrazione si può assumere una posizione dura e mostrare a un ragazzo le possibili conseguenze delle sue azioni o delle sue convinzioni, senza rivolgergli un attacco diretto.
Quando lo si fa si sta davvero comunicando, in un modo pieno di compassione, i propri principi e limiti fondamentali, ciò che si può e non può accettare, e si invita il ragazzo a un confronto.
Gli studi dimostrano che questo approccio basato sulla narrazione può creare un cambiamento significativo nella visione del mondo delle persone.
Attraverso il dialogo si può produrre un cambiamento duraturo, cosa che non avviene con la censura. Per questo occorre saper superare una possibile, significativa resistenza interiore a impegnarsi in queste conversazioni.
Quando si ascolta, si capisce veramente e si diventa curiosi, si crea spazio affinché l’altra persona pensi in modo un po' diverso, spiegano gli psicologi.
Soprattutto quando si ha a che fare con un giovane, è bene esemplificare come la società e il mondo possono diventare migliori con la diffusione di un atteggiamento, ad esempio, non discriminatorio nei confronti della diversità o delle minoranze.
Mantenere una posizione ferma
Forse la sfida più grande nel praticare una compassione “severa” è rimanere saldi internamente mentre infuriano all’esterno le tempeste emotive provocate da un figlio adolescente.
Quando si prende una posizione, il ragazzo potrebbe rispondere con commenti che fanno agitare profondamente. Occorre saper andare oltre alla reattività spesso fondata sulla paura, che porterebbe solo a uno scontro senza esiti positivi.
Per affinare questo tipo di “tranquillità” nel momento in cui ci si rivolge a un figlio su questioni delicate che si intendono affrontare, può essere utile scrivere in anticipo alcuni pensieri su quello che gli si vuole dire a o sul tipo di storie che si vuole raccontare.
Quindi, una volta che si è pronti, si può organizzare una conversazione con lui. Questi confronti possono essere un terreno fertile per cambiare le prospettive di un ragazzo. Certo, il ragazzo deve essere disponibili a questo dialogo, ma mantenere aperta la comunicazione con i figli è uno degli obiettivi prioritari di un genitore.